Dorothy

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  1. Africa.
     
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    Dorothy


    Erano anni che il signor Antonine lavorava con cura a quel progetto. Inizialmente disegnatore divenne un creatore di bellissime bambole da collezione, alcune delle quali anche ad altezza uomo.
    In tutta la sua carriera aveva sempre venduto bambole a collezionisti sfegatati a buon prezzo ma anche a famiglie piene di bambini. Ma nessuna bambola che aveva mai creato era come quella a cui stava lavorando, no, quella sarebbe stata la sua più grande opera mai creata.
    Era nel suo laboratorio e su un lettino sopra candide lenzuola setose vi era adagiata una bellissima bambola ma dall'aspetto un po' sinistro. Si chiamava Dorothy.
    -Dorothy?- la chiamò il suo creatore.
    Lunghi minuti di silenzio si susseguirono fino a quando gli occhi della bambola non si spalancarono: occhi color nocciola con pupille bianche e lunghe cicli e una striscia rosa sopra l'occhio. La pelle era bianca cadaverica e molto magra, così magra che le si intravedevano le costole e il bacino, come se fosse denutrita. Ma la cosa che la rendeva davvero sinistra era la sua bocca chiusa in un sorriso innaturale cucito e un cuore rosso al centro del sorriso.
    Si mise a sedere e si guardò intorno.
    -Dorothy, mi senti?-.
    I suo sguardo innaturale si posò sull'uomo, studiandolo.
    Chiuse le palpebre e le riaprì senza respirare continuando a guardare l'uomo.
    -Ti ricordi di me, bambina mia?- parlò ancora l'uomo speranzoso.
    La bambola inclinò lievemente la testa e fece per parlare, ma non disse nulla. I suoi occhi si spostavano dall'uomo alla stanza circostante fino a posarsi su una vecchia foto sul tavolino di metallo infondo.
    Alzò l'indice e indicò la foto.
    Antonine si voltò e andò a prendere la foto dentro il portafoto, ben lavorato e curato, e la mostrò alla bambola. La foto raffigurava una ragazzina sorridente dai caldi occhi nocciola e i capelli neri, come quelli della bambola.
    Dopo averla guardata a lungo, la bambola, guardò l'uomo con espressione interrogativa -Chi è la bambina nella foto?-.
    Dorothy non rispose.
    -Lei era la mia bambina, la mia adorata bambina. Purtroppo è morta tre anni fa, dopo una lunga lotta con una malattia. Era così dolce e solare-, spiegò l'uomo sconsolato, quanto aveva sperato che si ricordasse di lui.
    Improvvisamente la bambola scese dal lettino e con passi incerti, come quelli di un bambino che deve imparare a camminare, si avvicinò all'uomo e lo abbracciò cercando di sussurrare parole strozzate.
    L'uomo rimase sorpreso da quel gesto. Allora si ricordava di lui? -Bambina mia-, sussurrò rispondendo all'abbraccio stringendo il corpo freddo e secco di Dorothy. Nei giorni successivi Antonine controllò diverse volte il suo stato e non trovando nulla di anormale decise di farla uscire dalle spente mura del laboratorio e trasferirla nella vecchia stanza della figlia. La stanza era ampia con un grosso letto dalle coperte color porpora, scaffali pieni di bambole e peluche e un tappeto color panna e ricami d'oro giaceva a terra morbido.
    Portandola in braccio la sistemò sul morbido letto dicendole -Aspettami qui vado a trovarti un vestito!- e uscì dalla stanza. Dorothy si guardò intorno sbattendo le palpebre a si fermò ad osservare le foto appese al muro di quella ragazza sorridente.
    Poco dopo Antonine tornò con un bellissimo vestito verde petrolio con merletti bianchi sul collo, sulle maniche e sull'orlo della gonna. Lentamente aiutò la bambola vivente a vestirsi e le pettinò i capelli con la spazzola con cui pettinava sempre i capelli della figlia.
    -Sei bellissima bambina mia- disse baciandole la fronte facendola sdraiare delicatamente e rimboccandogli le coperte -Io ora ho alcune cose da fare, torno domani mattina. Dormi bambina-.
    Dorothy guardò l'uomo uscire dalla sua stanza.
    Dorothy cercò di parlare, ma non disse nulla.
    Dorothy fissò il soffitto per tutta la notte senza dormire.
    In mattino seguente Dorothy non vedendo l'uomo tornare si alzò e scese dal letto ma cercando di fare un passo cadde a terra per via delle gambe molli. Si rialzò appoggiandosi al letto e si avviò verso la porta e sentì la sua voce parlare con qualcuno, sembrava stesse discutendo. Rimase attaccata alla porta cercando di parlare.
    -Glie la mostrerò a breve...no, per adesso non è in vendita...quando? Domani?...- continuò l'uomo fino a quando non vide Dorothy sulla porta -Senti ti richiamo io tra qualche minuto, ok?- chiuse il telefono -Dorothy! Non sforzarti così torna a letto!-.
    Si avvicinò a lei e senza dire nient'altro l'aiutò a tornare a letto -Rimani qui ora, papà non ha ancora finito!-.
    Dorothy lo guardò inespressiva mentre lui uscì dalla stanza ricominciando a parlare al telefono dei suoi affari. I giorni passarono trasformandosi in settimane e poi in mesi e il signor Antonine era riuscito a mostrare la sua bambola a molti collezionisti e questi sorpresi iniziarono ad abbozzare un buon prezzo per comprarla ma lui rifiutò dicendo che per il momento la bambola non era in vendita. Proprio per questo motivo l'uomo iniziò a ricevere chiamate anonime e minacce per via della bambola e alcuni lo accusarono di aver fatto esperimenti su un essere umano ma lui riuscì ad eliminare le accuse grazie ad un buon avvocato. Ben presto, però, iniziò a vedere nella bambola vivente un qualcosa di davvero sinistro specialmente quando la lasciava sola nella sua stanza, quegli occhi così innaturali che lo guardavano e quel sorriso cucito.
    Così contattò molti collezionisti che fossero interessati ad acquistare la bambola e tra questi uno pareva davvero interessato e gli propose un prezzo altissimo e lui accettò senza ripensamenti.
    -Ancora una sera- continuava a ripetersi il creatore di bambole convincendosi che doveva sopportare gli occhi di quella bambola per una sola altra notte e poi sarebbe stata trasferita. In qualunque parte della casa si trovava sentiva continuamente i suoi occhi addosso e spesso vedeva la sua sagoma nel buio.
    Si trovava in salotto seduto sulla poltrona bianca mentre fumava il suo sigaro e il rumore dei suoi passi scoordinati lo fece rabbrividire -Dorothy! Cosa ci fai qui?-.
    Dorothy lo guardò senza rispondere.
    -Dai, ora ti riporto nella tua stanza, è tardi. Domani ci aspetta una lunga giornata- e fece per alzarsi ma quando lei scosse la testa lui si immobilizzò.
    -Che vuoi dire?- esclamò sbiancando.
    Dorothy sbatte le palpebre cercando di aprire la bocca per parlare.
    -Ti ho detto vai in camera tua!- ripeté lui cercando di nascondere la paura.
    Dorothy si sforzò di aprire la bocca e le cuciture alle estremità iniziarono a cedere.
    -Vai in camera tua!- urlò l'uomo.
    -Dorothy non vuole- sussurrò lievemente Dorothy.
    Sentendola parlare scappò da salotto rifugiandosi in cucina per prendere un grosso coltello e tornare poi in salotto puntandolo nell'angolo in cui si trovava la bambola. Ma lei non c'era più.
    -Dorothy non farmi arrabbiare!-.
    -Dorothy è arrabbiata- sussurrò una voce dietro a lui e questo si voltò puntando il coltello verso di lei.
    Dorothy strappò il resto del filo e la sua bocca si aprì in un orrendo sorriso su quel volto cadaverico incorniciato dai suoi capelli neri come pece.
    -Sta-stai indietro!-.
    Dorothy si avviò verso di lui.
    Dorothy allungò le mani verso di lui.
    Dorothy parlò con la sua voce stridula assieme a quella della figlia del suo creatore -Come papà? Non mi riconosci? Sono io, la tua adorata bambina- e rise.
    -No! Tu non sei lei!- disse indietreggiando per poi uscire dal salotto, correre per il corridoio e chiudersi nella sua stanza a chiave con il manico del coltello ben saldo tra le mani.
    Tremava dalla paura quando iniziò a sentire la sua voce dire in una cantilena -Dorothy ti sta cercando- susseguita da piccole risatine.
    L'uomo si accasciò a terra tremante senza sapere cosa fare ma poi il suo occhio cadde sul telefono e lo prese per chiamare la polizia tuttavia quando l'agente rispose si sentì ridicolo e richiuse.
    -Dorothy ti sta cercando- parlò di nuovo.
    I suoi passi sul corridoio gli fecero raggelare il sangue e strinse forte il manico del coltello fino a quando le mani gli diventarono quasi bianche.
    -Cosa vuoi?- domandò tremante.
    -Dorothy vuole vendicarsi-.
    -Vendicarti di cosa?-.
    Dorothy parlò col la voce dolce della figlia dell'uomo -Perché lo hai fatto? Perché mi hai trasformata in una bambola pelle e ossa? Non ti è bastato vedermi soffrire per quella malattia?-.
    -Bambina mia non fare così, io non volevo farti stare male. Io volevo averti ancora con me quella malattia ti ha strappato troppo presto da me e io ne soffrivo troppo, non potevo vivere senza di te- cercò di spiegare trattenendo a stento le lacrime.
    -E credi che io non ne soffrivo? Stavo morendo e avrei perso la cosa più cara di questo mondo, ma hai commesso un grosso errore a fare ciò che hai fatto! Come pensi che mi veda con questo corpo? Con questa faccia orribile? Come hai osato farmi questo? Dicevi di volermi bene!-.
    Senza dire più nulla inserì la chiave nella serratura e la aprì e si trovò davanti la bambola-figlia che sembrava stesse sul punto di piangere e gettando il coltello a terra la abbracciò -Bambina mia, perdonami-.
    Rimasero così per secondi interminabili e quando si staccò da lei per guardarla negli occhi vide tutta la rabbia, l'odio e la vendetta che quella creatura potesse provare.
    Dorothy allungò le sue mani scheletriche che circondarono la gola dell'uomo iniziando a stringere, con l'intenzione di ucciderlo.
    Dorothy strinse e strinse ancora fino a quando lui soffocò e cade a terra privo di vita.
    -Dorothy è felice-.
    Il giorno seguente quando il collezionista interessato suonò al campanello della villa del signor Antotine si accorse fin da subito che qualcosa non andava poiché la casa era troppo silenziosa così chiamò la polizia e subito scoprirono il corpo morto dell'uomo e stabilirono che era stato ucciso. Purtroppo nella casa non trovarono nessun indizio per stabilire chi si era introdotto in casa. Trovarono solo la bambola nella sua stanza immobile come se fosse stata sempre lì così il collezionista la prese con se portandola nella sua grande casa lasciandosi alle spalle quel caso avvolto nel mistero.
    Il collezionista che prese la bambola con se si chiamava George e viveva con la moglie e la loro unica figlia di undici gravemente malata e dopo innumerevoli richieste da parte della figlia decise di regalare la bambola alla figlia.
    -Emily, tesoro, ecco la bambola- esclamò il padre sistemando la delicatamente la bambola su una sedia di vimini.
    -Grazie mille papà!- rispose la figlia con un gran sorriso seduta sul suo letto guadando ammaliata la bambola. Il padre le sorrise in risposta ed uscì dalla stanza lasciando che la bambina famigliarizzasse con la bambola. Le pareti della stanza erano bianche e anche il tappeto a terra, il letto invece era color giallo canarino con sopra una miriade di bambole dal viso dolce.
    Dorothy sbatté le palpebre e guardò la bambina.
    -Ciao Dorothy- la salutò Emily scendendo dal letto e avvicinandosi a lei -Com'è bello il tuo vestito! Posso farti una treccia?-.
    Dorothy fece cenno di si con il viso.
    Così Emily inizio a toccarle i capelli, così morbidi e belli, e ad intrecciarglieli delicatamente senza stringerglieli troppo.
    -Tuo papà non ti trattava bene vero?-.
    Dorothy annuì.
    -Sai, io conosco ogni bambola che si trova nella mia stanza. Mi racconti la tua storia?-.
    Dorothy cercò di aprire la bocca ma le cuciture glie lo impedivano.
    -Forse se ti apro la bocca puoi parlare?-.
    Dorothy annuì.
    Poco più tardi quando Emily venne chiamata per la cena i genitori le chiesero se le piacesse la sua nuova bambola -Dorothy è una bambola bellissima e ora è felice!-.
    -Certo tesoro- parlò la madre -è felice perché è con te, giusto?-.
    -Anche per quello!- rispose Emily sorridente.
    -Sono felice che ti sia piaciuta tu pensa che il suo creatore inizialmente non voleva vendermela!-.
    -Dorothy mi ha detto che il suo papà era geloso di lei!-.
    Seppur perplessi i genitori di Emily lasciarono perdere sapendo che era una bambina con molta fantasia e a cui piacevano le bambole. I giorni passarono e Emily si affezionò molto alla sua nuova bambola e iniziò a considerarla come un'amica ma poi un giorno la malattia della piccola si aggravò e morì lasciando sola la sua amica.
    Mai prima di allora i genitori si erano accorti di quanto era inquietante la bambola e talvolta, quando passavano davanti la stanza della figlia, scorgevano dei movimenti da parte sua e occhi sinistri che li fissavano.
    Fino ad una sera quando la madre passò davanti la stanza chiusa della piccola e sentì una voce dire: -Dorothy è triste-.
    Sentì il sangue congelarsi in tutte le vene che aveva in corpo e corse subito dal marito per raccontarle ciò che aveva sentito ma non le credette; dovette ricredersi quando molti giorni dopo passando avanti alla stanza sentì la stessa voce dire -Dorothy è tanto triste- e aprendo la porta vide solamente la bambola seduta sulla solita sedia di vimini. Deciso a sbarazzarsi di quella bambola contattò un suo grande amico, anche lui collezionista, che aveva aperto un museo di bambole chiamato “la casa della bambole” e la consegnò a lui. Il nuovo possessore della bambola era entusiasta di avere quella bambola nella sua collezione ma fu avvisato delle sue stranezze e decise di metterla dietro una vetrina così che non potesse creare più problemi. Rimase così per anni, immobile, a fissare tutti i bambini che si fermavano a guardarla.
    Dorothy era triste.
    Dorothy era tanto triste.
    Dorothy era sola.
     
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