Un cielo stellato

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  1. Saidia
     
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    Altra FF sulla mia pg Nyota. I hope you like it! ^^

    Un cielo stellato



    Era una notte calda e umida. Pioveva a dirotto da giorni, e l’acqua ormai uscita dagli argini dei fiumi e dei ruscelli inondava Jila.
    In realtà quello non era il suo vero nome, ma le creature che la popolavano dai tempi più remoti amavano chiamarla così.
    Jila era il primo re che quella foresta avesse mai conosciuto. Era un leone dal manto bianco come la neve e gli occhi neri, profondi come pozzi. Il re era saggio e giusto, sempre tollerante e paziente, pronto a qualsiasi cosa pur di far trionfare la pace sulla guerra.
    Il suo nome è rimasto nella storia, tramandato di padre in figlio, di generazione in generazione, fino ad arrivare ad oggi.
    Quegli alberi secolari non avevano mai conosciuto guerra dalla morte del re, e pian piano avevano dimenticato che esisteva anche dell’altro: c’era un mondo intero al di fuori di quei pochi chilometri di foresta. Del mondo esterno si perdette il ricordo e delle savane sconfinate non si sentì più parlare.
    La famiglia reale e i loro sudditi avevano sempre vissuto all’interno della foresta, e passavano le loro notti in uno spiazzo erboso racchiuso da un fitto sottobosco.
    Al suo interno penetrava poca luce, che rendeva l’ambiente stranamente verdognolo, dato che passava attraverso le fronde degli alberi più alti prima di bagnare il terreno. Se avesse piovuto l’acqua non sarebbe passata tra i rami più alti, era come se la natura provasse rispetto per gli abitanti di quel luogo, e cercasse di salvaguardarne l’integrità.
    Gran parte del branco era riunito intorno ad una leonessa dal manto castano, stesa a terra. L’avevano sistemata come meglio potevano, accanto al ruscello che scorreva appena ai margini dello spiazzo erboso e che si perdeva tra gli alberi. Le sue urla di dolore, che penetravano il silenzio della notte, si fermarono improvvisamente, seguite da gemiti continuati.
    «Come stai?» le disse Misos, strusciando il muso contro quello della sua amata.
    «Bene… Sono forti.» rispose Kilfa, la sua compagna, sorridendo e guardando affettuosamente le sue figlie. Il re sorrideva amorevolmente con lo sguardo vagante sulle sue figlie. Tre femmine, neanche un maschio… Ma il leone non era triste per questo.
    «Chi è la maggiore?» domandò guardando Kilfa.
    «Lei» rispose Kilfa indicando con un cenno del muso la cucciola centrale, assopita profondamente con il capo posato su una delle sue sorelle. «Dobbiamo decidere come chiamarle, caro.»
    «Hai ragione.» disse il re osservando attentamente i cuccioli: due di loro si erano addormentate profondamente, abbracciate. L’ultima invece era sveglia, e osservava lo squarcio di cielo visibile attraverso le fronde degli alberi. «Loro due sembrano avere un legame più stretto, sin da ora. Perciò saranno chiamate “giorno”, Nyeupe, e “notte”, Nyeusi. Lei…» iniziò il re, ma venne interrotto da qualcosa di straordinario e misterioso allo stesso tempo.
    Il vento iniziò a soffiare forte e impetuoso, scostando le fronde degli alberi e lasciando intravedere il cielo nuvoloso. La pioggia cessò improvvisamente e le nuvole si diradarono, lasciando intravedere un cielo popolato di stelle.
    Quando anche la luna uscì timidamente dal buio in cui era confinata, bagnò con i suoi raggi il corpo della piccola.
    I ruggiti di giubilo del branco si propagarono in tutta la foresta, e alcuni animali curiosi fecero capolino con i musi per capire di ciò che si trattasse. Ben presto tutta Jila sapeva che la nascitura era una Nyota.
    La piccola aveva infatti i caratteristici occhi che tutte le Nyota hanno: blu come la notte e scintillanti come stelle. Nessun leone, eccetto per le Nyota aveva mai avuto simili occhi. E neanche simili capacità, dato che esse potevano parlare con le stelle e la luna e avevano un legame molto stretto con la natura.
    «Beh, mi sembra chiaro che si chiamerà Nyota.» disse in un sussurro Kilfa, guardando intensamente sua figlia. Le sorelle si erano svegliate e guardarono la scena interessate per un attimo, poi andarono in cerca di latte. Nyota invece stava immobile, fissando le stelle, che si riflettevano nei suoi occhi blu.

    Passarono alcuni anni, e le tre sorelle crebbero forti e giocose. Ormai erano alle soglie dell’adolescenza.
    Nyota era molto timida, preferiva passare il suo tempo in compagnia della natura piuttosto che di altri cuccioli, mentre le sue sorelle erano solari e allegre.
    Nyeusi e Nyeupe avevano ereditato il pelo castano della madre, e gli occhi vermigli del padre, mentre la piccola Nyota aveva il pelo cremisi del padre. I suoi occhi non le avevano mai suscitato nessuna curiosità, né nessun senso di potere sugli altri. Semplicemente erano i suoi, e le permettevano di parlare con la notte: e allora?
    Era una mattina ombrosa, e la piccola Nyota si era arrampicata su un albero alto, forse il più alto di tutta la foresta, dal quale poteva osservare tutto ciò che si estendeva oltre l’orizzonte di giorno, e ammirare le stelle di notte.
    Era seduta sul ramo più alto, e il vento la avvolgeva, la carezzava. Lei lo lasciava fare sorridendo. Alzò lo sguardo verso il cielo: c’era aria di pioggia. Con un sospiro rassegnato scese dall’albero avviandosi lentamente verso lo spiazzo erboso dove viveva con il suo branco. Lungo il tragitto fece varie soste, ora per annusare un fiore, ora per salutare qualche animaletto timido.
    Un rombo si propagò per la foresta: un tuono. Nyota accelerò il passo per arrivare a casa prima che iniziasse a piovere.
    Quando arrivò le sue sorelle stavano giocando nel ruscello accanto agli alberi, e i suoi genitori parlavano con i sovrani. Si avvicinò timidamente e salutò con un inchino i sovrani, per poi strusciare il pelo contro quello della madre. Misos la prese tra le fauci e iniziò a lanciarla in aria. Nyota rideva e ben presto tutto il branco iniziò a guardarla. Nyeusi e Nyeupe osservavano la scena divertite.
    Misos poggiò a terra la piccola Nyota e con un leggero colpetto del muso la spinse verso le sorelle, con le quali Nyota iniziò un allegro gioco tra gli spruzzi del ruscello.
    Dopo pochi minuti iniziò a piovere, e le acque del ruscello divennero agitate. Le piccole furono costrette ad uscire dall’acqua. Ridevano a crepapelle e tutte e tre avevano il pelo completamente zuppo.
    Nyeusi e Nyeupe si recarono dai loro genitori per asciugarsi un po’ riscaldate dal tepore dei loro corpi, mentre Nyota si ritirò in solitudine guardando il cielo nuvoloso con malinconia.
    Le si accostò un leone, Eoj. Era il più anziano del branco, e procedeva lentamente e in modo goffo. Nyota non sussultò al suono della sua voce apparsa all’improvviso accanto a lei, era abituata a quel genere di apparizioni.
    «Il cielo è grigio e monotono.» disse Eoj con voce roca più a sé stesso che a Nyota.
    «Già, ma tra due lune e due soli tornerà sereno.» osservò Nyota con lo sguardo fisso sulle nuvole che scorrevano lentamente nel cielo.
    «Hai mai sentito parlare delle Altre Terre?» le domandò Eoj con fare misterioso.
    «No, cosa sono?» domandò Nyota incuriosita, voltandosi verso di lui.
    «Sono le terre che si estendono fuori dalla foresta. Io le ho scoperte per caso, ma nel nostro branco se ne è perso il ricordo.» le rispose Eoj guardando un punto imprecisato della foresta.
    «Esiste qualcosa del genere?» chiese Nyota con gli occhi scintillanti. «E io… posso andarci?».
    Eoj stette in silenzio per alcuni minuti a riflettere. Nyota non glielo chiese ancora, sapeva che il segreto era aspettare.
    «Va bene. Vieni con me.» acconsentì alla fine lui avviandosi verso il fitto della foresta. Nyota si voltò verso il resto del branco, per ricevere un cenno di consenso dai suoi genitori. Suo padre le sorrise incoraggiante e lei si avviò trotterellando al seguito di Eoj.
    Arrivarono al limitare della foresta. Nyota non si era mai spinta così in là, e si bloccò intimorita. Eoj però le fece cenno di avanzare e, seppur di malavoglia, Nyota uscì dalla foresta. Venne investita dalla pioggia, che scendeva imperterrita. L’erba bagnata dall’acqua era secca e c’erano pochi alberi lungo tutto l’orizzonte.
    Nyota spalancò gli occhi e fece ancora qualche passo avanti. Poi si voltò a guardare la sua foresta: era immensa, ma non tanto quanto quel luogo. Le sembrava di sognare.
    Fu Eoj a riportarla alla realtà, conducendola di nuovo verso casa. Da allora Nyota fece ritorno in quel luogo tutti i giorni, senza dire mai a nessuno della sua scoperta, e allontanandosi progressivamente sempre di più.

    Passarono alcuni mesi, e Nyota ormai era una giovane leonessa. Il suo carattere però non era cambiato di molto, così come quello delle sorelle.
    Era diventata però più triste e di rado sorrideva. Nelle sue uscite segrete aveva capito che il mondo esterno era fatto di violenza e per sopravvivere i suoi abitanti si dovevano uccidere tra loro. La sua tristezza crebbe maggiormente quando Eoj morì. Sapeva che era vecchio, e che prima o poi sarebbe successo, ma non faceva altro che pensare a lui e a tutti quegli insegnamenti sulle Altre Terre che le aveva dato.
    Una sera, al tramonto, mentre era intenta a fare la sua solita passeggiata nelle Altre Terre, che ormai sapeva chiamarsi le Terre di Orgoglio, si perdette, e non seppe più trovare la strada di casa.
    Visse per alcuni giorni adattandosi alla situazione, finché non riuscì a ritrovare la sua foresta, ma non aveva interesse a tornarci, perché sapeva che la vita lì dentro era irreale. Fuggì correndo verso la prateria, che aveva ammirato tante volte da lontano: ora avrebbe iniziato la sua vita.
     
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