Il pianeta che non c'è

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  1. URU THE QUEEN
     
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    7° capitolo della saga sulla coppia kirk x spock.
    buona lettura.

    Il pianeta che non c'è

    <<che strano... questo pianeta, secondo le mie analisi, esiste da non meno di 300 anni, è nella Via Lattea eppure la Federazione dei Pianeti Uniti non ne è a conoscenza. Non so se sia prudente esplorarlo senza avvisare la Federazione o almeno la Flotta Stellare, Capitano!>> afferma il Primo Ufficiale Scientifico con la schiena incurvata e lo sguardo ancora concentrato sulla propria scrivania dove giace il padd con i risultati delle sue più che accurate analisi.
    <<grazie, Spock. Tenente Uhura, apri un canale di comunicazione e vedi se riesci a metterti in contatto con qualcuno. Usa il codice 3>> ordina il Capitano Kirk dalla sua poltrona situata nel bel mezzo della plancia della USS Einterprise.
    Uhura fa come le è stato ordinato mentre Jim, dallo schermo dinanzi a lui, osserva il misterioso pianeta.
    Esso è un piccolo planetoide non più grande della Luna e dello stesso colore della sabbia con delle striature blu elettrico che, di tanto in tanto, sfoggiano una tonalità verde acido. La sua superficie è totalmente piatta e liscia e tale è la sua somiglianza ad una biglia che Jim non si sorprenderebbe affatto se scoprisse che è la biglia di un qualche alieno gigante.
    <<un planetoide alquanto affascinante, vero?>> chiede Spock, spezzando il filo dei pensieri del suo t’hy’la e mettendosi al suo fianco, in piedi, e fissando lo schermo con il padd tra le dita affusolate.
    Jim annuisce, cingendogli il fianco con un braccio e attirandolo a se, facendolo sedere sulle proprie gambe.
    Il figlio di Sarek non oppone la minima resistenza a quell’illogica effusione – che, infondo, bramava da circa 3.4 minuti - ma solleva appena le sopracciglia arcuate quando l’altro gli ruba il padd dalle mani e si mette ad esaminarlo, curioso come al suo solito.
    Il biondo, ovviamente, legge le stesse cose che il Primo Ufficiale gli aveva detto pochi attimi fa; rivolge nuovamente lo sguardo allo schermo, verso il planetoide, e decide che, sì, avviserà la Federazione Spaziale, per la precisione dall’Ammiraglio Pike, e chiederà dei ragguagliamenti sul da farsi.
    <<sulu>> ordina, <<resta nell’orbita del pianeta. Uhura, trovato niente?>>
    <<no, Capitano, nessun segnale di comunicazione, mi dispiace>>

    <<qui Kirk a McCoy!>>
    <<dimmi, Jim, hai avuto notizie da Pike?>>
    <<si, Bones. Dobbiamo esplorare il planetoide, ho detto a Hikaru di rimanere in orbita e di fare effettuare dei test sull’atmosfera di esso; troviamoci all’Hangar 4 fra circa due ore.>>
    <<va bene, Capitano. Passo e chiudo>>
    Una volta interrotta la comunicazione con l’amico, avvenuta dopo quella con le Guardie Marine, Jim entra nel turbo ascensore assieme a Spock; arrivati nella postazione degli alloggi entrano nella prima stanza a sinistra.
    <<spicciati!>> dice il Capitano poggiando le mani sulle scapole del compagno e spingendolo nella direzione del letto. Lo fa sedere e, come previsto, gli si siede sopra a cavalcioni, incrociando le proprie gambe dietro la sua schiena e aggrappandosi al suo collo.
    <<non ci voglio andare, su quel planetoide!>>
    <<perché no, t’hy’la? Hai sempre amato l’esplorazione!>>
    <<lo so, amoruccio, ma ho una brutta sensazione!>>
    Il vulcaniano, perplesso, inizia subito a pensare a un qualche tipo di “brutta sensazione” tipicamente umana.
    <<hai mal di testa?>> azzarda dopo un po’.
    <<no, non è un dolore fisico o spossatezza...>> dice il biondo unendo le mani e poggiandogliele sul petto e fissandolo dritto negli occhi neri.
    In quello sguardo di un caldo color ambra, Spock vede una scintilla d’irrequietezza che raramente aveva percepito in lui.
    <<comprendo, Jim, ma bisogna obbedire all’ordine dell’Ammiraglio Pike. Il dottor McCoy sarà con noi e anche delle Guardie Marine. Le mie analisi non hanno visualizzato tracce di vita sul posto, possiamo star tranquilli>>
    <<lo spero...>> sbruffa il Capitano cingendo i fianchi del suo t’hy’la e baciandogli teneramente una guancia.
    Come da copione, Spock rimane apparentemente impassibile nonostante le emozioni di estrema gioia che gli avvolgono piacevolmente il cuore; allora l’uomo proveniente dall’Iowa pensa che lo stuzzicherà come al suo solito.
    Fa unire le loro dita nel tipico Bacio Vulcaniano e, nel mentre, gli si struscia sensualmente addosso – la bastardaggine, certe volte, non è mai troppa... – e, dopo che Spock preme la propria bocca verdastra sulla sua, geme soffiandogli licenziosamente sulle labbra.
    “Maledetto...” pensa divertito il vulcaniano. E lo pensa perché il terrestre sa fin troppo bene come si eccita mentre geme così – mannaggia se lo eccita!
    <<t’hy’la... non penso sia il momento giusto... dobbiamo prepararci...>> mormora svogliatamente Spock tra un bacio e l’altro. Jim, consapevole del fatto di essere in braccio ad un vulcaniano abbastanza allupato e di essere riuscito nel proprio – bastardissimo – intento, lo guarda maliziosamente.
    <<ho già preparato tutto mentre parlavo con Pike... che vuoi fare di più?>>
    <<jim... solo io so cosa vorrei fare>> dice il Primo Ufficiale. <<ed è tutta colpa tua...>> aggiunge poi.
    <<ah, lo sai solo tu... ne sei sicuro?>> dice, con voce melliflua, il biondo sussurrando nell’orecchio del suo t’hy’la.
    Per dimostrare di saper tutto, Jim struscia il bacino contro quello di uno Spock che malamente cerca di restare impassibile e nascondere la passione che si è accesa in lui e che ora arde con la potenza di mille soli.
    “Sarebbe la seconda volta, questo mese, quando di solito lo facciamo raramente... Dannato d’un terrestre!”
    Con questo pensiero che gli frulla in testa – ma che terminologia illogica... – il figlio di Sarek lambisce i fianchi di Jim e fa coincidere i loro bacini e i loro petti attirandolo energicamente a se.
    <<se mio padre mi vedesse...>> dice poi.
    Il biondo gli si stringe ancora di più addosso, i loro movimenti e i loro respiri seguono l’uno il ritmo dell’altro, gemendo insieme e baciandosi languidamente.
    <<amore... non stritolarmi... così...>> sbiascica il Capitano e il suo compagno allenta la potente presa che esercita sui fianchi dell’altro.
    Jim, nel mentre, tenta di aprire la zip dei pantaloni del proprio Primo Ufficiale Scientifico con scarso successo, dato che quest’ultimo lo tiene talmente stretto a se che in mezzo ai loro corpi – che aderiscono perfettamente l’uno all’altro come pezzi di un puzzle – non passa nemmeno un filo d’aria, figurarsi un paio di mani. Spock cattura tra le proprie il volto del biondo e lo bacia languidamente e a lungo.
    Desiderando ardentemente di poter far l’amore il prima possibile, Jim – e chi se no? – prende tra le proprie le mani di Spock e, lentamente, ne bacia i palmi.
    Se finora aveva cercato di impedire ai propri gemiti di uscire prepotenti dalle proprie labbra, seppur con scarso successo, ora il vulcaniano lascia che essi trapelino veloci e che si infrangano sul collo del terrestre.
    Senza pensarci un momento di più, dato che la sua apparente freddezza, la sua razionalità e la sua logica sono arrivate alla frutta – guarda caso i vulcaniani sono vegetariani... che coincidenza!!! – Spock sfila la maglietta a Jim e inizia a baciargli il petto, liscio e privo di peli, gli carezza prepotentemente la schiena con le dita esili senza però permettergli di allontanarsi da lui nemmeno di un centimetro – non che Jim lo voglia, anzi...
    Con i denti, pian piano, il Primo Ufficiale mordicchia il lobo dell’orecchio destro di Jim facendolo ansimare ancora più forte.
    <<mordimi...>>
    Questa richiesta lascia un po’ spiazzato Spock – ma non tanto da fargli smettere di procurare al proprio t’hy’la dei brividi di piacere. Riflettendoci, non è una cattiva idea. Illogica, bizzarra, da scemi, da creature selvagge e irrazionali (a Spock vengono in mente i leoni che, durante il coito, mordono la leonessa per tenerla ferma e impedirle di fuggire), un po’ sadomaso, forse, ma non cattiva.
    Così lo mordicchia al lato del collo lasciando dei piccoli segni dove ha stretto i denti abbastanza forte da lasciarceli ma non tanto da ferirlo. E Jim gli mugugna parole dolci e di desiderio nelle orecchie, e lo bacia, e geme soffiando sulle sue labbra facendolo impazzire di lussuria, e gli carezza la testa spettinandogli i capelli notoriamente ordinati e simmetrici, e i loro petti sono così vicini che i loro cuori sembrano battere l’uno contro l’altro, e il loro sangue scorre veloce nelle loro vene, e si sentono così vivi e così vicini che dello spazio, dell’universo intero, non gliene importa più nulla.
    <<spock... entra nella mia mente e falla tua...>> mugugna Jim.
    E Spock lo fa. Poggia le dita tremanti di una mano sul volto del suo t’hy’la e fonde le loro menti facendoli divenire un tutt’uno; condividono così il piacere, l’amore e i pensieri.
    Ed è la cosa più bella che Spock abbia mai fatto perché tutti sono capaci di far l’amore con il corpo del proprio t’hy’la, entrare in lui e godere, ma in pochi sanno far l’amore con la sua mente, con la sua anima, con tutta la sua vera essenza, parlando con dei gemiti ora silenziosi e che tuonano solo nelle menti degli amanti.
    Sarebbero potuti andare avanti così per l’eternità e per un lungo lasso di tempo sembrava che l’universo avesse deciso di lasciarli fare ma un’ora e un quarto più tardi il cicalino della loro stanza suona e la voce di una Guardia Marina li avverte che tra 20 minuti sarebbero dovuti essere all’Hangar 4 per scendere su quel dannato planetoide giallo, blu e verde acido per esplorarlo.
    <<arriviamo subito!>> dice Spock cercando di avere un tono di voce che sia comprensibile e normale e uscendo dalla mente di Jim.
    Il Capitano rimane lì, avvinghiato al proprio compagno, ansimandogli addosso, sudato e ancora percosso da dei brividi di estasi.
    Spock lo fa sdraiare nel letto, in modo che si riprenda; ha anche lui il fiatone ed è anche lui sudato. Le sue gote sono di un bel verde smeraldo e stonano con quelle rosse di Jim, ora che gli si è rannicchiato accanto.
    Stanno fermi per dieci minuti, attendendo che i loro cuori smettano provare a sfondare i loro sterni e di tranquillizzarsi.
    <<questo è di sicuro il modo più bello di fare l’amore, tesoro...>>
    <<e tu, Jim, la persona più giusta con cui farlo...>>

    Ora che si sono fatti una doccia veloce – resistendo a stento alla tentazione di saltarsi addosso a vicenda – e si sono cambiati, la gente forse potrebbe non sospettare della loro avventura alla scoperta di una nuova sessualità.
    Baciandosi alla maniera vulcaniana, si dirigono verso l’Hangar 4, dove incontrano un McCoy intenzionato ad ispezionare le analisi di Spock riguardo il planetoide incriminato di averli interrotti all’apice del piacere.
    <<salve, ragazzuoli. Siamo pronti per partire?>>
    I due annuiscono alla domanda del dottore, sfoderano i loro phaser e il Primo Ufficiale Scientifico accende il tricorder.
    La USS Einterprise atterra e i tre amici, accompagnati da 10 Guardie Marine armate con altrettanto phaser, mettono piede sul planetoide la cui atmosfera è identica a quella terrestre con la sola differenza che è molto calda.
    La nave riparte per evitare eventuali attacchi e Jim azzarda un passo in avanti.
    Purtroppo la superficie – come ho già detto prima – è totalmente liscia e il biondo scivola a terra. McCoy, che è il più vicino, lo afferra per un gomito ma scivola anche lui.
    Il vulcaniano, fermo, li guarda ridere, seduti a terra.
    <<sembra di camminare sul ghiaccio!>> commenta Bones.
    <<già. La superficie è totalmente liscia e anche fredda eppure l’aria è bollente!>> conviene il Capitano.
    Tastando con un piede il terreno innanzi a lui, Spock nota che è fatto di sabbia. La cosa lo lascia alquanto interdetto e, a passettini piccolo piccoli, si avvicina al suo t’hy’la e al buon dottore che ora si osservano attorno e fanno scorrere, sbalorditi, la sabbia che compone quel terreno così liscio e freddo.
    <<ma è bollente! Eppure a starci seduti sopra è congelata!>> dice uno strabiliato Capitano Kirk.
    <<non ti sfugge proprio nulla, eh, Jim?>>
    Il Capitano guarda con divertimento l’autore della frecciatina, ossia Leonard McCoy, e gli rifila una leggera gomitata al fianco.
    Facendosi aiutare da Spock, Jim si rialza ma non appena sbruffa scivola di nuovo e cade stavolta addosso al suo compagno.
    <<spock...>> dice Jim, <<dove sono le Guardie Marine?>>
    Guardandosi alle spalle, il figlio di Sarek nota che le suddette Guardie sono svanite nel nulla.
    <<ragazzi... il tricorder dice che sono sotto di noi!>>
    <<signor Spock... è impossibile... è , come dice lei, illogico!>> sbotta McCoy. <<comincio ad aver paura...>> aggiunge poi.

    Jim e Spock non sanno come sia successo veramente, sanno solo che quando hanno ignorato per cinque minuti il povero McCoy per parlare sul da farsi, il buon dottore si è volatilizzato.
    <<non dobbiamo ignorarci, Jim, se lo facciamo svaniremo...>> mormora Spock stringendo a se il proprio t’hy’la e raccogliendo da terra il tricorder abbandonato.
    <<a quanto pare, tesoro, sono sotto di noi...>> dice Jim. Il vulcaniano annuisce, senza mollare la presa sul biondo temendo che quel dannato pianeta glielo porti via.
    <<al centro di questo pianeta>> precisa poi.
    I due si guardano e i loro sguardi sembrano fondersi.
    <<come diamine li ritroviamo, t’hy’la?>>
    <<non lo so, Jim. È una situazione illogica e alquanto strana. Contattiamo la Tenente Uhura e facciamoci teletrasportare sull’Einterprise>>
    <<ma, amore, non possiamo abbandonarli! Bones è nostro amico!>>
    <<lo so>> dice il vulcaniano osservando il terreno sabbioso e allo stesso tempo vitreo, <<non ho detto che li abbandoniamo, sulla nave e con un campione di terreno in più e con i dati del tricorder abbiamo qualche possibilità di salvarli tutti!>>

    <<dannazione, dannazione, DANNAZIONE!!!>> urla un James Tiberius Kirk alquanto frustrato.
    In circa 2.34 ore lui e Spock non avevano fatto altro che parlarsi e tentare di farsi teletrasportare sull’Einterprise ma il teletrasporto era miseramente fallito e ora che è notte la comunicazione si è interrotta.
    Era stato strano, il tramonto: Jim aveva sbattuto le palpebre una sola volta e si era ritrovato nell’oscurità.
    Lui e il Primo Ufficiale si erano “accampati” vicino ad una striscia di sabbia rossa che dall’Einterprise non avevano visto e che è fatta di fuoco, si potrebbe dire, che li riscalda ma che al contatto è fredda e bagnata nonostante sia fatta da fiamme rosse e a volte purpuree.
    Il biondo sta più che bene, accanto al “fuoco”, nonostante la pioggia che ha incominciato a bagnarlo con dell’acqua fredda –“ L’unica cosa che forse c’è di normale su questo dannato planetoide!” pensa Jim. Ma deve ricredersi: non appena le gocce toccano terra, la sabbia si solleva e crea delle piccole spirali di vetro colorato che s’infrangono come castelli di sabbia sotto un vento quasi inesistente.
    Con la mano in quella di Spock, Jim sbruffa.
    Fissa il suo t’hy’la e nota che trema vistosamente nonostante gli fosse accanto e che, accanto a lui, la temperatura è uguale a quella che c’è vicino all’uomo proveniente dall’Iowa.
    Gli si siede dietro, poggiando il petto atletico sulla sua schiena incrociando le proprie gambe su quelle del vulcaniano.
    Esso gli si stringe contro, le braccia incrociate sul petto, il corpo che è tutto un fremito. Spock si porta le gambe al petto e le stringe con le mani. Poggia la testa nell’incavo nel collo di Jim e sospira di sollievo quando quest’ultimo gli sfrega energicamente le braccia e le gambe con le mani.
    Vedendoselo lì appallottolato tra le sue gambe, a Jim viene in mente quella volta che Nyota lo aveva mollato.
    <<jim... n-non dobbiamo ignorarci...>> dice il figlio di Sarek carezzandogli con una mano tremante il torace. <<non d-dobbiamo nem-nemmeno d-dormire... dato che p-potremmo an-anche dividerci... nel sonno, o-ovvio...>>
    <<ma come facciamo? Mi sembra di essere qui da secoli, eppure secondo il mio dannato orologio siamo sveglio da appena 7 ore!>>
    <<non mi f-fiderei molto dell’orologio, Jim...>> ribatte il Primo Ufficiale tremando un molto meno.
    All’improvviso, così come aveva cominciato, smette di piovere.
    <<guarda, amore!>> dice Jim indicando una caverna che un secondo prima non c’era. Ci entrano, i due amanti, ci entrano e dentro si sta talmente bene che si tolgono addirittura le maglie che, se un secondo prima erano fradice, ora sono morbide e asciutte come se fossero appena uscite da un’asciugatrice ricolma d’ammorbidente profumato alla lavanda.
    <<forse c’è un modo per non ignorarci e per dormire...>> mormora il biondo arrossendo: la sua idea, infatti, non è del tutto adeguata ad una missione di esplorazione che è divenuta una missione di salvataggio.
    <<quale, t’hy’la?>>
    Alla domanda di Spock, il Capitano si sdraia su quella terra insensata e lo guarda con malizia. Quello sguardo è talmente delizioso, talmente dolce, innocente, desideroso e birichino che fa breccia nel cuore di Spock.
    Il figlio di Sarek gli si sdraia sopra, il bacino in mezzo alle gambe dell’altro, e rivolge uno sguardo famelico – identico a quello del lupo che fissa l’agnello – al torace nudo del biondo.
    Si baciano, le loro lingue giocano l’una con l’altra, i loro aliti profumati si mescolano e quando il vulcaniano rivolge delle piccole spinte verso il bacino del suo t’hy’la esso geme - in quel modo che lo fa impazzire – e affonda le mani nel vetro freddo che compone il terreno e che si tramuta subito in sabbia calda dai colori vivaci e luminescenti.
    <<beh... così siamo sicuri di non ignorarci...>> mormora il vulcaniano.
    <<beh, sono sicuro che lo fai anche perché sono dannatamente irresistibile...>> bofonchia Jim tra un bacio e l’altro.
    <<su questo, come dite voi, non ci piove, Jim>>
    Il terrestre prende una mano del suo t’hy’la, la bacia, e se la posa sulla guancia, facendo capire il suo intento.
    Le loro menti si fondono di nuovo e le loro essenze si mescolano, si carezzano, fanno l’amore.
    È una sensazione talmente dolce, talmente paradisiaca che Spock pensa che non smetterebbe mai, che fare l’amore in quella maniera col suo dolce Capitano potrebbe anche diventare un vizio favoloso da ripetere tutte le notti e tutte le volte in cui sia possibile.
    <<ti amo, Jim>> mormora tra se e se e l’anima dell’altro si riempie di una gioia ancor più grande...

    Il cielo è di un luminoso color nero, è buio eppure ci si vede come alla luce del giorno. Stranamente, le uniche zone colorate e nelle quali non si vede nulla sono le strisce colorate di rosso, blu e verde acido.
    Il terreno sabbioso si incrina e si spezza come vetro sotto il peso dei due corpi che dormono l’uno sopra l’altro.
    Sentendo la sabbia scottargli crudelmente la schiena e allo stesso tempo rinfrescargliela dolcemente, il Capitano James Tiberius Kirk, Jim per gli amici, si sveglia.
    Il Primo Ufficiale Scientifico, mr. Spock, esce pian piano dalla sua mente e lo bacia languidamente e a lungo.
    Jim sospira con un po’ di malinconia: si sente quasi svuotato, si sente quasi abbandonato, ora che il suo t’hy’la non è più in lui.
    Si stiracchia e, con molta nonchalance, schiocca un bacio sulla guancia del figlio di Sarek.
    Guardandosi negli occhi, i due si alzano e si rimettono le magliette; seguendo i dati del tricorder e tenendosi per mano muovono qualche passo incerto verso una macchia di bosco apparsa dal nulla.
    Gli alberi che la compongono a Jim sembrano incredibilmente al Platano Picchiatore di cui ha letto in “Harry Potter e la Camera dei Segreti”: alberi enormi e dai rami nodosi. Invece che color mogano, però, gli alberi sono trasparenti e di vetro – nonostante si pieghino sotto un vento quasi inesistente come fossero di gomma - e dentro di loro si muovono degli insetti, dei vermi fluorescenti e di mille colori.
    L’ erba che circonda gli alberi sembra Erbafumo, un’erba che alla vista sembra, appunto, del fumo verdastro e Spock rammenta che su Vulcano ne cresce molta.
    Al limitare del bosco, il vulcaniano dice: <<jim, i nostri compagni d’avventura sono qui sotto e sembra che siano in uno stato comatoso... >>
    <<come sei di conforto...>>
    Jim, d’un tratto, si mette ad esultare.
    <<amore! Amore! C’è la mio padre! conoscerò mio padre! Aspetta papà!>>
    Prende per mano Spock e lo trascina all’interno del bosco inseguendo chissà che o chissà chi.
    <<fermati, Jim! Siamo soli in questo bosco!>> dice Spock bloccando il compagno e scuotendolo per le spalle, fissandolo negli occhi.
    <<ma lui è il mio papà!>> dice Jim, con le lacrime agli occhi. Sembra un bambino e il vulcaniano nota con ribrezzo che la sua voce è quella di un’infante.
    <<la mia mamma dice che non devo parlare con gli sconosciuti, Signore>> gli dice poi. <<mi dispiace, devo andare o sarò in ritardo per la cena. Non voglio fare il bambino cattivo!>>
    <<cosa? Jim, hai perso il lume della ragione?>>
    Il Capitano non ricorda... chi è quello strano uomo dalle orecchie a punta? Non lo sa, si scansa da lui e corre dal padre...

    Spock cerca di raggiungere il proprio t’hy’la ma, più corre, più il terreno si allunga e li fa allontanare.
    Si stanca subito, il vulcaniano, ed è illogico perché i vulcaniano non si stancano facilmente.
    <<figlio mio...>> mormora una voce femminile.
    Il figlio di Sarek si gira e vede Amanda, sua madre. La sua bellissima madre dai capelli ricci e mori che indossa una tunica bianca. La sua bellissima madre dagli occhi verdi e dalle origini umane. La sua bellissima madre che gli si avvicina e lo avvolge in un tenero abbraccio.
    <<madre...>>
    Violenti, i ricordi del dolore per la sua morte torturano il cuore di Spock ma essi vengono leniti da un altro abbraccio da parte di ella.
    Chi stava cercando di così importante? Spock non lo sa, ricorda solo dei capelli biondi e degli occhi ambrati ma non sa a chi appartengano.
    <<chi stavo cercando, madre?>>
    <<nessuno, figlio mio. Nessuno d’importante. Tu ora vuoi solo restare qui con me per l’eternità>>
    E Amanda ha ragione, il vulcaniano non vuole far altro che farsi cullare da lei, non brama nessun’altra cosa.
    Un urlo di dolore disintegra il silenzio della foresta e qualche albero scoppia e va in frantumi.
    <<mamma, che è stato?>> mormora Spock, curioso, mentre una sensazione di panico e di malinconia gli pervade il cuore.
    <<niente, non è stato niente, tesoro, non c’è mai stato niente e mai ci sarà. Solo tu e io>> dice la donna.
    Ed ha ragione: la mente del figlio di Sarek rivede la USS Einterprise ed esso si dice che è stato un bel sogno.
    I suoi ricordi sulla nave si oscurano, svaniscono. Non il volto di un amico, non una voce, non un’avventura che rimanga nella sua memoria.
    I suoi ricordi, tutti i suoi ricordi, sono incentrati in quella selva colorata e tra le braccia della sua bellissima madre.
    Non ricorda altro, se non un paio di occhi ambrati.
    Li ricorda in molti modi, questi occhi: dolci, arrabbiati, tristi, piangenti, gioiosi, allarmati, incuriositi, interdetti, appannati dall’alcol, annegati di lussuria, entusiasti... Ma non sa a chi appartengano.
    Ma chi se ne importa, in fondo?
    Chi se ne importa, se tanto lui è, è sempre stato e sempre sarà in quella foresta con sua madre? Che senso ha tentare di ricordare un volto appartenente alle sue fantasie notturne? Nessuno. Nessun senso e mai lo avrà perché ora sua madre gli carezza i capelli mentre è sdraiato tra l’Erbafumo e non conta altro.
    Eppure... eppure il suo cuore urla di dolore, la sua anima viene dilaniata dalla malinconia e il desiderio di vedere dal vivo quegli occhi ambrati guardarlo con amore e sentirne il proprietario – o la proprietaria - gemere sotto di lui e guardarlo con lussuria, arde nel suo petto.
    <<mamma...>>
    <<non pensarci, caro, non pensarci...>>
    <<ma mi manca!>>
    <<chi, tesoro?>>
    <<non lo so ma lo voglio scoprire!>>
    <<no!>>
    Se finora la voce di Amanda era simile a quella d’un usignolo ora ha un che di mostruoso che fa rabbrividire Spock.
    <<no! Non obbligarmi a punirti!!!>>
    Spock si zittisce e mormora una serie di “scusa” con voce supplicante e sente che sta per mettersi a piangere un po’ per paura, un po’ perché non voleva fare arrabbiare la madre e un po’ perché gli mancano quegli occhi e il loro ignoto proprietario.
    Socchiude gli occhi, il Primo Ufficiale, e li riapre quando un altro urlo squarcia l’aria.
    Si alza di scatto, il cuore a mille e che tenta in tutti i modi di sfondargli lo sterno, colmo d’ansia.
    <<mamma...>> dice.
    La guarda: è allarmata. Gli prende prepotentemente il volto e glielo carezza, gli graffia la schiena e quando Spock sente la propria maglia azzurra inzupparsi di sangue verde le si allontana di scatto.
    <<vieni dalla mamma!>> ringhia Amanda.
    Il suo volto inizia a fondersi, a sciogliersi e a impastarsi su se stesso. La “donna” si alza in piedi e gli si avvicina, gli occhi ridotti a due fessure nere colme di odio.
    <<non sei mia madre...>> balbetta il giovane, <<lei era... lei era bellissima ed è morta anni fa...>>
    E mentre la creatura si scioglie Spock ricorda... ricorda un biondo ragazzo dell’Iowa e che ama da impazzire.
    Si chiama Jim... James Tiberius... Kirk! Sì, ed è il suo t’hy’la, vero?
    <<tu non sei mia madre, io sono Spock e sono il Primo Ufficiale Scientifico della USS Einterprise...>>
    <<nooooo! NO! TU SEI MIO FIGLIO! NO!>>
    <<... e amo il mio Capitano... James Tiberius Kirk!>> dice imperterrito il figlio di Sarek e Amanda – la vera Amanda, quella che è morta ed ha lasciato un profondo senso di vuoto in lui!
    E più ricorda meno ha paura di quella creatura; le rifila un pugno in volto e mentre essa geme di dolore e si scioglie a terra, Spock corre in direzione di quelle urla strazianti che ora gli invadono le orecchie a punta.

    La radura è deserta e piatta tranne che per una sedia e un uomo che vi è seduto sopra.
    Spock nota che la sedia è fatta di aculei simili a quelle delle siringhe che si usavano molti anni fa sulla Terra.
    Jim gli da la schiena, senza più urlare; il vulcaniano si avvicina e nota che ha il mento mollemente poggiato sul petto.
    Le sue mani non sono legate ai braccioli, no, ma lui non si può muovere.
    <<spock... che succede?>> chiede, con un sussurro, il Capitano. <<fa male, Spock. Questa sedia mi sta infilzando... fa male...>>
    Il Primo Ufficiale non sa proprio come aveva fatto a dimenticarsi di quell’uomo tanto bello e tanto dolce... non lo sa proprio.
    <<t’hy’la... ora ascoltami...>>
    <<ho sonno, amore mio, ho tanto sonno...>>
    <<jim, non devi dormire! Ascolta la mia voce, concentrati su di me!>> dice il “bastardo dalle orecchie a punta”, <<ora devi essere forte, alza piano un braccio... ora ti aiuto!>>
    Ma non può avvicinarsi, Spock, non può perché non appena fa un passo in avanti gli aculei della sedia diventano un poco più lunghi e Jim urla di dolore.
    <<okay... okay, Jim, non posso far altro che parlarti... sì, bravo, piangi, sfogati, andrà bene, andrà tutto bene... ritroveremo il dottor McCoy e le 10 Guardie Marine e torneremo sull’Einterprise... andrà tutto bene... tutto bene... te lo prometto!>>
    E Jim obbedisce e alza il braccio. Tutti gli aculei che vi si erano conficcati – alcuno passando da parte a parte la sua mano - escono dalla carne con un rumore liquido che a Jim ricorda tanto il rumore che fece il suo criceto quando, da piccolo, per errore lo spiaccicò sparpagliandone le budella sul pavimento.
    Il dolore è acuto e per non urlare si morde a sangue il labbro inferiore e il sangue che sgorga da esso si mescola alle lacrime che gli rigano il volto arrossato.
    <<fai, piano, Jim, piano... ti fanno male anche le gambe?>>
    <<no, Spock, solo... solo le braccia e la schiena...>>
    <<bene. Meglio così. Fai attenzione...>>
    Ma fare attenzione non è facile dato che alcuni aculei s’incrociano all’interno delle carni martoriate del biondo che le spezza; ed esse rimangono conficcate in lui.
    Ripete la stessa operazione con l’altro braccio e si stringe le mani al petto come se quel gesto potesse alleviare il dolore.
    <<jim, ascolta, non perdere il contatto con la mia voce... ascolta, andrà bene, manca solo la schiena... e sarà finito tutto questo dolore...>> disse Spock, la voce incrinata dall’ansia e dalla paura.
    E Jim lo ascolta mentre un dolore lancinante gli dilania la schiena, mentre gli aghi gli squarciano la carne uscendone o vi restano dentro, spezzati.
    Una volta libero, si alza e cade, ansimando, tra le braccia di Spock.
    Il vulcaniano lo carezza, piano, levandogli la maglia gialla intrisa di sangue rosso e cupo. Esamina le ferite parecchio profonde del compagno e constata, con sollievo, che non sono affatto mortali.
    <<volevo c-conoscere papà... ho solo visto delle sue f-foto... e mi sembrava di essere tornato bambino ma poi... quella sedia, quel dolore mi hanno riportato in m-me... >> singhiozza il biondo.
    Si baciano a modo loro, incrociando le dita e appropriandosi l’uno delle labbra dell’altro, consolandosi, mentre anche sul volto impassibile del vulcaniano scorrono delle lacrime di paura, dolore, stanchezza e frustrazione.
    L’aria, bollente, li investe ma loro rabbrividiscono di freddo.
    Escono da quella foresta degli orrori incespicando sui loro piedi stanchi e spezzando il pavimento liscio, vitreo e sabbioso.
    La foresta svanisce immediatamente, gli alberi si ritraggono tremolando nel terreno e l’Erbafumo brucia e si incenerisce.
    <<qui Spock a Einterprise, mi ricevete?>> dice Spock al tricorder.<<qui Spock e Kirk a Einterprise, abbiamo bisogno di essere teletrasportati sulla nave... c’è nessuno?>>
    <<qui Uhura>> dice la Tenente e la sua voce gracchia uscendo dal tricorder, <<avevamo perso la speranza, ormai. Vi abbiamo localizzati poco prima che entraste in quella foresta, un mese fa. Ora vi teletrasporteremo...>>
    La comunicazione s’interrompe.
    “Un anno fa? Eppure direi che siamo qui da non più di 23.5 ore...” pensa il vulcaniano stringendo a se il suo dolce Capitano.
    Si guardano, increduli, e le loro molecole vengono teletrasportate sulla USS Einterprise.

    <<bones... dov’è?>> chiede Jim a Nyota mentre si sveglia.
    È sdraiato su un bio letto, in infermeria, ma non c’è la minima traccia del dottore.
    <<e Spock?>> chiede ancora.
    <<jim, ascolta...>> un velo di tristezza incrina la tiepida voce di Nyota, <<leonard e le Guardie Marine non si trovavano, secondo i tricorder erano al centro del planetoide. E Spock...>>
    La donna tenta vanamente di trattenere le lacrime.
    <<spock cosa..?>> chiede Jim, il panico che risuona nella sua voce...
    <<spock è tornato laggiù, nella foresta. Ci ha avvisati che aveva ritrovato la sedia dove eri stato intrappolato tu. Ha detto che lì attorno c’erano McCoy e le 10 Guardie Marine...>>
    Il racconto scatena nell’uomo proveniente dall’Iowa una terribile consapevolezza, un doloroso presagio. Ma domanda lo stesso il seguito.
    <<ora McCoy e le Guardie si sono ripresi... il pianete esigeva un sacrificio... una vittima su quella sedia, solo allora avrebbe liberato gli altri... solo allora...>>
    “Le necessità dei molti sono più importanti delle necessità dei pochi o del singolo”
    Le parole di Spock riecheggiano prepotenti nella mente di James Tiberius Kirk.
    <<È morto da eroe, Jim. Mancherà a tutti noi... mi dispiace...>> dice Nyota poggiando una mano sulla spalla del Capitano. Jim si ritrae e chiede, con lo sguardo, di rimanere solo.
    <<nyota, devo tornare su quel pianeta... devo...>> dice prima che ella lasci la stanza.
    <<non si può, Jim. Il planetoide è svanito nel nulla. Sono tre giorni che lo cerchiamo. È come se non fosse mai esistito...>>
    Nyota esce dalla stanza e Jim sente il cuore che gli si spezza.
    Un gemito esce prepotente dalle sue labbra, un gemito così doloroso da farlo scoppiare a piangere.
    Non rivedrà più il suo t’hy’la, vero?
    “Di tutte le anime che ho incontrato nei miei viaggi, la sua è stata la più... umana!”* pensa.
    Non piange più: non ha più lacrime.
    Ma lo ritroverà, ritroverà il suo Spock a costo di cercare in tutta la galassia.
    Lo ritroverà perché senza di lui non è nessuno...


    *citazione del film “L’ira di Khan – Star Trek”
    FINE
     
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  2. florabovo
     
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    User deleted


    bello
     
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1 replies since 2/8/2013, 16:18   88 views
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