Il balestriere di Nottingham

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    Re dei Re

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    Primo Capitolo





    La mia nascita? Sinceramente non la ricordo per niente; ma, me l'hanno raccontata...

    Era una notte di fine estate e pioveva a dirotto. Si quella notte vi era uno degli ultimi temporali estivi; il più brutto dei soliti. Ma il castello era in pieno fermento; era notte fonda e mente le finestre e i corridoi di pietra lampeggiavano per via dei fulmini al di fuori; due uomini attendevano fuori da una stanza. Il più agitato, non era mio padre, no lui era seduto su una sedia ad aspettare trepidante, osservando quella porta di legno che non avvertiva sentimenti o rumori. Ma l'uomo che faceva avanti e indietro, borbottando strane parole di solo sua conoscenza, era un Re. Si, un Re. Ma non un Re inglese qualunque; no. Lui era Re Richard II detto Lion Heart (cuor di leone); ero nato anni prima che partisse per quella che sarebbe stata una guerra santa lunga, in cerca di un qualcosa che poteva esistere, ma anche no...
    <<zio Richard; se continuate a fare avanti e indietro, mi metterete ancora più in ansia>>.
    Il tono di mio padre era divertito e ansioso insieme; e guardò quell'umo sull'appena cinquantina fermarsi in un punto centrale del corridoio pieno di arazzi e gonfaloni. Re richard si voltò, verso il giovane uomo che gli aveva rivolto tali parole...
    <<dovresti essere tu mio caro nipote Leon, ad essere nel mio stato>>.
    Disse il Re ricominciando a fare la sua marcia ansiosa, facendo tintinnare la sua spada contro la cintura. La corona era in bilico sulla sua testa...
    <<sono nel vostro stato, ma più composto>>.

    Gli rispose mio padre come in un rimprovero; e prima che Re Richard potesse rispondere a quella provocazione; si udì dietro la porta un lungo vaggito.
    Si; ero appena venuto al mondo. I due uomini si drizzarono a fissare la porta; dalla quale uscì dopo alcuni lunghi minuti una donna. Era di aspetto dolce; i capelli castani raccolti e chiusi in un fazzoletto bianco leggero di cotone grezzo; teneva al petto un fagotto che dava piccoli vagiti...
    <<sire; messer Leon...>>.
    Il suo tono; non era di gioia o giubilo per la mia avvenuta nascita; era triste e funereo. Mio padre accorse nella stanza...
    <<balia, che accade?>>.
    Chiese il Re, guardandola sapendo forse già la risposta dentro di se...
    <<vostra nipote...nel dare alla luce questo magnifico maschio...lo sforzo è stato troppo grande per lei...>>.
    L'uomo guardò la porta aperta, da cui dopo qualche secondo si udì il pianto disperato di mio padre. Negli occhi del Re, sfociarono lacrime calde e piene di dolore...
    <<mio signore; mi dispiace per la vostra perdita>>.
    Disse la donna dallo sguardo dolce, tenendomi più saldo a lei. Mia madre, era morta giovane dandomi alla luce; io nella mia incoscienza di neonato non potevo capire quella perdita. Ma l'avrei capito tempo dopo...
    <<e il piccolo?>>.
    Chiese Re Richard tendendo le mani verso il piccolo fagotto in cui vi ero io, beato nella mia ignoranza e nuova vita...
    <<balia; datemi mio nipote>>.
    Disse quasi in un ordine freddo l'uomo con la corona in testa. La donna mi tese intimorita verso il suo signore, senza discutere; ma nei suoi occhi vi era paura che potesse accadermi qualcosa. L'uomo mi prese in braccio, facendo attenzione e con molta cura. Mi scrutò con i suoi occhi addolorati. Ricordo solo il suo respiro e niente altro...
    <<assomiglia molto a sua madre...>>.
    Disse in un primo momento; stava per ripormi nella braccia accoglienti della balia, ma mi trattenne ancora a lui. In quel momento mio padre uscì dalla porta distrutto nel cuore...
    <<mio figlio...>>.
    Disse con ancora le lacrime agli occhi, e venni passato tra le sue braccia. Il silenzio incorniciò parecchi minuti in cui i due uomini mi osservavano e si guardavano. Poi sorrisero, un sorriso dolce e ancora addolorato...
    <<come avete...come hai deciso di chiamarlo, Leon?>>.
    Chiese il Re, al marito di sua nipote. Mio padre mi guardò e dopo qualche attimo sussurrò due nomi...
    <<ha deciso: Edmund Arthemis>>.
    Un tuono scuarciò il cielo, e un fulmine illuminò il corridoio freddo e pieno di arazzi. Re Richard sorrise. Ero nato...


    Continua...
     
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    Bravo Cacciatore

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    Bel capitolo, già inizia e c'è un nuovo arrivato e una perdita, almeno è alleviata. Aspetto il seguito ^^
     
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    Re dei Re

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    Secondo Capitolo



    Dalla mia nascita erano passati cinque anni esatti. Ero cresciuto bene anche senza madre; sia mio padre che Re Richard mi stavano allevando in modo impeccabile e la balia faceva il resto, cioè i vari compiti che spettavano ad un ruolo femminile nella mia crescita. Ora vi chiederete che parentela io abbia con il grande Re Richard Lion Heart; è molto semplice; era lo zio di mia madre da parte di padre. Quindi in poche parole io ero un pronipote per lui, ma potevo anche considero quasi come “un nonno”, appena poteva mi portava ovunque con lui, a molte battute di caccia, a duelli con la spada o a fare una semplice passeggiata nei suoi vasti territorio e naturalmente nella piccola cittadina di Nottinghamshire. Vi chiederete dove si trova questa Nottinghamshire? Il nome potrebbe già molto aiutarvi; ma è una cittadina che si trova in Inghilterra, fu fondata dagli anglosassoni e poi successivamente conquistata dai Vichinghi; ma di altro non voglio annoiarvi.

    Un giorno mentre mio padre, Ser Leon capitano delle guardie del Re, seguiva gli allenamenti quotidiani del tiro con l’arco e duello a spade dei suoi soldati fu favorevolmente sorpreso di una mia dote innata, che si era scoperta per puro caso…
    <<vi annoiate Edmund?>>
    Uno dei soldati che stava armeggiando con il suo arco e una freccia nuova, si era voltato verso di me. Gli arrivavo appena al ginocchio quindi dovetti alzare la testa per incontrare il suo giovane sorriso nei miei confronti…
    <<un po’! Ma voi non vi annoiate mai con le stesse cose?>>
    Non avevo certo un linguaggio forbito, essendo appena un moccioso di cinque anni, di cui l’abbigliamento era una calzamaglia nera e una camiciola di colore beige chiaro che mi arrivava alle ginocchia, e che alla vita avevo una cintura per far si che non mi desse fastidio nei movimenti. L’uomo fece una piccola risata roca; prese la mira poggiando la freccia al secondo dito sinistro, guardando il centro del bersaglio e poi lasciando andare la freccia che fece un fischio sordo e centrò il rosso disegnato su un cerchio impagliato di fieno e crini di cavallo…
    <<diciamo, che è diventato un movimento conosciuto, anche se vostro padre ci fa allenare ogni giorno. Essendo una guardia del Re; mi è proibito fare errori semplici, e devo saper tenere alta la guardia nei confronti del mio sovrano>>
    Io ancora non potevo capire il suo ragionamento, e sbuffai ancora annoiato. Ma lui si voltò ancora verso di me…
    <<venite Edmund. Voglio farvi provare>>
    Mi disse con tono calmo e simpatico. Mi voltai e guardai la guardia porgermi l’arco e una freccia. Mi avvicinai e lo presi; era un po’ grande per me, la punta in alto mi arrivava di qualche pollice più su della mia testa e il manico centrale era di ferro fuso e cuoio quindi leggermente pesante. Ma l’uomo mi aiutò a sorreggerlo…
    <<vedete? E’ semplice poi usarlo: basta che poggiate il punto finale della freccia sul secondo dito sinistro, tirare indietro il filo e la fine della freccia con la destra, tendere per un po’ e tirare. Non vi preoccupate se non vi riesce al primo colpo>>
    Fece in tempo a finire la frase, che feci come mi era stato detto. Posai la punta della freccia sul dito sinistro, tesi con la destra e dopo pochi istanti in cui avevo osservato il centro del bersaglio, lasciai andare la presa. La freccia vibrò nell’aria dritta e colpì il cerchio di paglia ma non al centro…
    <<accidenti! Questo si…questo si che è incredibile!>>
    La guardia che si era piegata sulle ginocchia per aiutarmi, al risultato del mio primo colpo cadde seduta per lo stupore…
    <<cosa è incredibile Joham?>>
    La voce di mio padre arrivò severa e incuriosita allo stesso tempo, e guardò sia me che il suo soldato dall’alto…
    <<vostro figlio è riuscito a fare quasi centro al primo colpo; capitano>>
    Disse l’uomo quasi tutto d’un fiato. Prima di riuscire a convincere mio padre di quell’impresa che per me, non aveva suscitato nulla di eclatante ma di sicuro un certo divertimento e interessamento di quell’arma flessibile; dovetti mostrargli almeno tre tiri. Uno dei quasi, dato che avevo sollevato per sbaglio un po’ l’arco dal fondo, curvò il tiro e finì per colpire in pieno il cestino da cucito della balia che si trovava fuori dall’area di allenamento; e di cui procurai un mezzo svenimento alla povera donna.
    Da quell’episodio, ogni mattina presto; visto la curiosità e la mia bravura nell’arco; mio padre mi insegnò i vari tiri, ogni piccolo componente dell’arco e di come fabbricare una freccia. La cosa mi interessava sempre di più, e Re Richard quando lo venne a sapere volle fare notare la mia giovanissima bravura in vari spettacoli e gare organizzate da lui. Il tempo passava tranquillo e sereno; poi venne l’autunno. E purtroppo non prometteva nulla di buono quel periodo. Re Richard cominciò a fare lunghe ricerche di qualcosa di cui non capivo il significato: partiva per giorni e giorni, alla ricerca di una coppa, di cui nessuno sapeva l’esistenza o l’inesistenza. Qualcosa sia di sacro che di profano. Io non potevo ancora sapere cosa potesse essere quell’oggetto, ma sapevo che non mi piaceva; dato che portava via uno dei miei due eroi per parecchi giorni o settimane. Ma non era solo quell’assenza che destava preoccupazioni e strani avvenimenti nel regno Di Nottinghamshire. Durante i primi giorni dell’autunno in una delle assenze del Re; la foresta adiacente alla città, venne presa sotto attacco da uno strano manipolo di cavalieri stranieri, di cui era dubbia la provenienza. Mio padre, insieme ai suoi soldati era riuscito ad allontanarli in un primo momento; ma poi gli attacchi nella foresta di Sherwood, all’epoca disabitata e piuttosto misteriosa per la sua atmosfera selvaggia e dalla vegetazione piuttosto incolta; divennero più assidui e frequenti. Si cominciò a perdere diversi uomini, e Re Richard avvertito di tale problema, rientrò verso metà mese di ottobre e rimandò la sua ricerca della fantomatica coppa. Gli attacchi misteriosamente cominciarono a cessare; i cavalieri furono avvistati raramente a rubare o a saccheggiare tombe; soprattutto quelle che potevano sembrare nobili.

    Ma quel giorno; quel maledetto giorno lo ricorderò per sempre. Era ormai il tramonto e io e mio padre, eravamo insieme ad altri nella foresta di Sherwood, sotto l’antica Major Oak a parlare tra noi ed ad osservare il cielo che stava pian piano diventando buio e lasciando spazio alle stelle fredde della sera…
    <<dimmi un po’ Robert; cosa vorresti fare divenuto adulto?>>
    Mio padre stava parlando con un ragazzo giovane: i capelli castani e gli occhi verdi scuri, vestito di una calzamaglia marrone scura e una camicia lunga fino alle ginocchia di colore verde erba, divisa alla vita da una cintura di pelle e sulla spalla un porta frecce semivuota. Robert di Loxley si appoggiava contro la vecchia quercia e teneva tra le mani il suo arco…
    <<ancora non so darvi risposta Leon; ma di sicuro sarà qualcosa di grandioso e leggendario>>
    Gli altri che si erano fermati ad ascoltare scoppiarono a ridere alla battuta del giovane Robert…
    <<molto spiritoso e modesto il nostro ragazzo!>>
    Latrò un omone. Quell’uomo era Norha un grande amico di mio padre: era un fabbro di eccellente mano e i suoi lavori erano ricercati e la sua forza invidiata da molti. Era sposato con una donna dolce e paziente; che gli aveva donato una figlia dall’animo un po’ maschiaccio e vivace. Ammiravo molto Norha e quando lavorava il ferro mi fermavo incantato ad osservarlo. Con noi vi erano altri: Little Jhon, che era un ragazzo di quindici anni dall’aspetto robusto e alto; nell’abbigliamento era simile a Robert, dato che erano grandi amici e dicevano anche “soci” ma non parlavano mai di tale cosa con noi; poi vi era Tuck un frate dell’ordine francescano che aveva preso in mano la chiesetta della cittadina di Nottinghamshire da pochi anni; la figlia di Norha: Janet che aveva dodici anni come Robert e pareva davvero un po’ un maschio per il suo abbigliamento simile ad un soldato e altri pochi amici.
    Ma ecco che qualcosa successe; sentimmo delle urla improvvise e ci girammo di scatto verso il folto della foresta e dopo pochi attimi arrivò una donna che correva veloce tenendosi il vestito…
    <<norha! Leon! E’ terribile!!!>>
    Era la moglie di Norha, ad ogni metro che faceva si capiva il terrore che la invadeva e i suoi abiti erano macchiarti di terra e fuliggine. Norha e mio padre la soccorsero…
    <<claire cosa accade?>>
    << sono loro! Sono tornati ad attaccare; li hanno sorpresi al cimitero a saccheggiare e hanno ingaggiato una battaglia con alcuni…dei tuoi soldati Leon!>>
    Mio padre capì subito di chi si stava riferendo la donna. Tuck a quella notizia salì sul suo carretto trainato dal suo cavallo da tiro e corse in direzione della cittadina. Gli altri lo seguirono e io con loro. Arrivammo a metà della foresta vicino ai margini del ponticello di pietra che tagliava verso la chiesetta; e li trovammo ad aspettarci…
    <<leon! Maledizione ma che hanno in mente?>>
    Gridò Norha mentre estraeva il suo martello da lavoro dal lungo manico e gli altri si armavano di archi, frecce e spade. Tuck si bloccò col carretto davanti al ponticello…
    <<miserabili! Voi che disturbate il sonno eterno dei morti, voi che trafugate le loro povere spoglie; cosa volete? Perché ci attaccate? Cosa vi spinge a tali atti impuri e considerevoli?>>
    Gli uomini che ci attendevano all’altro punto del ponte si misero a ridere. Risate fredde ma divertite; erano vestiti da soldati dalla tunica nera, avevano elmi e armature ammaccate, armati di spade rozze e mazze ferrate; poi il piccolo drappello si spostò lasciando un varco a metà e a lenti passi arrivò un cavaliere dall’armatura nera e scintillante, dall’elmo chiuso a becco su un’imponente cavallo nero e nervoso…
    <<frate, fatevi da parte se volete salva la vita>>
    La voce che rimbombava nell’aria era metallica per via dell’elmo chiuso e non ammetteva toni di replica. Mio padre si mise davanti al carretto del frate e sfilò la spada con gesto calmo e attento…
    <<chi siete, o voi straniero?>>
    La voce di mio padre era tagliente e pronta a tutto. Vi fu parecchio silenzio e poi dall’armatura nera arrivò una risata…
    <<ah eccovi Ser Leon di Nottinghamshire! Volevo proprio voi; sono venuto qui da una terra molto lontana solo per avere l’onore di porgere fine alla vostra miserabile vita>>
    Tutti fecero un passo avanti, mentre io ero rimasto tra il folto degli alberi insieme a Janet e Robert. Dovevo restare dov’ero ma avevo tirato fuori la mia piccola spada di legno come avevo fatto mio padre. Ero uno sciocco, cosa pensavo di fare con quel giocattolo? Ma pur essendo piccolo e ignorante in quel momento, non capivo, volevo essere coraggioso e battagliero come mio padre. Poi un colpo di zoccoli sulla pietra fredda e il cavallo nero partì nella direzione del carretto, di cui riuscì con un solo impatto a scaraventare a terra per metà e Tuck cadde nel ruscello sottostante senza avere danni. Mio padre alzò la spada in tempo e colpì quella rozza del cavaliere nero e si udì un fastidioso rumore di lame. La battaglia era iniziata da li. Gli uomini in divisa nera si scagliarono urlanti contro di noi e mio padre fece cadere da cavallo il suo avversario. Al primo impatto di battaglia, caddero due uomini loro trafitti al petto o al collo dalle frecce precise scagliate da Robert e Little Jhon; mentre Norha prendeva a martellate cinque che erano contro di loro. Fair Tuck tirò fuori un randello e cominciò a fendere colpi contro altri due…
    <<papà!>>
    Ero uscito come un pazzo dalla sicura foresta e uno degli uomini in nero cercò di prendermi ma venne trafitto dalla spada di Janet che era saltata addosso all’uomo…
    <<vattene via Edmund! Scappa!!!>>
    Mi urlò mio padre mentre la sua spada lottava contro quella dell’armatura nera. Ero pietrificato dalla paura per l’attacco improvviso ed ero testardo a non lasciare mio padre; la lotta si stava consumando davanti a me. I forti colpi di martello di Norha, le vibranti frecce che colpivano di Robert e Little Jhon, le urla violente e imprecate delle vittime. Poi venni preso per la vita e allontanato…
    <<papà!>>
    Urlavo con le lacrime agli occhi e cercando di dimenarmi dalla presa alla vita…
    <<edmun ragiona!>>
    Era la voce della moglie di Norha. Corse con me in braccio all’interno della foresta, non si fermava un attimo continuando a guardarsi in giro agitata e cercando di farmi smettere di chiamare mio padre. Ma poi una figura veloce e dal rumore di ferro ci sbarrò la strada. Era l’armatura nera, che rideva e diede un forte calcio alle gambe della donna e cademmo a terra. Io mi rialzai parandomi davanti a lei, che urlava aiuto e estrassi di nuovo la mia spada di legno…
    <<ahahah! Cosa pensi di fare moccioso? Scalfirmi con quell’inutile ninnolo?>>
    La figura nera rideva di gusto e con un gesto secco alzò la spada e sentì dopo pochi istanti un qualcosa al fianco destro; e un dolore lancinante, che mi piegai a terra. Perdevo sangue da un taglio che partiva al di sopra della pancia e arrivava di qualche centimetro dietro la schiena; non riuscivo a respirare dal male. La moglie di Norha piangeva e urlava aiuto, si buttò contro la figura nera ma lui la calciò via di nuovo con forza facendola sbattere contro una grossa radice che sbucava da terra e fargli perdere i sensi….
    <<tu sei il frutto di un grosso sbaglio, sai piccolo?>>
    Disse l’uomo nella sua armatura nera che avanzava lentamente verso di me, facendo girare la sua spada tra le mani come un giocoliere…
    <<se tu non fossi mai nato, lei sarebbe ancora viva. Sei stato davvero la causa della sua morte>>
    I passi erano più vicini, la voce più dura e cantilenante…
    <<ma ora avrai la tua punizione, per averla uccisa>>
    La spada si levò sopra di me, ma quando cadde su di me, cozzò contro quella lucente di mio padre. E L’uomo in nero si ritrasse di qualche passo…
    <<norha!!!>>
    Mio padre urlò il nome del suo amico e quest’ultimo sbucò dal nulla prendendomi in braccio…
    <<norha corri al villaggio! Portalo dal dottore preso!>>
    Disse mio padre disperato e arrabbiato allo stesso istante…
    <<ma Leon…>>
    <<corri! Penseremo noi a tua moglie!>>
    Mio padre guardò Norha freddo e sottosforzo per tenere a bada l’armatura nera che cercava di colpirlo con la spada. L’omone si voltò un po’ titubante e corse di nuovo verso il ponte. Ormai era buio nel cielo, vedevo solo quello e Norha mi incitava a non mollare, a tenere duro. Sentivo i suoi passi veloci, la sua voce forte e impaurita, le sue richieste di aiuto. Poi sentimmo una voce…
    <<norha! Dallo a me!>>
    Era Robert. Non riuscivo a vedere era tutto buio, sentivo solo voci concitate, prima chiare poi a poco a poco confuse, il dolore mi pulsava forte sentivo freddo e il respiro arrancare. Poi più nulla…

    Sognai qualcosa di poco chiaro ma agitato: vidi una donna sorridermi, aveva capelli biondi e i occhi marroni; come i miei, mi salutava e poi vidi mio padre salutarmi e seguire quella donna. Nei suoi occhi vi era una luce chiara e un sorriso felice. Poi vidi la figura dell’armatura nera ridere e far cadere la sua spada su di me.
    A quel punto mi svegliai. Mi trovavo da qualche parte, ero sdraiato su qualcosa di morbido, cercai di sedermi ma sentii una fitta forte e poi una voce…
    <<dottore! Dottore si è svegliato venite!>>
    Ero sveglio e quindi vivo. Ma quando mi dissero che mio padre era morto, avrei preferito non esserlo. Non so quanto piansi, ma molto perché persi i sensi dalla fatica. Ma da quel giorno, oltre aver perso mio padre, ero rimasto marchiato, sia nel corpo che nell’anima…

    <<tuo padre voleva che tu avessi questo>>
    Norha mi si avvicinò in quella mattina gelida. Stavo davanti alla fresca tomba di mio padre, osservavo con il volto rigato di lacrime il tumolo di terra smossa, deposta sopra la sua bara di legno. La sua croce era di ferro lavorato da Norha stesso e spiccava nel piccolo cimitero accanto alla tomba di mia madre. L’omone mi porse un oggetto…
    <<era di tuo nonno. Leon voleva che tu diventassi un balestriere>>
    Guardai l’oggetto che le sue grandi mani mi ponevano davanti agli occhi: era una balestra ben lavorata e ben tenuta, ma si vedeva che era stata usata per via di qualche scheggia nel ferro e nel legno. La presi; pesava. Poi guardai Norha…
    <<papà lo vuole?>>
    <<sono state le sue ultime parole>>
    Disse Norha con le lacrime agli occhi. Mi voltai verso la croce di ferro con incisa il nome e la data di morte di mio padre…
    <<papà…lo sarò. Sarò un balestriere!>>
    Lo dissi urlando per poi tornare a piangere senza ritegno, sfogandomi di quel dolore che avevo nel cuore. Ero rimasto solo; ma era iniziato il mio mondo di balestriere…


    Continua…
     
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2 replies since 25/8/2012, 23:57   103 views
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