Paris

(titolo provvisorio)

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    Re dei Re

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    Primo Capitolo



    Tanta gente passa ogni giorno davanti a tante cose, di svariato genere. Come nei musei; si anche in quei luoghi si passa davanti a tante opere che il mondo ha donato, via, via che il tempo passava. Ogni uomo o donna che in se ha avuto quella bellissima follia o genio chiamato Arte, ha lasciato una parte del suo mondo a chi sarebbe venuto dopo di lui o lei. Ma a volte, passiamo davanti a quadri o sculture o reperti dandogli una sfuggevole occhiata, perché non ci trae ispirazione, o semplicemente perché non è bello. Ognuno ha il suo modo di vedere. Come al Louvre; museo davvero interessante e famoso in tutto il mondo, con al suo interno tantissime opere di ogni genere. Turisti di tantissimi paese che ogni giorno di apertura visita quel luogo pieno di storia. Storia diversa sotto tanti punti di vista, per la categoria che si vuole vedere. Ma quando stai davanti ad un quadro, è tutto un altro mondo. Cerchi di capire cosa voleva raffigurare il pittore, anche dopo aver letto il suo titolo. Ne fissi i particolare più invisibili o le sfumature più interessanti. Ma se non sono quadri di grandi artisti? Eh no, quelli non ci intrigano, non ci portano a loro, con la loro silenziosa voce che ci invita a guardarli. Ma quel giorno vi erano due ragazzi che stavano osservando un certo tipo di raffigurazione, non era di un pittore famoso, ma di un suo allievo. Si, perché anche gli allievi di maestri famosi d’arte avevano fatto capolino in questa follia, e si sono guadagnati una piccola parte di parete, o un angolino. Ma quel quadro interessa molto alla ragazza.
    <<vediamo come si chiama. “Il ballo d’estate”. Come titolo è interessante>>
    Dice la giovane ragazza che tiene per mano un ragazzo che pare distratto; ma poi posa lo sguardo sul quadro. Lo esamina, cerca di concentrarsi su di esso, ma non gli dice nulla.
    <<ma cosa ha voluto significare?>>
    La ragazza legge di nuovo la targhetta.
    <<è di un allievo di Cloud Oscar Monet. Un certo Cloud Dumas, anno 1899>>
    <<si ma il significato? Non lo dice?>>
    La ragazza guarda il ragazzo, e sorride.
    <<ma come, non vedi che è una ragazza che balla in un prato?>>
    Silenzio. A volte certi quadri, erano strani ad occhio estraneo. Ma, si c’è un ma.
    <<secondo te qual’era il motivo per cui l’ha fatto?>>


    Perché l’ho fatto? Vuoi sapere davvero il motivo per cui ho disegnato una semplice ragazza, che danzava in mezzo ad un prato? Non pensavo che a qualcuno potesse interessare quel mio quadro. Chissà perché, ma se potessi riderei un po’.
    Salve e piacere di conoscervi. Torniamo indietro di molti anni, tanto di sicuro non avrete nulla da fare vero? E allora buona lettura.


    Parigi (Francia) 1899

    Parigi, che bella città. Tanto grande a vederla da varie angolazioni, ma piccola per la sua mentalità. Di Parigi si conosce molto della sua storia: la rivoluzione, i suoi lussi, la sua bellezza artistica e tanto altro. Come al solito mentre stavo disegnando vicino alla cattedrale di Notre Dame, pensavo a tutto ciò. Per me non era una novità quei pensieri strani e lontani, i miei amici dicevano che io ero così, strano. Ma tornai al mio quadro, con lo sguardo e con la mente, stavo rifinendo uno dei tanti ritratti che avevo fatto alla piazza della cattedrale, che era sempre uguale, tutti i giorni era identica; con i suoi locali, con le sue due o tre botteghe di diverso genere e con le sue insegne che ormai sapevo a memoria. Ma chissà perché nei miei quadri, raffiguravo tutto ciò che non vi era di visibile, come ad esempio: una principessa che danzava nel suo vestito di festa, oppure un comune giorno di pioggia, dove il grigiore del suo ampio pavimento di pietra pareva colare lungo la via, o un duello capitato magari secoli addietro. Insomma come dicevo sempre, nell’arte vi è immaginazione, o senza di quelli si è perduti. Ma quando alzai lo sguardo dal mio blocco da disegno era già sera. Guardai verso l’orologio che stava sopra l’insegna dell’orologiaio Louis e le lancette davano le diciannove e un quarto, avevo fatto al solito tardi; mi alzai dalla scalinata di Notre Dame e mi incamminai verso una via lontana da essa. Il luogo dove di solito passavo a cenare non stava certo nel punto più famoso o frequentato di Parigi. Camminai sopra diversi ponticelli, e attraversai vari vie e mi intrufolai in viottoli sempre più bui e poco raccomandabili; insomma andavo dove l’alta società non ci avrebbe mai messo piede, a meno che non cercava una qualche prostituta con cui passare del tempo inutile; ma era raro, dato che nella società dei borghesi o degli arricchiti avevano già le loro, di un certo costume e di diversa igiene. Arrivai al quartiere denominato “Nike” tradotto significava “cuccia”. Si quel luogo era la cuccia di tutta la società parigina, i suoi abitanti o chi aveva un locale o una bottega da quelle parti era chiamata dall’alta società “cane”. A Nike potevi trovare di tutto: la povertà, il logoro, la feccia, i sogni infranti e locande poco raccomandabili. Entrai nell’unico locale aperto a quell’ora. Era una specie di osteria teatro, dove si poteva pranzare o cenare e vedere diverso genere di spettacolo; comicità drammaticità, balli e la cosa che meno mi importava. Gli spettacolo a luci rosse.
    <<sera Cloud>>
    Mi salutò Marcell il proprietario del posto, che stava pulendo dei bicchieri. Il locale era semi pieno, ma la maggior parte di chi vi stava era meglio starne alla larga. Mi sedetti in un punto isolato, da cui si poteva osservare il palchetto squallido delle esibizioni. Era fatto di legno vecchio, con pesanti tendoni rossastri che fungevano da sipario. Dopo qualche minuto Marcell mi portò la solita zuppa calda; ormai erano anni che cenavo li e per quell’omone ero quasi un amico, a cui a volte non faceva pagare il pasto. Dato che poi coi pochi disegni che vendevo qua e la, i guadagni erano magri.
    <<com’è andata oggi?>>
    Mi chiese lui guardando il mio blocco di disegni, che avevo tirato fuori di nuovo e avevo posato sul tavolo per tornare a disegnare, aspettando che la zuppa si raffreddasse o almeno cercasse di non diventare poltiglia rigida, come era accaduto diverse volte.
    <<male. Se continuo così, credo che dovrò tornare a rompere i santi al maestro>>
    Dissi al mio amico. Alzai lo sguardo e gli feci un sorriso burbero. Marcell era un uomo alto e di stazza grossa, aveva spalle larghe e due mani che potevano farti girare per un giorno intero, se ti dava uno schiaffo o metterti al tappeto senza tanti complimenti. Aveva due baffi grossi e cespugliosi, che amava lisciarsi con le dita, e vestiva sempre con dei pantaloni rattoppati e una camicia mezza aperta verso la pancia leggermente logora e unta, per via della cucina. Lui fece una risata.
    <<allora stasera vattene senza pagare>>
    Mi disse tranquillo, per lui non era di certo la sua ricchezza, e non gli dava fastidio. Tanto poi avrei comunque pagato in qualche modo. Tornai al mio blocco di schizzi. L’avevo da quando il mio maestro d’arte me lo aveva regalato per il mio quindicesimo compleanno. La pelle che teneva i fogli in altro era fatta di pelle marrone e filo, ma ormai per il tanto usarlo si stava rovinando, ma teneva molto. Sui fogli vi erano disegni o schizzi iniziato o finiti, fatti a carboncino o matita. Si ero un artista da molto tempo, anche se per il mio amico bibliotecario Jean ero un po’ un morto di fame sognatore, ma ogni volta che mi dava quel nomignolo io ci ridevo su. Mi sorbii la mia zuppa che mancava come solito di sale e tornai a concentrami su un profilo della Torre Eiffel. Che buffa quella costruzione, era enorme e alta, sembrava volesse bucare il cielo. Non feci caso ai vari spettacoli che vennero rappresentati quella sera, ma dopo non so quanto Marcell tornò al mio tavolo.
    <<ehi ragazzo, questa devi vederla. E’ nuova!>>
    Mi disse contento e tutto curioso, si sedette vicino a me prendendo una sedia, su cui stava poco stabile per via della sua stazza. Alzai lo sguardo e una musica eseguita a pianoforte che non avevo mai sentito prese la mia attenzione. Di solito non badavo molto alle nuove attrazioni del locale, ma poi vidi una figura magra di ragazza. Mi sentii come bloccare da una forza magnetica verso di lei, non la vedevo bene per via della distanza, tra il mio tavolo e il palco. Ma la ragazza si mise a ballare, non era il solito can-can o danza che ammaliava l’intimo maschile. Riconobbi che erano passi di danza da vero teatro. La ragazza si muoveva leggiadra, ma anche un po’ imbarazzata per via dei fischi o degli approcci degli spettatori della tarda ora, che erano molto poco lusinghieri. Ma lei continuava a ballare, ma poi con la coda dell’occhi notai una cosa.
    <<chi sono quelli Marcell?>>
    Chiesi all’omone che ammirava la giovane ballerina con sguardo eccitato e visibilmente porco. Alle mie parole si voltò verso i tre figuri che gli stavo indicando. Erano vestiti di nero e si stavano avvicinando troppo decisi verso il palco, facendo anche cadere degli spettatori e facendo alzare toni minatori.
    <<non ne ho la più pallida idea. Non so chi siano>>
    Mi disse alzandosi e cercando di andare verso di loro. Io fui più veloce, presi il blocco di disegni che era posato sul tavolo a cui ero seduto e lo misi nella mia giacca, in una tasca interna. Scattai verso il palco, scavalcando diversi tavolini e facendomi strada tra sedie e pubblico che aveva iniziato a rumoreggiare in modo poco rassicurante. Uno dei tre loschi figuri balzò sul palco e si avvicinò alla ragazza deciso; quest’ultima urlò spaventata e lui cercò di bloccarla nel suo tentativo di fuga. Balzai verso di loro e diedi un colpo all’uomo in nero, che caracollò fino a cadere giù dal palco. La ragazza mi guardò spaventata.
    <<tranquilla, non voglio farti…>>
    Ma venni preso alla sprovvista da un colpo alla mandibola destra. Incassai senza cadere, dato che ero abituato alle risse, mi voltai e vi erano i due compari dell’individuo in nero che stavano di fronte a me.
    <<togliti di mezzo idiota! Non sono affari che ti riguardano>>
    Mi disse uno, mentre l’altro vidi che estrasse di poco un pugnale corto. A quel punto mi voltai verso il pubblico.
    <<sono contro la Repubblica!>>
    Urlai. E da quel momento scattò la rissa totale. Sapevo che dicendo quella frase, con i tempi che correvano in Francia, soprattutto a Parigi, avrebbero scaldato gli animi di tutti, e che se c’erano individui contro la Repubblica era un buon motivo per massacrarli. Infatti i due loschi figuri vennero presi da un gruppo di uomini urlanti e inferociti; mi voltai verso la ragazza, e vidi che veniva portata via con la forza dietro le quinte da uno dei tre, quello che era caduto prima, per via del mio attacco. Corsi verso di lei e vidi l’uomo che le mise un panno davanti la bocca e lei chiuse gli occhi di colpo. Presi un ombrello mezzo rotto da una parete, che fungeva da poggia oggetti di scena e con un colpo preciso lo assestai sulla testa del tipo. Lui cadde a terra bestemmiando e io presi la ragazza tra le braccia prima che cadesse a terra. Era svenuta; me la caricai a fatica sulla spalla destra e cercai di correre verso l’uscita degli attori, che dava su una via buia che si divaricava in tre strade senza luce alcuna. L’uomo che avevo atterrato cercò di inseguirmi fuori dall’uscita ma venne placcato da alcuni uomini del locale. Presi una delle tre vie oscure e non mi fermai fino a quando non ero arrivato ad una via che conoscevo bene. Era poco illuminata ed era piuttosto lontana dal quartiere Nike. Da quella via se alzai gli occhi potevi scorgere in lontananza l’alta e imponente figura di Notre Dame; insomma ero arrivato a casa. Con gli ultimi sforzi mi incamminai più tranquillo verso la vecchia casa che dava su un piccolo piazzale, fatto di mattoni grigi e rossi. Salii le scale che portavano ai vari appartamenti spogli del caseggiato popolare, e arrivai all’ultimo piano, il quarto che era un po’ come una mansarda. Cercai la chiave nella tasca e la trovai, la infilai nella toppa e entrai in casa. Vi regnava il silenzio e il buio, e dentro di me sapevo anche il caos. L’unica luce che illuminava un po’ il grande locale era quella della luna nel cielo, che filtrava nella grande finestra che dava su un balcone, da cui si poteva ammirare il cielo e sotto il cortile della casa. Riuscii a mettere nel mio letto la ragazza, che cominciava a lamentarsi un poco e mi sedetti poi, di botto su una sedia del tavolo che stava in mezzo allo stanzone. Ripresi fiato, e l’unica cosa che riuscii a pensare fu: Cloud ma che hai combinato? Ma tanto non avevo alcuna risposta da darmi…

    Continua…
     
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  2. =Yuna88=
     
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    Uuuuuh wonderful... insomma parigi e inghilterra sono i migliori posti dove ambientare una storia *_* brava mi piace molto... continuala :)
    Il tuo stile di scrittura mi piace, devo andare avanti e capire come hai intenzioni di articolare la storia ...^^
     
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    Questa pian piano andrà avanti. Comunque grazie mille Yuna, sei la prima che lo legge e commenta^^ mi fai sempre andare avanti nelle cose a cui tengo, grazie cara^^
     
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2 replies since 13/1/2010, 00:04   96 views
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