Piombo & Sangue

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  1. 7-MementO-11
     
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    Ciao a tutti ^^

    Forse alcuni si saranno cheisti perchè da qualche giorno non mi facevo vedere... bhè, il fatto è che sono stato un pò impegnato su un altro forum (susu, non fate i gelosi, io voglio ebene a tutti e due i forum ^^) e questa FF è uno dei risulatiti che stà avendo...

    Ne avevo parlato qualche giorno fà con un utente, e visto che sembrava interessata a leggerla ho pensato di iniziare a postarla anche qui :)

    Ovviamente sono accettati cosnigli, critiche, pareri, giudizi e qualcune altra cosa ^^



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    Atto I°
    Capitolo 1°




    Aveva appena finito di piovere e sentivo il rumore delle ultime gocce d’acqua che, rimaste intrappolate sulla superficie dei tetti e delle foglie, cadevano nelle numerose pozzanghere dissemiante lungo la strada.
    Percepivo anche il suono dei passi della ragazza al mio fianco, che camminava decisa accanto a me, nonostante i tacchi che portava.
    L’odore della spazzatura e dello smog che aleggiava in quella stradina era nauseante, tanto che più di una volta provai il desiderio di vomitare; perciò potete capirmi quando vi dico che sia io che la mia compagna cercavamo di arrivare alla nostra meta più velocemente possibile.
    Certo, non correvamo, anche se avrei voluto. Sapevo però che lei non sarebbe riuscita a tenere il mio passo con i tacchi, perciò si sarebbe vista costretta a togliersi le scarpe e a corrermi dietro scalza.
    E non volevo assolutamente costringerla a fare una cosa del genere.

    Finalmente arrivai alla nostra meta, ossia una vecchia costruzione, ormai annerita dal tempo e delle intemperie.
    Rimasi di fronte alla porta, voltandomi a controllare che la ragazza stesse bene e trovando come risposta i suoi occhi color nocciola puntanti verso i miei.
    Bussai leggermente sulla porta di metallo, aspettando una reazione all’interno e, dopo aver aspettato un momento, bussai nuovamente, con più decisione.
    Sentì il rumore delle auto in lontananza, poi una voce femminile provenire da dietro la porta di metallo.
    - Parola d’ordine. – esclamò la voce.
    Sbuffai, dopodiché mi volta nuovamente verso la mia compagna, sicuro che stessimo pensando la stessa cosa.
    - Erika, apri questa porta, siamo noi. – dissi.
    Probabilmente lei riconobbe la mia voce, perché sentì la serratura girare e vidi la porta aprirsi scricchiolando.
    Entrammo decisi, e non mi preoccupai neanche di guardare la ragazza che ci aveva aperto la porta, tanto oramai conoscevo i suoi lineamenti e i suoi capelli castani; ero sicuro anche che stesse indossando una qualche felpa larga, comoda, comprata a pochi soldi e si gusto orribile.
    - Adesso ti metti a chiedere la parola d’ordine a chiunque passi? – dissi. – Tanto per non renderci sospetti, vero? –

    Non aspettai la risposta, consapevole che non ce ne sarebbe stata una, ma lascia quella stanza grigia, spoglia e inizia a scendere le scale che portano al piano sotterraneo.
    Sebbene fosse da molto tempo che non facevamo una riunione in quel luogo mi ricordavo bene le scale buie, malamente illuminate e strette.
    Sentivo la mia ragazza camminare dietro di me, facendo i gradini con tranquillità, nonostante il tacco da sette che portava.
    Raggiunsi una porta, anch’essa di metallo, e la aprii di malavoglia, sperando che l’ambiente fosse migliorato dall’ultima volta che ero stato in quel luogo.

    Entrai nella stanza con un passo, deluso.
    I muri della stanza erano ancora sporchi come l’ultima volta, l’aria era stantia e la luce artificiale non illuminava correttamente la stanza, ma creava spazi perfettamente illuminati e zone di buio completo.
    Al centro della stanza era posato un lungo tavolo nero, con poche sedie disposte intorno ad esso, mentre su una parete era appoggiato un vecchio divano, aperto in due punti da un paio di tagli.
    Sul muro di fronte alla porta era posato l’unico pezzo dell’arredamento che fosse nuovo, o almeno non fosse vecchio; in quel punto si esibiva, infatti, una bandiera rossa, al cui centro spiccava un simbolo nero ben riconoscibile all’interno di un cerchio bianco.
    Quel simbolo era la croce uncinata o svastica, com’era più comunemente chiamata.

    - Benvenuto Alessandro. – mi salutò Massimo, seduto a capotavola, su una delle poche sedie disponibili.
    Alla sua destra era seduto Max, che non si curò nemmeno di alzare la testa, preso com’era dalla lettura di un libro, mentre Diego era seduto sul lato sinistro del tavolo e guardò prima me, poi la ragazza al mio fianco, come se la nostra presenza lo infastidisse.
    Potevo dire di essere d’accordo con lui per una volta. Quel posto mi faceva schifo, ogni singola parte del mio corpo mi diceva che non dovevo essere in quel luogo, in quella squallida stanza.
    Pensai di sedermi sul divano, ma mi bastò guardarlo per qualche secondo per decidere che non fosse il caso; a quel punto pensai di sedermi sull’ultima sedia rimasta libera, ma la mia mente mi riportò alla ragazza al mio fianco.
    Sapevo che lei aveva fato il mio stesso ragionamento, ma non vi avrebbe mai chiesto di occupare quell’ultimo posto, come non si sarebbe mai seduta negandolo a me. Era una questione di educazione.
    Mi volta verso di lei, consigliandole di sedersi. Lei non rispose, ma fece qualche passo fino a raggiungere la sedia, quando fu bloccata.

    - E’ occupato.- disse una voce.
    Mi voltai verso di Diego, che continuava a fissarci.
    Risposi io prima che la mia compagna potesse farlo, non perché non credevo che non fosse in grado di rispondergli a dovere, ma solo perché mi dava fastidio l’idea che qualcuno si azzardasse parlarle così.
    - Ah si? E da chi? – chiesi, facendo qualche passo verso il tavolo, togliendomi di dosso la giacca scura.
    - E’ per Erika. – si limitò a rispondere.
    Sbuffai. Come osava fare tanto il cavaliere, uno come lui, che nemmeno sapeva cosa fosse la galanteria.
    - Erika adesso non c’è. – esclamai. – O Sbaglio? –
    Lui aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiese, decidendo che fosse meglio rimanere in silenzio.
    Bene, pensai, finalmente la capisce che deve restare zitto.
    Finita la discussione la mia ragazza si sedette sula vecchia, mentre io mi appoggiai al muro, cercando di non domandarmi quanto questi fosse sporco.
     
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  2. 7-MementO-11
     
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    Atto I°
    Capitolo 2°




    La vecchia sedia scricchiolava sotto il mio peso mentre mi sporgevo in avanti, verso il tavolo.
    Appoggia entrambe le braccia alla superficie lisce e guardai le altre presenze nella stanza. La mia attenzione fu subito presa dai due nuovi arrivati che si guardavano intorno, con un espressione infastidita e un atteggiamento arrogante.
    Ero sicuro che Alessandro pensasse di avermi rimesso in riga, ma non era così. Non mi ero arreso, mi ero rotto di sentire le sue risposte saccenti.
    Lo guardai mentre si appoggiava al muro; indossava una camicia scura, forse marrone scuro, ma l’illuminazione non mi permetteva di dirlo con sicurezza, che si abbinava a un paio di jeans neri.
    I suoi vestiti scuri facevano risaltare ancora di più la sua pelle chiara e liscia.
    Di fronte a lui era seduta la sua ragazza, Serena. Anche lei aveva una carnagione chiara e curata; i lunghi capelli rossi le cadevano sulle spalle senza ricci o tagli particolari. Probabilmente non aveva fatto in tempo a pettinarsi correttamente, come Alessandro non aveva fatto in tempo a mettersi uno dei suoi profumi maschili.
    Un ciuffo di capelli rossi le cadeva dietro un orecchio e, dopo una curva, si posava sui seni, messi in mostra dalla scollatura di una maglietta.
    Le spalle erano coperte con una giacca leggera, scura che le contornava il collo con un inserti di vera pelliccia e le copriva le braccia fino alle mani, dove, stranamente, le unghie non erano coperte da un qualche smalto costoso.
    Portava anche una gonna corta e nera, che le arrivava fino a metà della coscia, lasciando in bella vista le gambe lisce e i piedi che calzavano un paio di scarpe scure con tacco.
    Sbuffai, pensando che, nonostante la fretta, non avessero neanche preso in considerazione di mettersi un paio di scarpe da ginnastica, una felpa e uscire così. No, era impossibile; loro erano troppo aristocratici, quei vestiti andavano bene solo per noi, i plebei.
    Classico dei succhiasangue.

    Mi voltai verso l’altro succhiasangue presente, Max, intrappolato dalla lettura di un libro tascabile, seduto affianco a Massimo.
    Lui era l’unico succhiasangue che riuscivo a sopportare; certo, non eravamo grandi amici, ma potevo stargli affianco senza provare il desiderio di staccargli la testa.
    Max non aveva l’indole da aristocratico, non trattava il resto del mondo come se fossimo solo dei plebei. Lui in realtà era uno studioso, credo fosse la mente teorica del gruppo, oltre che il braccio destro di Massimo.
    Lui, Massimo, sedeva invece a capotavola. Lui era un unico della sua specie in questa stanza, anzi, credo che fosse l’unico della sua specie in tutta l’Italia.
    Molti anni fa alcuni vampiri e alcuni di noi licantropi decisero che sarebbe stato molto meglio per “la razza ariana” se avessimo unito le forze, invece di combatterci a vicenda.
    Fu un’idea orribile. Non so come poterono pensare una cosa così stupida. Già l’idea di vampiri e licantropi assieme era rivoluzionaria, ma non avevano riflettuto sul fatto che non tutti fossimo della stessa opinione. Basta pensare che alcuni di noi pensavano che gli esseri umani, gli ariani ovviamente, dovessero essere salvati dallo sterminio, e tenuti come servi, o addirittura da nostri pari. Altri di noi pensavano che tutti gli umani dovessero essere eliminati.
    Quando si resero conto di questo clima di tensione, ebbero un’altra brillante idea per unire il gruppo. Creare un capo nuovo, una nuova razza, nata dall’unione di un vampiro e un licantropo. Un essere nuovo, capace di prendere il meglio di entrambe le razze.
    L’idea poteva essere buona, ma si rivelò un fallimento colossale; non che non nascessero effettivamente queste nuove creature, ma avevano non pochi problemi.
    Uno su tutti. Nascevano solo maschi, e tutti i maschi nati da queste unioni erano eunuchi.
    Semplicemente nascevano senza organi riproduttivi.
    Quando nacque il primo caelestis, era questo il modo in cui avevano chiamato questa nuova razza, pensarono che fosse dovuto ad una deformità fisica del piccolo stesso, perciò lo uccisero immediatamente. Si resero conto e accettarono che non fosse così solo quando arrivarono al quinto neonato.

    Mi voltai verso Massimo, osservando i suoi lineamenti vecchi e la sua barba mal rasata.
    Chiunque lo avesse visto avrebbe pensato che si trattasse di un settantenne, ma noi sapevamo che era più giovane. Molto più giovane.
    Questo era un altro dei problemi dei caelestis: invecchiavano in fretta. Se noi licantropi potevano raggiungere fino i centoventi anni e i succhiasangue addirittura tre o quattrocento, loro invece vivevano in media appena una trentina d’anni. Trentacinque se erano particolarmente longevi.
    Il caelestis di fronte a me per l’esattezza aveva 27 anni.
    I camerati prima di noi, ovviamente solo coloro che appartenevano alla nostra stessa natura, avevano immaginato i caelestis come una razza superiore a tutte le altre, in grado di guidarci. Tutto ciò che riuscirono ad ottenere furono queste figure, inferiori sia a noi licantropi che ai succhiasangue.
    Nonostante ciò non furono completamente inutili. Divennero simbolo dell’unità, e come tali si assicuravano di preservare la pace all’interno della nostra organizzazione. In poche parole Massimo faceva da cuscinetto, per evitare che ci scannassimo a vicenda.

    Un rumore mi riscosse dai miei pensieri e mi voltai verso la porta di metallo, che si aprì cigolando e permettendo a due licantropi di entrare nella stanza.
    Un ragazzo che non mostrava più di 25 anni entrò sorridendo e, velocemente, si sdraiò sul vecchio divano rosso appoggiando la testa a un cuscino, occupandolo completamente.
    Mi voltai a guardare Erika che, dopo aver cercato con lo sguardo una sedia libera, decise di sedersi sul tavolo, incrociando le gambe.
    Lei e Serena erano ai lati opposti della tavola, quasi a voler rimarcare la loro diversità; osservai i capelli scomposti della licantropa, la sua carnagione leggermente abbronzata.
    Portava una felpa da ginnastica piuttosto larga e colorata come una mimetica militare.
    Sotto questa felpa portava una maglietta viola, ormai scolorina in alcuni punti, comprata in un mercatino almeno un anno prima e indossata senza interesse o particolare cura.
    Le gambe erano coperte da dei pantaloni lunghi da ginnastica, completamente neri.

    Improvvisamente, dietro di me, BlackJack parlò:
    - Marco non viene. – esclamò, ancora sdraiato sul vecchio divano, ma riverso su una spalla, in modo da poter osservare il tavolo e le persone sedute intorno ad esso.
    Bene, pensai, finalmente possiamo iniziare.
     
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  3. URU THE QUEEN
     
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    molto interessante 'sta FF!!!
    continuala al più presto!!!!!!
    complimentoni ancora meme!
     
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  4. 7-MementO-11
     
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    CITAZIONE (URU THE QUEEN @ 18/6/2011, 22:43) 
    molto interessante 'sta FF!!!
    continuala al più presto!!!!!!
    complimentoni ancora meme!

    Grazie ^^

    Domani posto il 3°.
    (E vi avverto che la storia si complicherà un pochino, però inizierà ad accadere qualcosa ^^)
     
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  5. 7-MementO-11
     
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    Atto I°
    Capitolo 3°



    L’aria della stanza era satura di fumo, nonostante avessimo aperto le finestre. L’unica illuminazione era una lampada a pile, portata da un compagno, posata nel mezzo della sala. Eravamo seduti intorno a questa luce, formando un cerchio perfetto.
    Aspirai dolcemente il fumo della sigaretta che avevo in mano, che mi ero fabbricato pochi minuti prima con una vecchia cartina e del tabacco di origine cinese.
    Mi guardai intorno, osservando le pareti intorno a me; c’eravamo riuniti spesso in quel luogo, sebbene fosse ovvio che nessuno di noi fosse il proprietario. Si trattava di una vecchia fabbrica, che non appena fu considerata “poco redditizia” fu chiusa e i lavoratori licenziati in blocco. Quando c’era silenzio, se chiudevo gli occhi, mi sembrava di poter ancora sentire il rumore dei macchinari e le voci di coloro che si spezzarono la schiena solo per un tozzo di pane.
    Il fumo del tabacco e dell’erba formava una nebbia strana, quasi magica. Probabilmente perché la stanza non era particolarmente alta, inoltre l’unico sistema di aereazione era composto di alcune piccole finestre, tre nella parete alle mie spalle e altrettante in quella di fronte a me.
    Nelle pareti ai miei lati erano presenti le due porte, in realtà si trattava solo delle sagome della porta, perché quando i proprietari avevano svuotato la fabbrica si erano portati via perfino quelle. Fu dall’entrata alla mia sinistra che comparve Elena.

    Lei si tolse di dosso l’impermeabile, posandolo su una sedia che avevano abilitato ad appendiabiti. Dopodiché prese l’unica sedia ancora disponibile, entrando a far parte di quel cerchio mistico.
    La salutammo e lei ricambiò i saluti, dopodiché un ragazzo di circa diciotto anni, con un fazzoletto rosso legato intorno al collo e la barba scura mal rasata, prese la parola.
    - Penso che tutti noi sappiamo cosa sia successo. – esclamò.
    Io rimasi in silenzio volgendo lo sguardo sulla parete di fronte a me, dove, la prima volta che c’eravamo riuniti in quel luogo, Giorgia aveva disegnato una falce e un martello con la vernice spray rossa.
    Improvvisamente una voce penetrò l’aria, rompendo il silenzio.
    - No, Piè, io non lo so. –
    Spostai lo sguardo verso Matteo, il più giovane del gruppo avendo solo sedici anni, che osservava il diciottenne con un’espressione imbarazza, come se si vergognasse di aver parlato.
    Io sapevo perché eravamo in quel luogo, ero stato informato da alcuni compagni, ma le notizie passavo più per sentiti dire che in un modo preciso, perciò non era particolarmente strano che qualcuno non fosse stato informato.
    Pietro rimase qualche secondo in silenzio, come se cercasse le parole giuste.
    - Hanno ucciso Maurizio Norvelli. – disse infine, prima di aspirare un tiro dallo spinello che teneva in mano.
    Nella sala calò il silenzio. Tutti noi sapevamo chi era Norvelli, anche se solo Pietro aveva avuto la fortuna di incontrarlo, durante una delle sue manifestazioni. Maurizio era un sindacalista, ma non uno di quei socialisti falsi e repressi. Lui credeva nella vera rivoluzione, lui partecipava alle manifestazioni assieme agli operai, sempre in prima fila.
    L’avevano ammazzato. Erano rimasti in attesa che uscisse da casa e avevano premuto più volte il grilletto di una pistola. Quattro volte, per essere precisi. Un proiettile andò a vuoto, due gli bucarono un polmone e uno lo prese al cuore. La signora Norvelli non poté far altro che vedere il marito accasciarsi al suolo e i due ragazzi, con il volto coperto dai caschi, allontanarsi in moto.

    Per un momento dimenticai di respirare con la bocca e il mio olfatto, superiore per natura a quello degli esseri umani, fu colpito dall’odore del fumo. Scossi la testa, cercando di mandare via la sensazione di fastidio, poi tornai a osservare Pietro, che però teneva il capo basso, in silenzio.
    - Sono stati i nazi? – prese parola Giorgia.
    Pietro non alzò la testa, ma intervenne nuovamente.
    - Pare di sì, ma ovviamente non c’è nulla di sicuro. –
    Sbuffai, infastidito. I Neo-Nazisti… un branco d’idioti repressi. Stupidi, arroganti, ipocriti buffoni. E anche codardi, visto che dovevano essere in due e a volto coperto per avere il coraggio di agire.
    - E cosa facciamo? – domandò Matteo.
    Sapevo che “Cosa facciamo?” non era la domanda giusta. La domanda giusta era: “Come reagiamo?”.
    - Dobbiamo agire, subito. – intervenne un ragazzo biondo, con indosso una kefiah scolorita.
    - No. – rispose Ivan. – Non dobbiamo agire se non siamo sicuri. –
    Elena si voltò verso di lui, serrando la mascella.
    - Preferisci aspettare?! – lo interrogò.
    - Sì, piuttosto che prendere la strada sbagliata. – rispose lui.
    Un ragazzo con indosso una maglietta completamente bianca si protese nella sua direzione, con fare deciso.
    - E aspettare che ammazzino qualcun altro?! – esclamò.
    - Ha ragione, non possiamo aspettare. – annuì Pietro.
    - Ma non sappiamo neanche chi è… - cercò di dire Matteo, prima di essere interrotto dal ragazzo con la kefiah.
    - E chi altro vuoi che sia stato? –
    Il ragazzo sussultò, probabilmente sentendosi schiacciato dalla sua voce.
    - Bhe… potrebbero… - cercò di ribattere.
    - Se ci fermiamo in chiacchiere, state tranquilli che ci riproveranno. – li interruppe Elena.

    Io rimasi in silenzio, mentre le voci crescevano intorno a me, coprendosi le une con le altre. Queste erano le nostre riunioni. Chiunque avesse qualcosa da dire era libero di farlo, da pari a pari.
    Non sapevo cosa dire. Certo, ero quasi sicuro che fossero stati Nazi a compiere quell’attacco, ma non ero sicuro che dovessimo intervenire così velocemente. Forse dovevamo aspettare di avere più informazioni, ma non potevamo rischiare che cominciassero a considerarci prede facili.
    Prede. Solo l’idea mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Io, un cacciatore, che vengo considerato una preda indifesa. Proprio come le pecore spaurite sulle quali mi avventavo durante le mie cacce.
    Improvvisamente Pietro parlò, abbastanza forte da coprire le altre voci.
    - Chi è a favore di un’azione? –
    Nella sala calò il silenzio. Mi voltai verso le altre presenze della stanza, mentre queste si scambiavano occhiate a vicenda.
    Lentamente Pietro alzò il braccio sinistro, tenendo il pugno chiuso. Elena e il ragazzo con la kefiah lo imitarono velocemente, dopodiché anche Federica e il ragazzo con la maglia bianca seguirono l’esempio.
    I cinque rimasero immobili, con il pugno sinistro alzato, per qualche secondo, dopodiché lo abbassarono e Ivan prese parola.
    - Chi è contrario? – disse, alzando lui stesso il pugno, seguito da Matteo che alzò il braccio lentamente, guardando i volti dei presenti, cercando uno sguardo di approvazione.
    Così si concluse la discussione. Cinque favorevoli, due contrari, io accompagnato da Giorgia e un altro compagno astenuti.
     
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  6. URU THE QUEEN
     
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    appero k capitolino interessante!!!
     
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  7. Naisha~GNHJ
     
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    Che bella questa fan fiction!! All'inizio non avevo capito che si trattasse di vampiri e licantropi, ma alla parola "succhiasangue" ho capito xD comunque sono curiosa di conoscere il seguito! E soprattutto la faccenda dei Nazisti!
    Ah e volevo solo dire una cosa...

    CITAZIONE
    Sentivo la mia ragazza camminare dietro di me, facendo i gradini con tranquillità, nonostante il tacco da sette che portava.

    Non è difficile camminare con un tacco 7 U.U Diciamo che diventa un pochino più difficile scendere le scale dal tacco 10 in su xD
    Vabbè ma questo non c'entra niente con la bellezza della FF quindi, come ti ho già detto mi piace e mi incuriosisce anche se è solo all'inizio :D

    p.s: W i licantropi. Sempre stata dalla loro parte e lo sarò sempre U.U
     
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  8. 7-MementO-11
     
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    Oh, qualcun'altro che si fila questa FF? Non me lo aspettavo. xD

    CITAZIONE (Naisha~GNHJ @ 2/7/2011, 19:43) 
    Non è difficile camminare con un tacco 7 U.U Diciamo che diventa un pochino più difficile scendere le scale dal tacco 10 in su xD

    aspè, ti spiego la storia dei tacchi... in teoria la pram votla che l'avevo scirtta dovevano essere da 12 o da 14... però poi mi sembrava un pò troppo (è tardi, sono stati chiamati d'urgenza... dei tacchi da 14 non sono propio ideali xD)...
    così su Google ho cercato delle scarpe coi tacchi, e ne ho trovato un paio che mi paiceva molto e perciò ho messo il numero che avevano... appunto "solo" un tacco da 7 xD


    Comunque mi fa piacere che ti piaccia ^^

    Ti faccio notare il modo in cui i "rossi" compiono le loro riunioni, perchè nel prossimo capitolo assisteremo alla riunione dei nazi (che, lo ammetto, avranno più spazione nel romanzo) e si vedrà che differenze ci sono propio nel modo di agire...

    Edited by 7-MementO-11 - 6/7/2011, 19:08
     
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  9. 7-MementO-11
     
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    Atto I°
    Capitolo 4°



    Rimasi immobile per pochi secondi, osservando quel licantropo che, appena entrato, si era sdraiato sul quel lurido divano; osservai i suoi jeans scuri e la sua pesante camicia rossa. Spostai lo sguardo fino al suo volto, notando i capelli biondi tirati indietro con il gel e i suoi occhi azzurri.
    Riuscivo a sentire l’odore del suo profumo da quattro soldi, comprato in un qualche squallido supermercato. Devo ammettere che quell’odore si abbinava perfettamente alla figura di BlackJack. Tanti sforzi per farsi vedere, ma alla fine non era altro che uno squallido prodotto da pochi soldi. Probabilmente era convinto che bastasse un po’ di profumo e un paio di vestiti costosi a essere signorile.
    Spostai lo sguardo verso Massimo, in attesa che iniziasse a parlare.
    - Bene… - esordì. – Dovete sapere che questa mattina una coppia di umani ha attentato alla vita del sindacalista Norvelli Maurizio. –
    Mi voltai verso la mai ragazza e lei, quasi in sincronia, si girò in modo da incrociare il mio sguardo.
    Tutti noi presenti nella sala sapevamo cosa significava quel gesto. Era la scintilla, la fine di una storia e l’inizio di un’altra. Come se qualcuno avesse chiuso un quaderno, e ne avesse aperto un altro completamente bianco. Adesso tutto era possibile, potevamo ergersi sopra tutte le altre voci, oppure cadere.
    E tutto questo era accaduto senza che fossimo informati.
    Vidi Erika digrignare i denti, resistendo alla tentazione di parlare. Per un momento potei comprenderla. Anch’io sarei voluto intervenire, ma sapevo bene che non c’era permesso interrompere il nostro caelestis durante un discorso. Avremmo dovuto aspettare, trattenere le domande fino al momento in cui ci avesse chiesto di parlare.
    Massimo prese in respiro profondo, prima di ricominciare a parlare.
    - Ora che la sfida è iniziata non possiamo perdere tempo. Le prime fasi potrebbero essere decisive. –
    Vidi Diego annuire e osservai le rughe sul volto di Massimo.
    - Mi sono riunito assieme agli altri “capi” e abbiamo pianificato le azioni future. –
    Il caelestis alzò la mano, puntandola verso di me.
    - Tra due giorni a Firenze si terrà un convegno di alcuni sindacalisti e abbiamo deciso che un gruppo dei nostri andrà a insegnargli una lezione. – esclamò, prima di spostare la mano in direzione di BlackJack. – Ho deciso che di questo gruppo faranno parte anche Alessandro, Giacomo e Marco. –
    Sbattei le palpebre, e mi trattenni alla tentazione di voltarmi nuovamente verso la mia compagna, consapevole di avere lo sguardo di Massimo puntato su di me.
    - Partirete, assieme ad alcuni umani, domani sera e il convegno è fissato per l’imbrunire del giorno successivo. – continuò il caelestis. – Così non avrai problemi con il sole, Alessandro. –
    Strinsi i denti. Perfetto, pensai, adesso avrei dovuto passare due giorni in compagnia di umani e due cani rognosi.
    Sentivo alcuni dei presenti trattenere il respiro, e per un attimo nella stanza non ci fu alcun rumore, come se lo scorrere del tempo si fosse fermato per pochi secondi. Finché Massimo non ricominciò il suo discorso.
    - Quello stesso giorno. – Disse, voltandosi verso il licantropo seduto sulla sedia. – Diego ed Erika dovranno toglierci di dosso una colonna di sinistra. –
    Mi voltai verso quei due cani rognosi, osservando lo sguardo indifferente di Erika e quello sorridente del licantropo.
    - Attaccherete durante il pomeriggio. – spiegò. – Alcune nostre fonti dicono che Martelli pranzerà assieme ad alcuni compagni. Voi lo colpirete non appena uscito dal ristorante. –
    Vidi Diego contrarre la mascella, cercando di trattenere una rabbia improvvisa. Sogghignai, sapendo il motivo della sua frustrazione. Attaccare di giorno, in strada dove chiunque poteva vederli, gli negava la possibilità di trasformarsi, di cacciare, di sentire il sapore dolce e ferroso del suo sangue. Per un momento ebbi l’impressione che sarebbe esploso, iniziando a sbraitare come un idiota, invece rimase in silenzio, in attesa di poter parlare. Alla fine anche i lupi selvatici si erano trasformati in ubbidienti cagnetti.
    Il caelestis cinse le vecchie mani, portandole sotto il suo mento.
    - Lo so che questo modo di agire non ti fa’ piacere, Diego, ma non abbiamo altra scelta. –
    Non riuscì a non sorridere all’idea che avrebbe dovuto utilizzare una pistola. Un’arma vile, umana. Degna di una razza infima come la loro.
    Massimo si appoggiò stancamente alla sedia, sospirando, mentre Max, alla sua destra, si voltava verso di noi.
    - Avete domande? – chiese il vampiro.
    Alzai lentamente la mano, mentre osservavo i lunghi capelli di Max raccolti in una treccia che gli arrivava fino a metà della schiena e il suo sguardo muoversi dietro ai suoi occhiali.
    - Alessandro. – Esclamò, indicandomi con un rapido movimento della testa.
    - Sappiamo chi siano i ragazzi che hanno tolto la vita a Norvelli? – chiesi, allontanandomi dal muro fino a raggiungere il tavolo. – E perché non ne siamo stati informati, prima che l’azione avesse luogo? –
    Il vampiro stava per rispondermi, ma Massimo lo bloccò.
    - L’azione è stata avventata, ma ormai non c’è nessun motivo per parlarne. – rispose il caelestis. – E i nomi non vi devono interessare. –
     
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  10. 7-MementO-11
     
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    Perdonate il doppio post, ma ci tenevo a postare priam che i miei (pochi) lettori andassero in vacanza ^^


    Atto I°
    Capitolo 5



    Le pesanti tende di seta color mirto coprivano le alte finestre, impedendo alla luce di entrare: ciò nonostante riuscivo a osservare distintamente lo spazio intorno a me. Spostai leggermente la tenda in modo da osservare il cielo, costatando che, sebbene il buio non fosse ancora totale, il sole era sparito sotto l’orizzonte.
    Lascia che la tenda tornasse alla sua forma originale, poi mi voltai verso la stanza. Le pareti erano completamente bianche, limpide, in contrasto con il soffitto decorato di porpora e verde smeraldo. Le tre finestre erano molto alte, partendo a un metro dal pavimento fino ad arrivare al soffitto, alto circa 3 metri. Avrebbero potuto rischiarare facilmente la camera, ma non ricordo che la stanza fosse mai stata illuminata dai raggi del sole.
    Mi voltai verso il pesante letto a baldacchino. Serena era sdraiata, appoggiata al materasso sulla parte destra del corpo, con le lenzuola di seta color panna che le coprivano il corpo dall’inizio dei seni fino ai piedi. Mi guardava con i suoi occhi verdi, messi in risalto dalla carnagione chiara, in attesa, senza dire niente. Camminai in silenzio, fino al letto, per poi sedermi sul bordo di esso, sentendo con le mani la sensazione della seta delle lenzuola.
    Percepì il movimento della mia compagna, che, dietro di me, si alzava sulle ginocchia e mi raggiungeva, sino a posarsi sulla mia schiena. Sentivo la pressione dei suoi seni nudi sulla mia camicia e i suoi capelli cadermi sul collo, piacevoli al tatto. Chiusi gli occhi, ispirando il suo profumo. No, non il suo profumo, il suo odore. Per me era uno delle fragranze più belle che siano mai esistiti.
    Rimanemmo così, immobili, attaccati l’uno all’altra per qualche minuto, poi lei, tenendo sempre la testa sulla mia spalla destra, parlò.
    - Ale, ricordati che devi tornate da me. –
    Ale. Era l’unica cui permettevo di chiamarmi così. Dischiudi gli occhi e mi alzai il più lentamente possibile, cercando di prolungare quel contatto. Mi voltai verso di lei che, seduta sul letto, mi osservata. Provai l’impulso di avvicinarmi, di posare le mie labbra sulle sue e di riempire la mia mente delle emozioni che mi davano l’odore e il suo corpo; ma sapevo che questo non avrebbe fatto altro che rendere il nostro saluto più lungo. Pensandoci era sciocco un tale comportamento dato che saremmo stati lontani solo per un giorno, ma né io, né lei amavamo l’idea di stare troppo lontani per vederci, per sentirci e toccarci. Anche se per poco.
    Distolsi lo sguardo dal suo viso e raggiunsi la pesante porta di legno. Mi voltai nuovamente a guardarla mentre, coperta solo della sua pelle, continuava a seguirmi con lo sguardo e varcai la soglia. Attraversai il corridoio e scesi la larga scalinata di marmo bianco che, ruotando su se stessa, mi avrebbe portato al piano di sotto.
    Non mi voltai sapendo che Serena non mi avrebbe raggiunto, perciò arrivai al portone d’ingresso e lo aprii, entrando nel giardino.

    Mi ritrovai stretto sul sedile di un piccolo furgoncino che un camerata ci aveva messo a disposizione per raggiungere Firenze. Affianco a me era seduto Marco che, con gli occhi socchiusi, ascoltava la musica con un vecchio lettore MP3. Nella coppia di sedili opposta alla mia era seduto BlackJack che parlava con una coppia di ragazzi dietro di lui. Eravamo una quindicina in totale e il furgone era appena sufficiente a portarci perciò l’unico che era riuscito ad accaparrarsi due posti invece di uno era BlackJack.
    Alcuni umani avevano bevuto prima di salire perciò riuscivo a sentire l’odore fastidioso dell’alcol penetrarmi le narici. La maggior parte dei presenti parlava tra di loro, chiedendosi come sarebbe stata Firenze e come sarebbe andata l’azione; in fondo al furgoncino alcuni intonavano “Se Non Ci Conoscete”.
    Improvvisamente BlackJack si voltò verso di me, chiamandomi. Io feci finta di non sentirlo, continuando a osservare il paesaggio scuro che correva fuori dal finestrino alla mia sinistra. Il cane rognoso mi chiamò nuovamente, alzando la voce, ed io mi sforzai di nascondere il fatto che lo avessi sentito. Senza riuscirci.
    - Allora… dov’è la tua bella? – esclamò.
    Io mi voltai verso nella sua direzione consapevole dell’espressione di fastidio che portavo in volto. Indossava una pesante camicia nera con il colletto e le maniche sbottonate, assieme ad un paio di jeans scuri e al suo sgradevole profumo, lo stesso che portava durante la riunione della sera prima.
    - Dovrete stare lontani addirittura un giorno. – Finsi di non notare il suo squallido sarcasmo.
    - Mi chiedo se non si annoierà tutta da sola. – continuò.
    Serrai la mascella, mentre Marco, affianco a me, si toglieva le cuffie del lettore MP3, pronto a intervenire nel caso accadesse qualcosa.
    - Bhe, bella com’è, sono sicuro che non metterà molto a trovar qualcuno che le tenga compagnia. – esclamò BlackJack, ridendo con quel suo sorriso saccente.
    So che avrei fatto meglio a rimanere composto e rispondergli per le rime, ma quando sentì la sua voce parlare in questo modo di Serena non potei fare a meno di lanciarmi contro di lui, ignorando come mi trovavo. Sentì le braccia Marco afferrarmi in vita per cercare di bloccarmi e le mani del ragazzo seduto nel sedile davanti al nostro afferrarmi le spalle. Resistetti all’impulso di liberarmi dalla loro presa, consapevole che non sarei riuscito a misurare la mia forza in quelle condizioni e che questo avrebbe rischiato di rivelare la mia natura. Perciò rimani immobile, protesi in avanti tra le due file di sedili, osservando BlackJack che, appoggiato con la schiena al vetro, rideva divertito e beffardo. Non dissi niente, ma probabilmente il mio sguardo bastò a trasmettere i miei pensieri, perché lui smise per un momento di sogghignare ed io mi rimisi seduto al mio posto, sperando che la vista delle nubi illuminate dalla luna mi calmasse.
     
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  11. Naisha~GNHJ
     
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    Bellissimo :) però aspetta che sono andata un attimo in confusione. Allora, quando scrivi in corsivo è Alessandro che racconta... e dovrebbe essere un vampiro, se non ho capito male...invece prima il soggetto era qualcun altro... però scusa ma non ho capito chi è ^^"
     
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  12. 7-MementO-11
     
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    CITAZIONE (Naisha~GNHJ @ 6/7/2011, 18:55) 
    Bellissimo :) però aspetta che sono andata un attimo in confusione. Allora, quando scrivi in corsivo è Alessandro che racconta... e dovrebbe essere un vampiro, se non ho capito male...invece prima il soggetto era qualcun altro... però scusa ma non ho capito chi è ^^"

    Ok, devo ammetere di aver sbagliato io... di solito uso sempre il corsivo per scrivere le FF, nei primi capitoli mi sono solo dimenticato di metterlo ^^"

    Comunque:
    Nel primo il narratore è Alessandro (vampiro-Nazi);
    Nel secondo è Diego (licantropo-Nazi);
    Nel terzo è Giovanni (licantropo-Comunisti);
    Nel quarto e nel quinto è sempre Alessandro.

    Mi dispiace che non si riesca a capire :(

    P.S. Comuqnue cosa ne pensate di Alessandro e della sua ragazza? :3
    (sono la prima coppia che presento, ma non sarà l'unica ^^)
     
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  13. Naisha~GNHJ
     
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    Ah ok adesso ho capito! ^^
    Comunque, io di solito tendo a detestare i vampiri... poi da quando è in corcolazione quel libraccio chiamato Twilight li odio ancora di più... beh, però Serena mi piace anche se per ora non ha detto molto ^^ mentre Alessandro...Uhm dovrò vedere come continua la storia... per ora non so se mi piace o no ^^"
    Però non mi piace il fatto che siano un po' snob >.<
    Vabbè comunque la storia secondo me è molto bella :)
     
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  14. 7-MementO-11
     
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    CITAZIONE (Naisha~GNHJ @ 6/7/2011, 19:23) 
    beh, però Serena mi piace anche se per ora non ha detto molto ^^ mentre Alessandro...Uhm dovrò vedere come continua la storia... per ora non so se mi piace o no ^^"
    Però non mi piace il fatto che siano un po' snob >.<

    Non è colpa sua se quei cani rognosi non sono alla sua altezza xD

    però con Serena è tenero! :3

    Ok, con il quinto ho finito i capitoli che avevo già scritto... quindi da oggi dovrò sforzrmi un pò e andare avanti u.u

    P.S. Non ti preoccupare, ti assicuro che Serena avrà almeno un paio di capitoli in cui sarà lei la voce narante ^^
     
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  15. Ashelin
     
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    Sinceramente le ff che riguardano vampiri e licantropi non mi piace molto come genere, ma sembra interessante...
     
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14 replies since 15/6/2011, 21:54   157 views
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