The Days of Love

l'ultimo capitolo della Trilogia

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    Così sia, dunque. Ma non fa niente: l'ho già detto, continuerò come avrebbe fatto Abraham. Da solo.
     
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    Mi ci è voluto più tempo del previsto, ma voglio continuare.

    Capitolo 29: Misteri
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    Mercoledì, 5 giugno 1999, 13:00


    I nostri spiriti erano rimasti turbati: inutile dirlo. Non vi era più alcuna sicurezza per noi: quel villaggio era stato una vittima come la stessa Nairobi, e per come la vedevamo noi, era soltanto questione di tempo, prima che anche noi venissimo scoperti ed eliminati, per qualunque motivo si celasse dietro alle operazioni illecite in corso in quella parte della Jungla.
    Poiché dovevamo essere al pieno delle forze, osservammo un giorno intero di riposo, usando le provviste recuperate la sera prima dal villaggio per rimetterci in sesto e ricompattare le idee; Ralph, dal canto suo, essendo un uomo d'azione, avrebbe personalmente preferito attaccare senza troppi complimenti, ma i suoi istinti peggiori furono soffocati dal cibo, che gli fece tornare un po' di lucidità - straordinariamente, più di quanta ne avesse mai mostrata in battaglia fino ad allora - e accettò il fatto che noi tre, da soli, avremmo potuto fare ben poco.
    Naturalmente, nessuno di noi avanzò l'idea di chiedere aiuto a Meethu o a Eleanor. Era da un paio di settimane ormai, che la leonessa non lasciava la sua caverna dietro la cascata, e il suo compagno le stava perennemente accanto, a parte quando andava a cacciare per lei, eppure non sembrava ammalata: la cosa si faceva sempre più sospetta.
    Comunque sia, decidemmo di limitarci a seguire le tracce e osservare la situazione a debita distanza: qualunque cosa fosse, se fosse stato un affare illegale, avremmo potuto denunciarlo una volta tornati in contatto con la civiltà, anche se questo avrebbe richiesto molto tempo, e io, sinceramente, ero abbastanza stanco di perdere tempo. Sebbene riuscissi a mantenere la calma, il mio fuoco interiore non mi dava tregua, e quella notte, soffrii di incubi spaventosi, di cui non intendo scendere in dettagli.

    Giunse così il fatidico pomeriggio, quando noi tre, il Diavolo, la Cacciatrice e il Picchiatore, dopo un pranzo leggero, ci mettemmo in cammino verso la destinazione ignota che ci eravamo prefissati. Prendemmo tutte le armi in mano e ci muovemmo silenziosamente nella bruma mattutina.
    Mentre marciavamo, puntando a scoprire il segreto di quell'attacco, i miei pensieri vorticavano: era davvero opera del demonio che pensavo io? Sarei riuscito a reggere alla collera al vederlo di nuovo dopo tanti anni? Tutte le persone e le creature morte a causa mia e dei suoi inganni... Mina... Ni... il capitano e sua moglie... tutta la cittadinanza di Nairobi perita nell'assalto... perfino Mizuki, che avevo odiato per tutta la sua vita, e la cui spada mi portavo appresso... non esisteva vendetta sufficiente a ripagare tutto questo!
    Fu il tocco gentile della mano di Leona sulla mia spalla a tranquillizzarmi, e nel vedere il suo sorriso dietro di me, anch'io sorrisi, sentendomi di nuovo tra amici, dove il male non poteva nuocere.
    Tuttavia, quando arrivammo alle cascate, vidi Meethu che beveva dall'altro lato del fiume, e al vederci passare tutti armati e corazzati, comprese subito le nostre intenzioni, e con un balzo incredibile, venne a cadere di fronte a noi, sbarrandoci la strada a metà.
    Fummo costretti a fermarci, ma io capivo subito cosa voleva, anche se non potevamo più parlare.
    Lentamente, lasciai cadere le mie armi e lo presi per la testa, sprimacciandogli le orecchie.
    "Mi dispiace amico mio, ma non posso permetterti di venire con noi." Meethu mandò un lugubre miagolio, simile a un cucciolo che piagnucola; gli scompigliai la criniera.
    "Non devi temere per noi: staremo bene. Tu pensa ad occuparti di Eleanor." Gli sollevai il muso per costringerlo a guardarmi negli occhi. "Non preoccuparti: torneremo da te!"
    Con un flebile mugolio, il mio povero leone chinò la testa e si fece da parte, lasciandoci passare.

    Mi si stringeva il cuore a trattarlo così, ma non poteva andare altrimenti.
    Tuttavia, il suo saluto fragoroso e colmo d'angoscia risuonò nelle nostre orecchie, dall'alto delle caverne non più tardi di dieci minuti dopo.


    --------------------------------------------

    Il villaggio era rimasto lo stesso scenario desolante di due giorni prima, segno evidente che nessuno era tornato: quindi, l'unica pista da seguire erano le tracce dei cingolati che avevano fatto breccia attraverso la vegetazione. Ringhiai soddisfatto: questo ci semplificava la situazione, perché non dovevamo più temere la presenza di nemici sulla strada.
    Cominciammo a correre in formazione confusa, seguendo la scia di alberi e canne sfondate, simile a una macabra galleria che si snodava sempre più nel folto fondo della Jungla; come avevo previsto, non c'erano soldati, guardie o lacchè a sorvegliare il posto, e tra canne, palmizi e alberi contorti come la politica mondiale, la nostra corsa durò per quasi due ore.
    Sbucammo all'improvviso in una zona lugubre e grigia, come la stessa pietra calcarea su cui stavamo camminando: in lontananza, a nord, potei scorgere il mare, e compresi subito che dovevamo essere in Etiopia, da qualche parte presso le sponde di quello che poteva essere soltanto il Mar Rosso, teatro di bibliche memorie, ma questo era niente in confronto allo spettacolo che c'era immediatamente sotto ai nostri occhi.

    Doveva essere una conca scavata con dell'esplosivo e adibita a miniera di ferro, profonda almeno duecento piedi: vi erano almeno tre dozzine di rotaie che andavano dentro altrettante fenditure nella pietra, e innumerevoli carrelli che venivano issati su un montacarichi nei pressi di una locomotiva che puntava verso nord ovest. L'attività principale al momento si svolgeva tutta attorno a quest'ultima parte, dove un gran gruppo di lavoratori - o per usare il termine più logicamente corretto, schiavi - di varie etnie d'Africa, e anche alcuni giovani bianchi stavano caricando il vagone stiva con immensi sacchi che contenevano senz'altro ferro grezzo da lavorare. Ma perché? A quale scopo?
    Ancora non ne sapevo niente, ma vidi chiaramente dei loschi figuri entrare in quella che sembrava un'elegante Alpha nera, che mise in moto, e sfrecciò via a est, verso un'altra parte della foresta.
    Il treno partì, portandosi dietro il ferro e i lavoratori, e poi, tutto tacque.

    Ralph fu il primo a rompere il silenzio.
    "Ma questo è..."
    "C'è qualcosa di sospetto." replicò Leona. "Questo scavo è sicuramente illegale!"
    "Non solo!" affermai, incuriosito da ben altro. "Credo di aver già visto quella macchina."
    "Andiamo Abe!" sbottò Ralph, che aveva già capito il mio pensiero. "Ce ne sono tante di auto come quelle, non penserai mica che si tratti di lui?"
    "O lui, o qualcuno che ha legami con lui, Rafael!" replicai a mia volta. "Sta di fatto, che ne scoprirò qualcosa, o il mio nome non è Abraham Colin Mist!!"
    "Sta bene," affermò Leona, che era preoccupata per me. "Ma non oggi. Abbiamo visto abbastanza: dobbiamo formulare un piano e stanare le tracce di quella macchina, se vogliamo saperne di più."
    "Naturale" risposi, non del tutto convinto: Leona non si fece ingannare.
    "Capisci cosa intendo? Ovunque siano diretti la macchina o il ferro che abbiamo visto, potremmo aver bisogno di dividerci, e questo non possiamo permettercelo! Se Thrive è davvero qui, non possiamo permetterti di incontrarlo da solo!"
    Leona mi comprendeva fin troppo bene: in quell'istante desiderai che non fosse così; mi sentivo come se mi stesse intralciando.
    Tuttavia, dovetti cedere alla sua logica, ben più saggia della mia.
    "E sia allora."

    E con lugubri pensieri affollati nella testa, facemmo ritorno alle cascate.
    Per la calma che ci impiegammo, non tornammo prima che il sole fosse quasi tramontato.

    TO BE CONTINUED
     
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    E la storia continua.

    Capitolo 30: Eventi
    Regione ignota
    Martedì, 11 giugno 1999, 09:00


    In seguito a quella scoperta, nessuno parlò a meno che non lo imponesse la cortesia: ognuno di noi si immerse a fondo nei propri pensieri, e in quel tetro silenzio, passò una settimana: per quanto breve, fu un periodo tremendamente lungo e difficile per me; alla fine dei conti, l'opzione più pratica e sicura sarebbe stato seguire le rotaie per scoprire il luogo in cui si fosse diretto il treno, ma io ero intenzionato a seguire le tracce della macchina e scoprire se lui era veramente in zona: se così era, non sarei riuscito a trattenermi, e il pensiero di tutto ciò bastava a farmi bollire il sangue.
    Ralph e Leona capivano il mio torchio, e rimasero in silenzio: non avrebbero mosso un muscolo senza il mio consenso; avevano riposto la loro vita nelle mie mani, dopotutto, e in quanto loro guida, dovevo essere io a prendere la decisione. Tuttavia, dovevamo essere d'accordo tutti sulla strada da seguire.
    La mia ostinazione intralciava la nostra strada: non era da me. Perché? Perché il mio odio stava offuscando la mia razionalità? Che il mio desiderio di vendetta fosse così forte?? La vendetta non ha mai portato a niente, e io lo sapevo bene, eppure, sentivo che non avrei mai avuto pace, finché non mi fossi sbarazzato di lui.

    Ero preso nella mia stessa morsa. Come liberarmi?

    E così in silenzio, passarono le ore.
    Quella mattina di fine primavera, decisi che dovevo ricompattare le idee, e mi diressi alla cascata per farmi una doccia: forse l'acqua fredda mi avrebbe schiarito le idee, questo pensavo... o forse speravo riuscisse ad allontanare la mia mente da pensieri negativi.
    E così fu: alla cascata mi tolsi scarpe, camicia, guanti e smoking, e con nient'altro che i pantaloni e la relativa biancheria addosso, mi tuffai in acqua, nel silenzio primordiale della jungla.
    Ebbi subito un grande conforto: l'acqua non era tanto fredda, ma abbastanza da svegliare il mio corpo intirizzito dalle cicatrici, sia mentali che fisiche; mi immersi fino al collo, galleggiai lentamente per pochi attimi, e preso un gran respiro, mi tuffai a fondo, finché i miei piedi non toccarono la dura roccia del fondale, a più di sette metri di profondità. Spalancai gli occhi, e guardai la bruma verdastra del fondo: piccoli pesci spaventati guizzavano via da me, e in quell'assordante silenzio, camminai sulla roccia gelida, trascinandomi sotto il rombo della cascata.
    Mi resi conto che i polmoni iniziavano a protestare la mancanza di aria, ma volli resistere: volevo che il fuoco del mio corpo urlante scacciasse via i fantasmi della mente, e forzando le mie membra all'immobilità, rimasi immerso per più di due minuti, prima di decidermi a riemergere.
    La sensazione dell'aria mattutina che invase i miei polmoni dopo quel supplizio forzato, fu come se un coltello incandescente mi avesse squarciato il petto dalla trachea fin sotto al diaframma, sfiorando di poco il cuore: gemetti, inspirai a forza, tossendo e sputando; mi issai sulla pietra nuda e glabra, e presa l'acqua a piene mani dalla cascata, bevvi poche sorsate per placare il bruciore.
    Mi sedetti sotto il getto più grande e rimasi in quella posa per alcune ore, e posso dirlo perché quando finalmente mi decisi a fare ritorno, dovevano essere le due inoltrate. Tornai a piedi scalzi, poiché avevo approfittato del bagno per lavare i miei indumenti, e perciò li avevo messi ad asciugare, una volta tornato al campo.
    Ralph e Leona furono felici di rivedermi, e per la prima volta da sette giorni, parlammo apertamente, del più e del meno, come se fossimo stati ancora in città, senza una preoccupazione al mondo.


    --------------------------------------------

    Tuttavia, i miei pensieri non mi avevano abbandonato: ero ancora perso nel maledetto dilemma, anche se facevo il possibile per non darlo a vedere. Presto le nostre scorte si sarebbero esaurite, e non saremmo riusciti a sopravvivere in seguito: dovevo decidere e subito.
    Per mia straordinaria fortuna, lo stimolo per decidere, giunse quel tardo pomeriggio, quando Mheetu in persona giunse all'accampamento, tutto trafelato: sebbene non potessi più comprenderlo senza l'anello, lo vidi subito, che era in uno stato di agitazione difficile da descrivere: saltellava impennandosi paurosamente, e lanciava i suoi rochi miagolii ora da una parte, ora dall'altra.
    Quando Leona gli domandò cosa stesse accadendo, lui ruggì ancora più forte, saltò verso di me e mi afferrò con i denti per l'orlo della camicia, costringendomi ad alzarmi dal tronco dove mi ero seduto: per poco non inciampai, rischiando di cadere sul fuoco del campo.
    Era ovvio che voleva essere seguito, e così feci, con Ralph e Leona alle calcagna.
    Corse come pazzo alla caverna, e io compresi allora, che si trattava di Eleanor, e il mio cuore fu preso da una morsa di panico. Cosa le era successo? Forse aveva un problema allo stomaco? Si era slogata una zampa? Perché non usciva da giorni da quella caverna? Cosa, in nome di Dio, cosa poteva essere successo? Lo ammetto, quei pensieri furono gli unici che occuparono la mia mente in quel momento, oscurando ogni altra preoccupazione.

    Quando fummo alla caverna, Mheetu fissò il fondo e mi lanciò un nuovo, più dolce miagolio, prima di puntare di nuovo con il muso il fondo della caverna.
    Era buio, e così presi una barra luminescente, che Leona aveva fortunatamente recuperato, la spezzai, e subito un'innaturale luce biancastra si riversò nella cupa grotta, scacciando via insetti e lucertole nei loro oscuri anfratti.
    Vidi gli occhi di Eleanor aprirsi, poiché per il riverbero, essi brillavano nel buio sotto il riflesso della torcia: mi avvicinai, e vidi che era circondata dalle ossa delle prede che aveva consumato in quel periodo. Mi ringhiò contro, ma quando vide che ero io, si lasciò avvicinare e accarezzare: la sua lingua lambì dolcemente la mia mano.
    "Buonasera Eleanor," la salutai com'era mio solito, anche se sapevo che non poteva rispondere, e passai la mia mano sulla robusta schiena e sul fianco, poiché era sdraiata: non sembrava malata, e non presentava ferite di nessun genere. O dunque?
    La fissai negli occhi, come a cercare una risposta, ma il suo sguardo non emetteva più alcun sentimento: non potevo più comprendere niente di quelle creature.
    "Non capisco."

    ... fu tutto quello che riuscii a dire di fronte alla sua espressione vuota, ma lei doveva avermi capito, perché fece un cenno con il muso verso il suo ventre. Lentamente, feci scivolare la mia mano, e sentii quel pelo stupendo solleticarmi le dita.
    Tuttavia, non sentii niente... quand'ecco, a un certo punto, scivolando verso l'addome, sentii come un rigonfio, come se le interiora di Eleanor si fossero dilatate, ma era una sensazione compatta, come se...
    In pochi istanti, la mia sorpresa si mutò in meraviglia, e una straordinaria gioia, una gioia che non sentivo da più di sei mesi mi travolse come le onde dell'oceano e mi trascinò sul fondo di una realizzazione che non conosce eguali.
    Guardai Elanor, poi Mheetu, a bocca aperta, basito, senza parole. Riuscii solo a balbettare.
    "Oh... oh!! OH!! Eleanor... tu..."
    La leonessa strofinò la testa contro il mio collo, facendomi ridacchiare, e i miei occhi si colmarono di lacrime. Lacrime estatiche.
    "Oh, Mheetu! Mheetu!!" con un gemito inarticolato mi scagliai sul mio onesto leone e lo abbracciai con tanto di quell'impeto che per poco non lo buttai a terra. Ralph e Leona erano rimasti basiti dalla mia reazione, e come un pazzo, uscii dalla caverna di gran corsa, e fui preso dal desiderio incontenibile di arrampicarmi fino alla vetta, dove Mheetu e Eleanonr si erano uniti per la prima volta.
    Non so quale forza irresistibile mi stesse animando in quel momento di assoluta felicità, ma riuscii a scalare quella torre ripida come se nulla fosse.

    Ebbi più di una soddisfazione: il cielo di un blu meraviglioso, costellato da nubi in folle fuga sotto il possente mantice dello zefiro, copriva l'immensa jungla, la gola e il deserto adiacente. Lanciai al cielo un grido che trasmetteva all'universo la mia gioia e la mia estasi nell'apprendere quella suprema novella.
    Ralph e Leona mi guardavano dal basso, ma da come sorridevano, capii che avevano compreso la verità.
    "Oh rupe solitaria, testimone di tanto amore," esclamai tra i singhiozzi, "che tu sia benedetta!"

    A guardare il sole che ormai cominciava la sua lenta discesa verso ovest, compresi che presto, quel mondo sarebbe stato ereditato da una nuova generazione, e anche per loro, capii che bisognava fare quanto andava fatto. In quel supremo istante, decisi che avremmo seguito le rotaie come stabilito.
    Discesi dalla torre, e portati Ralph e Leona al campo, ci mettemmo subito al lavoro. Di lì a tre giorni, ci saremmo messi in marcia, forse per non tornare mai più, ma saremmo andati a fondo della questione, e avremmo riscattato il mondo. Per l'Africa e il mondo intero, per Simba e la Rupe dei Re, per le Terre del Branco, per coloro che sono morti sul nostro cammino, per Mheetu, per Eleanor, e per la loro discendenza.

    Questa, fu la mia suprema promessa.

    TO BE CONTINUED
     
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    E questo, è il mio piccolo regalo di Natale anticipato al forum.

    Capitolo 31: Infiltrato
    Regione ignota
    Giovedì, 13 giugno 1999, 13:00


    Quando feci ritorno dalla rocca, mi accasciai pesantemente al suolo, poiché una grande stanchezza mi aveva preso: come risultato, Leona decise di rimandare di almeno un giorno la spedizione sui binari, per permettermi di riposare, e io lasciai correre, sebbene l'impazienza mi divorasse; ero talmente sfinito da non avere nemmeno la forza di protestare, e troppo felice per arrabbiarmi su una questione di così poco conto. Il fatto che Eleanor fosse incinta, che il mio Meethu sarebbe di lì a poco divenuto padre, mi colmava di una felicità pari all'estasi del cielo.
    Quel giorno fu pieno di nebbia per me, e perciò non rammento cosa avvenne: sognai, ma in modo confuso e triste, rivivendo ricordi mai vissuti, il sorriso di coloro che ho amato in questo mondo, una pioggia nera, come di sangue sulla neve lontana, ruggiti distanti, ruggiti d'amore e di guerra... un'ombra disumana che agguantava ogni cosa senza pietà.
    Ma l'avrei smorzata, in un modo o nell'altro.

    E si giunse così a quel fatidico giorno, quando tutto iniziò a cambiare.
    Il lungo riposo mi aveva restituito le forze, e mi sentivo pronto ad affrontare l'inferno stesso pur di arrivare a compiere la mia rivincita; Ralph e Leona, di pari grado erano in piena forma, e tirati a lucido: sospettavo che avessero passato tutta la giornata precedente ad allenarsi e a ripulirsi per quel momento; lo desideravano quasi quanto me.
    Silenziosamente, ci mettemmo in cammino, decisi ad arrivare in fondo a quei binari e scoprire cosa ne fosse di quel ferro.
    Quella mattina non c'erano nebbie né brume sinistre, e nella luminosità del mattino, potevamo vedere ogni goccia di ambra sugli alberi resinosi.
    Guardandomi attorno nella foresta, per quanto familiare, vidi Meethu che ci fissava da lontano: sapeva che potevamo non fare ritorno quella volta, e sapeva che la missione era troppo importante per me; non avrebbe fatto nulla per fermarci.
    Lo salutai con un cenno appena visibile del capo, e proseguii nella boscaglia.

    Nel giro di venti minuti, eravamo dove ci eravamo fermati pochi giorni prima, ma quella volta, nulla ci avrebbe fatto tornare indietro prima del tempo; saremmo tornati come vincitori, coperti di sangue dei nostri nemici, o non saremmo tornati affatto.
    La parte più complicata, fu raggiungere i binari, poiché dovevamo attraversare un dislivello notevole, di almeno quaranta metri per scendere, e quasi settanta per risalire sul versante opposto. Per nostra buona fortuna, i versanti, per quanto scoscesi, formavano un'ottima scalinata per arrampicarsi: salimmo lentamente, risparmiando le forze per lo scontro che - potevamo fiutarlo nell'aria - si profilava all'orizzonte.
    In meno di un'ora, eravamo sui binari.
    Inutile dire che non c'era anima viva, l'entrata della miniera era stata fatta saltare con del fulmicotone, e i documenti di trasporto erano assenti: questo confermò la teoria di Leona, che cioè il carico recuperato dalla miniera fosse l'ultimo di una lunga serie, in un progetto giunto alla fase terminale.
    Restava solo da scoprire chi ci fosse dietro tutto questo, ma per quanto qualunque agente segreto o di polizia sarebbe incline a seguire questo ragionamento, io sapevo fin troppo bene che dietro a tutto questo c'era soltanto uno.
    In breve, dopo esserci fermati un attimo a riprendere fiato, potemmo seguire liberamente i binari, in un trotto rapido e quasi folle per quasi due ore, prima di vedere qualcosa... qualcosa di sorprendente.


    --------------------------------------------

    Di fronte ai nostri occhi, in un secondo dislivello più profondo del precedente, stava localizzato quello che sembrava un mastodontico fabbricato in legno, come un enorme magazzino, attorno al quale stavano fornaci di carbone, alte più di venti metri, le cui alte colonne di fumo nero appestavano il cielo, e un terrificante viavai di uomini dall'aria malvagia, ronzava come uno sciame di mosche su una carcassa, attorno al monumentale fabbricato.
    Poco ma sicuro, pensai, qualunque cosa stiano costruendo qui, perché così doveva essere, sarà lo strumento portante di un piano oscuro e terribile.

    Naturalmente, optammo per calarci direttamente nel dislivello per arrivare più in fretta; per quanto Ralph intendesse seguire i binari per cercare altri indizi, il nostro piano prevedeva un attacco a sorpresa, ed entrare dalla via principale era il metodo più semplice per farsi sgamare con le mani nel vaso della marmellata.
    Quindi, scendemmo, e muovendoci silenziosi come ombre, o perlomeno, quanto le nostre armi ce lo permettevano, raggiungemmo il campo.
    L'aria era pestilenziale e tossica; usando stracci delle nostre vesti, improvvisammo delle mascherine per filtrare le scorie e respirare aria quantomeno più pulita; così equipaggiati, stringendo le armi in pugno, scivolammo attraverso il campo, stando ben cauti a non farci vedere. Da come alcuni reagivano ai nostri movimenti, sospettai che avessero dei sensi di udito e olfatto particolarmente sviluppati, e guardandoli da vicino, vidi che avevano un aspetto a dir poco selvaggio da quanto erano tribali e orrendamente tatuati e intessuti di zanne di animali su tutto il corpo, più nero della pece, con labbra lorde di bava sanguigna e gli occhi vuoti. Non c'era dubbio - nonostante gli abiti e le uniformi da comuni operai che indossavano, che si trattasse di un popolo di indigeni cannibali, esiliati da tutti i villaggi, asserviti alla volontà del signore della guerra che era il mio nemico.
    Clark Thrive, pensai, non avrebbe potuto trovarsi alleati migliori di simili demoni.

    Restammo sull'orlo del campo, tenendoci saggiamente alla larga da quegli esseri spietati fino a che il sole non cominciò a tramontare: i fuochi delle fornaci splendevano foschi nelle tenebre incombenti, e lentamente, i mostruosi uomini, al suono di una sirena da campo, fecero ritorno al fabbricato, come se la loro mente contorta glielo imponesse.

    Come tutto fu silenzio intorno a noi, solo il rombante crepitio del fuoco delle fornaci era rimasto a turbare la funerea quiete della notte, lentamente, uscii allo scoperto. L'obiettivo era uno solo.
    Sentii chiaramente la mano di Leona afferrarmi la spalla, fermandomi.
    "Abraham..." La sua voce era un tremito di preoccupazione facile da spiegare: aveva paura.
    "Non più." fu la mia risposta. Non avrei più rimandato l'appuntamento con il mio destino. Se si doveva compiere quella notte, allora, mi dissi, così sia.

    Per quanto spaventati e titubanti, i miei compagni, infettati dal mio demente coraggio, mossero dietro di me, vegliando le mie spalle e guardandosi a vicenda contro qualunque minaccia.
    Dopo chissà quanti secondi, forse troppi o troppo pochi, fummo a meno di dieci metri dal pesante portone di legno, e presa in mano Luxor, la mia croce da battaglia, mi preparai per sfondarlo, quando la voce di Ralph mi frenò di nuovo.
    "Abe!"
    Per un breve, intenso momento, rimasi immobile, prima di voltare la testa sopra la spalla e guardarlo come a volerlo fulminare: indietreggiò sotto quello sguardo. Dovevo essere davvero spaventevole in quel momento, da quanto la mia collera era trattenuta a stento.
    Sebbene intimorito, Ralph Ross si fece coraggio e pose la domanda, ovvia, ma per lui necessaria.
    "E se fosse una trappola?"

    Abbassando la croce, mi girai completamente verso i due soldati. Erano spaventati, pur riuscendo abbastanza bene a nasconderlo, e non potevo biasimarli: stavamo letteralmente per lanciarci tra le fauci della morte, una morte senza ritorno.
    Era crudele da parte mia, spietato addirittura, ma dovevo rammentarglielo.
    "Non avete detto che volevate vendicarvi insieme a me?" facevo delle pause tra una domanda e l'altra, per far penetrare il messaggio. "Non avete detto che mi avreste seguiti fino alla fine?" Li fissai in faccia con un'intensità tale da far avvampare di terrore. "Questa è la fine, amici miei. Di qui non si esce: se volete scappare, fatelo, non vi fermerò. Ma vi avverto: in tal caso, non vi riconoscerò più come i fedeli che più di una volta sono rimasti al mio fianco. Se morirete, non vi piangerò, e se le l'oblio sarà la vostra destinazione, non vi ricorderò, né me ne curerò. Ormai, non mi importa più niente, salvo che la morte di colui che io odio. Ma qualora vogliate restare ancora al mio fianco, adunate il vostro coraggio, uomo e donna dell'occidente lontano, e che il cielo vi assista."
    Detto ciò, tornai a quanto stavo facendo poco prima, mi avvicinai di più al portone, accostai l'orecchio, non udii nulla. Sbuffai, mi rimboccai le maniche, e strinsi la croce a piene mani.

    "Questa è, innegabilmente, una trappola.

    E con una spinta decisa della mia mano, aprii i due panconi massicci della porta, creando uno spiraglio sufficiente a entrare... e guardai.

    Ombra. Solo ombra e nulla più.
    Lentamente, quasi tremando io stesso, mi incamminai nel buio, guardando attorno, aiutato soltanto dalla luce di fuori, seguito dai due compagni, che erano rimasti fedeli fino alla fine.
    Dopo un breve minuto, o forse un'eternità, la profezia di Ralph si avverò, quando grandi fuochi scoppiarono sulle pareti, accendendo enormi torce e illuminando con effetto spaventoso, l'immenso salone, colmo di enormi casse ammucchiate le une sulle altre a guisa di torreggianti montagne a scalini, e su ogni scalino, stavano operai indigeni di ogni forma e dimensione, tutti con lo stesso volto cattivo, tutti con l'espressione avida di sangue.
    La loro clamorosa acclamazione ruppe il silenzio, quasi assordandoci, mentre l'adrenalina per lo spavento improvviso ci mise schiena contro schiena, a triangolo, guardando da tutte le parti, e notammo con orrore, che la porta era stata richiusa, e molti altri cannibali ci stavano dietro, ridendo come assatanati.
    In quella, udii una voce che non avevo più udito da molto tempo. Una voce che avevo udito per la prima volta senza mai vedere il suo volto, e che avevo maledetto per innumerevoli giorni.
    Una voce calda, maliarda, affascinante.

    "Signor Mist! Benvenuto! Sapevamo che prima o poi ci avrebbe degnato della sua presenza, ancora una volta."

    TO BE CONTINUED
     
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    Non lascerò più passare mesi tra un capitolo e l'altro. Questa FF mi sta costando più tempo di quanto io potessi immaginare. Ma ho detto che l'avrei finita e lo farò.

    Capitolo 32: Scontro
    Regione ignota
    Giovedì, 13 giugno 1999, 17:00


    Guardando verso l'alto cercai la fonte di quella voce, e non mi fu difficile notarlo, grazie alla luce delle luminarie che erano state accese all'improvviso.
    Stava sopra a un gran cassone di metallo, indossava una canotta nera sopra la quale stava un lungo camice bianco; indossava pantaloni mimetici e anfibi ai piedi, il che faceva un lugubre contrasto con il completo da scienziato, e due lucenti occhiali scuri spiccavano sul volto odioso ed emaciato; era calvo e stenti di cui ignoravo l'origine lo avevano mutato orrendamente nel corso di quegli anni.
    Ma la voce, quella l'avevo riconosciuta, e anche se il suo aspetto era atrocemente diverso dai giorni di Praga, come potevo non riconoscerlo?

    "Vincet Muller!!" berciai, quasi soffocando dalla collera.
    "Benvenuto, Signor Mist," mormorò quello, guardandomi con un ghigno tronfio, orrido specchio del sorriso diabolico dei cannibali al suo comando, "e anche a voi, signor Ross e signorina Steinhart, dopo tanti anni, all'apice del nostro Progetto. Sapevo che presto o tardi ci avrebbe fatto l'onore di presentarsi, anche se" aggiunse, facendosi alquanto deluso, "mi aspettavo di ricevervi parecchi giorni fa."
    Il mio contegno non resse.
    "Che cosa fai tu qui, maledetto!? Dovresti essere....!"
    "A Praga?" mi interruppe lui, concludendo. "A marcire nei sotterranei segreti della città?" Rise, un riso che non si addiceva alla sua bella voce. "Lei mi insulta, signor Mist, se crede che io possa essere talmente inetto da lasciarmi catturare. Quando le forze Americane mandarono il nostro centro di ricerche a gambe all'aria, io ero già lontano, con tutti i nostri risultati!"
    "VA ALL'INFERNO!!!" tuonò all'improvviso Ralph, scaricandogli addosso la pistola. Per quanto io non fossi riuscito a fermarlo, rimasi paralizzato da quel che avvenne in seguito: con pochi, pigri scatti della mano, il terribile folle aveva agguantati al volo tutti e sette i colpi sparatigli addosso, e li teneva stretti tra le singole dita, maneggiandoli come una specie di antistress. Ralph rimase ammutolito, e di pari restammo io e Leona.
    "Stupefacente, vero?" esclamò lo scienziato, guardandoci dall'altro, mentre i selvaggi davano in sguaiate risa. "Io stesso ne sono colpito: i miei riflessi si sono sviluppati al di là delle mie aspettative da quando ho assunto il siero. Incredibile, quanto è vero che respiro!"
    Quelle parole mi atterrarono.
    "Il siero?! Tu... non vorrai dire? Non sarai mica...!?"
    "Precisamente, signor Mist" esclamò lui, trionfante. "Il progetto Estremo Rosso è continuato in me, come anche nel Colonnello..." mi guardò fisso e sorrise. "Naturalmente, mi offrii volontario per primo: era la mia responsabilità assicurarmi che non vi fossero effetti collaterali nel programma, onde evitare il fiasco ottenuto con lei, signor Mist."
    La mia mente scoppiava: il demone di quel Progetto infernale si stava espandendo? Quanti altri erano stati selezionati da quel folle? E soprattutto, Thrive, quell'essere malvagio a sua volta aveva ottenuto quel potere proibito? Era talmente devastante che non riuscivo quasi a concepirlo.
    L'orrore era palese sul mio volto, per certo, poiché Muller rise nel vedermi così.
    "E lei lo avrebbe dovuto capire, signor Mist, che il nostro lavoro non si sarebbe interrotto così, solo per il semplice intervento di una misera accozzaglia di ubriaconi debosciati. Speravamo di catturarla e di riportarla al nostro servizio quel giorno stesso, ma purtroppo, lei si è dimostrato un avversario più ostico di quanto immaginassimo. Abbiamo setacciato per mesi questa zona dopo Nairobi, chiesto ai villaggi vicini, con tutta la cortesia possibile..." e qui la sua voce si fece grave, minacciosa addirittura. "Un vero peccato che si siano rifiutati di collaborare. Si può dire che abbiano fatto il suo stesso errore, Mist."

    Queste ultime informazioni furono la goccia che fece traboccare il vaso. La mia collera mi perforò il cervello al punto tale che una calma improvvisa mi avvolse. Alzai lo sguardo sbarrato, folle, verso quell'essere abominevole, e vidi che sorrideva, e una sola parola scolpita a lettere di fuoco apparve tra me e quel volto.

    UCCIDI!


    "E così" cominciai a parlare, muovendo lentamente verso di lui. "Avete distrutto una città, sterminato innumerevoli vite, razziato villaggi, massacrato, minacciato, devastato, derubato e bruciato queste terre... tutto questo per arrivare a me..."
    Muller mi ascoltava in silenzio, e la mia voce per quanto arrochita dalla rabbia, echeggiò sulle mura del fabbricato.
    "Tutta questa rovina... tutta questa morte... soltanto per me? Non esisteva altro scopo in queste vostre azioni che arrivare a me?"
    "Sì, esatto" rispose lui quando ebbi finito. I miei occhi mandarono lacrime, ma non di tristezza, lacrime rosse di sangue, lacrime di odio.
    "Ma come? Ma perché??" La mia voce si spezzò, e uscì in un grido che fece trasalire tutta la sala. "MA COSA VOLETE VOI, DA ME??"
    Superato il sobbalzo, Vincent Muller si tolse gli occhiali, rivelando occhi rossi come i miei, intrisi di un potere malvagio, e il suo sorriso era svanito, lasciando solo il posto alla follia.
    "Ancora non la sa, signor Mist? Eppure sono passati anni da allora... e non se l'è mai chiesto, perché ovunque lei vada, la gente muore? Sono anni che il Colonnello Thrive le sta alle calcagna, oh, da ben prima di Praga, e non si è mai chiesto il perché? Non si è mai chiesto perché io l'abbia contattata a Vienna quel giorno? O del perché volevamo farla entrare nel Progetto ad ogni costo?"
    Quelle domande mi dilaniavano: di cosa stava parlando? Non riuscivo a capire, e ormai non me ne importava nulla: lo volevo fare a pezzi con le mie mani. Ancora pochi stimoli e sarei scattato per uccidere.
    Chinandosi verso di me, Vincent Muller allargò il suo sorriso in maniera quasi grottesca, e pronunciò la sua domanda finale.
    "Non si è mai chiesto del vero motivo per cui la giovane Mina è stata uccisa, quel giorno?"

    Per Plutone, pensai, è troppo.
    "ZITTO!!!"
    Scattai in avanti, e prima che qualcuno potesse fare nulla, avevo afferrato la testa dell'indigeno più vicino a me, l'avevo forzata in basso e saltando sulle sue spalle, mi slanciai in alto, verso Vincent Muller, pronto a farlo pentire.


    --------------------------------------------

    Luxor impattò violentemente contro il palmo aperto di Muller che l'afferrò e con sforzo quasi insignificante, mi scagliò via, dove i cannibali mi aspettavano.
    E si scatenò il finimondo.
    Cento indigeni dalla pelle color del catrame e con i denti acuminati si scagliarono su di me come una marea umana, pronti a sommergermi, quand'ecco, un fiero clangore di armi perforò i miei orecchi, svegliando ogni angolo del magazzino, e almeno sette di quella ressa finirono con le gambe all'aria, seguiti da altri dieci dietro di loro.
    Alzandomi, vidi Ralph e Leona, in piedi e feroci, con le armi in pugno tra me e il pericolo.
    "Se lo vuoi" sussurrò la soldatessa, con piglio più feroce di qualunque leonessa avessi mai conosciuto, "dovrai passare sui nostri corpi, feccia!!"
    Sorrisi a mia volta, consapevole di quanto fedele fosse il loro affetto per me.
    "E sia," rispose Muller, all'improvviso fattosi crudele come un demonio. "A voi, uomini! Il signor Mist è atteso al cospetto del Colonnello, quindi assicuratevi di catturarlo vivo. In quanto agli altri due," aggiunse con un tono quasi annoiato, "uccideteli pure."
    "E ora sono cavoli!" ringhiò Ralph, entusiasta all'idea del massacro: i lunghi mesi nella giungla lo avevano reso più feroce che mai, e quando lo scontro ebbe inizio, fu qualcosa di indescrivibile. Andava e colpiva a due mani, macchiandosi di sangue le braccia fino alle spalle; Leona dal canto suo, dimostrò abilmente i risultati del lungo allenamento alla spada iniziato a Nairobi e portato avanti ogni giorno nella foresta, colpendo alle giunture e recidendo vene importanti.
    Nel giro di pochi attimi, una fitta pila di morti cominciò ad accumularsi e presto, Lionel e Beatrix furono talmente sporchi di sangue da non riflettere più la luce.

    "Non startene impalato!" ricordo che mi gridò Ralph, dopo aver abbattuto un gigantesco indigeno panciuto dall'aria posseduta. "Quel verme di Muller sta scappando! Se lo perdiamo non lo prenderemo più!! Corri, presto!!"
    Mi resi ben presto conto che aveva ragione: il vile scienziato non era più sulla cima della pila, e nel mentre che mi ero perso ad osservare la mattanza compiuta dai miei compagni, quello era andato chissà dove.
    Rimangiando una clamorosa imprecazione, mi diedi all'inseguimento, brandendo Luxor come una lunga asta, spezzando il collo a chiunque di quei miserabili osasse sbarrarmi la strada, poiché i maledetti mi saltavano addosso come mosche sul miele.
    Tuttavia, non fu difficile localizzare il maledetto, che nella fuga la prendeva con molta calma, sicuro certamente di potermi sfuggire. Ah, ma non aveva fatto i conti con Abraham Colin Mist!
    Quantunque mille pericoli minacciassero all'interno del magazzino, e quantunque nuovi nemici sbucassero da dietro ogni scatola, rischiando di schiacciarmi, li superai tutti, e in breve, fui sul miserabile, che quasi sembrava avermi visto arrivare, tanto che quando lo travolsi, giuro, sorrideva.
    Nell'afferrarlo, cademmo di sotto perché l'inseguimento mi aveva portato sui panconi sospesi a più di dodici metri da terra, e cademmo su un grosso cassone.
    Lo sentii ridere, mentre ci rialzavamo.
    "Sul serio, signor Mist," disse, "lei è veramente un uomo incredibile. Non mi stupisce che il Colonnello abbia voluto sfruttare la possibilità di usarla per il Progetto."
    "Sta ZITTO!!" gli urlai contro, menando un fendente con Luxor che lo mancò di poco, lasciando un grosso buco del cassone.
    Muller si tolse il camice, restando in pantaloni e canotta, e io rimasi sbalordito e orripilato nel vedere i suoi muscoli gonfi di vene pulsanti: era disumano.
    "Ho avuto tutto il tempo di fare pratica in questi mesi, Mist" fece lui con aria beffarda. "Scoprirà che sono un uomo di mille risorse."
    "Tu non sei più un uomo, Muller" risposi io, mettendomi in posizione di guardia. "E come Clark Thrive, anche tu pagherai per tutto quanto, viscido serpente!"
    Il sorriso di Vincent Muller vacillò nel sentirsi insultare.
    "La nostra conversazione prende una piega spiacevole signor Mist, e le sarei grato se lei non mi calunniasse in questo modo!"
    La sua casualità era insostenibile, e decisi di chiudere la faccenda con un altro insulto.
    "Chiudi quella fogna una volta per tutte, dannato traditore, e preparati a morire!!"
    Il contegno di Vincent Muller si ruppe del tutto, i suoi occhi si sbarrarono, e abbandonando la buona creanza, si sciolse le spalle e fece schioccare le nocche, guardandomi come qualcosa di disgustoso, di indegno del suo tempo.
    "Mi creda, signor Mist, avrei voluto farlo per il Colonnello, ma... devo confessarlo: farla a pezzi con le mie mani sarà più soddisfacente di quanto io stesso potessi immaginare."
    E compresi che l'ora dello scontro era suonata, ancora una volta.

    TO BE CONTINUED
     
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    Si prosegue.

    Capitolo 33: Forze contrastanti
    Magazzino oscuro,
    Giovedì, 13 giugno 1999, 17:15


    Il boato del nostro colpo fu terribile: Luxor, la mia asta impattò con violenza inaudita su quelle che dovevano essere braccia di carne e ossa, ma anche le nervature e le vene esposte sulle braccia di Vincent Muller erano straordinariamente solide; questo mi fece trasalire: se soltanto la sua pelle si era fatta così dura, quanto poteva essere resistente l'interno infernale del suo corpo?
    Dopo quel primo contatto, lo sentii allargare il sorriso in un ghigno folle.
    "Straordinario, non trova, signor Mist?" E con una semplice spinta mi rispedì indietro. Spiazzato, lo guardai: sembrava essersi gonfiato ulteriormente: il potere del Progetto lo rendeva straordinariamente forzuto, e sembrava collegato al suo piacere perverso di distruggere.
    Per pochi attimi, Vincent Muller si perse nella contemplazione del suo nuovo corpo.
    "Da togliere il fiato, decisamente... Lo vede signor Mist?" aggiunse fissandomi come se guardasse un suo studente dopo aver esposto la brillante soluzione a un problema apparentemente troppo difficile. "Questo è il pieno potere del Progetto Estremo Rosso, un potere che lei ha sdegnato e rifiutato; negli ultimi sei anni ho avuto modo di perfezionare e amplificare di svariate volte le illimitate potenzialità del corpo e della mente: ho ottenuto forza, velocità, prontezza di pensiero, resistenza e facoltà sensoriali superiori a quelle di ogni umano comune; posso dirle, senza il benché minimo ego, di essermi elevato al di sopra di ogni essere vivente al di fuori del Colonnello, ovviamente."
    Rabbioso, tentai subito una carica, ma lui evitò tutti i miei colpi, saltando via, fuori dalla mia portata. Mi fissò come se stesse cercando di spiegare a un ritardato mentale.
    "Signor Mist, si rende conto di cosa significa questo? Le porte dell'avvenire sono state aperte, e sta a noi della razza umana, in quanto sovrani del mondo attraversarle e carpire i segreti dell'universo e dell'origine della vita stessa. E lei..." il suo sguardo si trasformò in pura delusione, "lei ha rifiutato una possibilità del genere."
    Allucinato da quelle parole, gli ringhiai contro: "Non esistono possibilità in un simile scempio!"
    E gli saltai contro, cercando di trasformare la mia collera in gelida logica, fallendo: la mia rabbia e la mia frustrazione non mi permettevano di concentrarmi; se solo fossi riuscito a focalizzarmi, avrei potuto spezzargli in buon ordine, le gambe, le braccia, il collo...
    "Un vero peccato, signor Mist" continuò lui, schivando pigramente i miei attacchi, "che lei la pensi così" e con un colpo preciso delle nocche, mi raggiunse al mento: fu come se un camion mi avesse investito.
    Per sette iarde volai nell'aria e fu solo grazie agli insegnamenti di acrobatica appresi dalla mia odiata sensei Mizuki che riuscii a salvarmi da una rovinosa caduta, atterrando in piedi.

    Sentivo il chiasso della battaglia più indietro, e sapevo che Ralph e Leona erano ancora vivi, e dalle urla disumane che mi raggiungevano, quei mostruosi indigeni stavano venendo lentamente e inesorabilmente sterminati.
    Con gioia feroce, fissai il mio avversario.
    "Non fuggirai, Muller!" gli sibilai contro. "Presto i miei amici saranno qui, e allora non potrai più nulla! Tu sei da solo e noi siamo in tre!!"
    "A malapena una sfida per me" rispose lui, quasi annoiato. "Ora, se permette, signor Mist, è ora di farla finita con le chiacchiere, e cercare di chiudere la questione. Sono già le cinque passate, e io ho una cena con il Colonnello stasera: non vorrei fare tardi, capisce? Perciò..."
    E dalla tasca dei pantaloni, levò un piccolo blocco nero e lo sollevò in alto.
    Un secondo troppo tardi, mi resi conto di cosa fosse.


    --------------------------------------------

    Una scarica elettrica immensa lacerò l'aria con il rombo dell'acciaio tagliato rinnovato all'infinito per svariati secondi: i lumi folgorarono e si spensero, lasciando solo la flebile luce delle torce e qualche sporadico sprazzo di elettricità a illuminare la scena.
    Quel pazzo aveva scatenato un corto circuito in tutto l'edificio, lasciandoci al buio.
    Alzando lo sguardo, rimasi allucinato, nel vedere il mio nemico, avvolto dall'energia azzurra, elettrica, sfolgorante: sembrava un terrificante villain di storie a fumetti, lacerando i confini tra immaginario e realtà.
    "Questo, signor Mist" sussurrò lui, prima di esplodere in un grido trionfale, "QUESTO è il vero potere!"
    Un potere che non avrebbe mai dovuto essere rivelato, pensai.
    Dovevo finirla e alla svelta, o quel pazzo ci avrebbe consumati tutti a suon di saette, e Ralph e Leona, già da sé stessi non avrebbero potuto reggere a lungo contro i cannibali in quel buio, mentre i terrificanti mangiatori di uomini, avvezzi a cacciare al buio, ripudiando essi la luce del sole, erano abituati a usare il naso per orientarsi più che la vista.
    Capii che non c'era altra via.
    Lentamente, ma non così tanto da dare al mio nemico il tempo di attaccare, mi abbandonai al passato oscuro e tragico di quei giorni: le ombre della città di Praga, alberi che prendevano vita, chicchi di grandine, più acuminati di spade a flagellare montagne di cadaveri, la mia bambina che correva sul sentiero, senza speranza, il malvagio che sorrideva, un leone caduto sotto il zoccoli di una mandria in fuga, le iene che ridono crudeli, le ombre la avvolgono...

    Un gemito rabbioso sfuggì alle mie labbra, e con forza decuplicata dallo sforzo della mia Ira scatenata, mi lanciai su Vincent Muller: mi sentivo straordinariamente lucido, poiché non vi era soltanto rabbia in me, ma anche la disperata idea della possibilità di perdere i miei soli amici rimasti, unita a una volontà non mia, collettiva, onnipresente e magica: era come se i Re del Passato fossero venuti dal loro lontano regno tra le stelle in mio soccorso.
    Se fu per una coincidenza o volere del fato, travolsi Vincent Muller con forza tale da sollevarlo in aria e per quelli che parvero lunghi momenti, ci contorcemmo in aria, proiettati verso le pareti, e lo schiantai sulla fiancata nord, facendolo gemere.
    In breve, cominciammo a rincorrerci, stretti in un abbraccio mortale, come due leoni in una lotta per la supremazia, e lo scontro ci riportò sulla scena principale, dove stava svolgendosi il secondo scontro.
    Poiché la mia attenzione era tutta sul mio avversario, non potevo vederlo, ma Ralph e Leona, poco ma sicuro ci avevano visti arrivare, e si erano opportunamente scansati, mentre i cannibali sopravvissuti, atterriti da quella apparizione spettrale, si dettero alla fuga, sfondarono le porte, e via come fulmini nella notte tetra.

    Dopo parecchi minuti di quella zuffa, afferrai il meschino al collo, tentando di stringerlo abbastanza da fargli perdere i sensi: nonostante tutto, lo volevo vivo, mi serviva per sapere dove si trovasse Thrive, e poi lo avrei ucciso. Meritava lo stesso destino che avevo in serbo per il mio vero nemico.
    Con forza disumana, egli mi afferrò per le spalle e mi scagliò via. Rialzandomi, lo vidi ansante, gli occhi sbarrati, la schiuma alla bocca. Era esterrefatto, all'idea che io potessi tenergli testa; tuttavia, riuscì a rimanere calmo, anche nella pazzia.
    "Questa storia comincia ad annoiarmi, signor Mist... sarà meglio che io le rompa qualche osso giusto per tenerla tranquillo finché non saremo arrivati dal Colonnello."
    E sollevate le braccia, caricò quello che sembrava un immenso fascio di elettricità.

    Paralizzato da quella visione, rimasi inchiodato, chiedendomi come fosse possibile una cosa del genere: come poteva un uomo possedere un simile potere? Già agli uomini risulta straordinariamente facile uccidere, ma con un potere del genere, uno scontro tra uomini simili avrebbe sicuramente portato il mondo a una rovina senza ritorno, e io, uomo solo e praticamente indifeso contro una simile energia, sarei stato abbrustolito per certo, se qualcosa di grosso non fosse saltato fuori dall'ombra e avesse afferrato il braccio sinistro di Muller, abbassandolo e serrandolo con forza.
    Era Ralph, tornato in tempo per fermare l'attacco micidiale, e subito dopo, una seconda figura si avventò sul folle scienziato, afferrandogli il polso destro, serrandogli le caviglie intorno al collo e torcendogli il braccio con tutto il peso del corpo. Leona dava grande conoscenza delle prese, e con questo secondo peso, i due inchiodarono Vincent Muller al suolo, in una pozza di sangue.
    "ABE!!!" urlò Ralph, sopra il terrificante crepitio delle scariche elettriche che andavano da tutte le parti. "NON AVRAI OCCASIONE MIGLIORE!! COLPISCILO, ORA!!!"
    "Abraham, SBRIGATI!!!" strillò Leona, che a stento riusciva a mantenere la presa.
    Risvegliato da quelle voci, prima ancora di rendermene conto, ero saltato: a mezz'aria, torsi il meccanismo per spalancare la punta della mia asta e rivelare il punteruolo acuminato.
    Con un grido di guerra, caddi sopra il mio avversario, e Luxor lo colpì all'addome, affondando la punta fino in fondo nelle carni del disgraziato essere.
    Fummo scagliati indietro da una scarica di energia, mentre Vincent Muller cacciava un grido e l'aria tutta si illuminò per i fulmini che scaturirono dalla ferita.
    Sbalzati via e abbagliati, ci ancorammo ciascuno al proprio corpo, e aspettammo che tutto finisse.

    Come tornò il silenzio, ci rialzammo, e alla luce della luna, poiché le torce si erano spente, ci avvicinammo al corpo dello scellerato: presentava bruciature sull'addome, e dalla ferita carbonizzata, colava un sangue rappreso; Vincent Muller aveva gli occhi chiusi, sangue colava dal naso e dalla bocca, e non dava più segno di vita.
    Lentamente mi chinai su di lui, e premetti le due dita contro la vena del collo.
    Leona si avvicinò, tremando da testa a piedi.
    "E'... morto?"
    Rimasi in silenzio, mentre cercavo di sentire qualcosa: un battito, un singulto, un respiro... qualcosa...
    Sussultai, quando sentii un fiotto di sangue passare per la vena giugulare. Sospirai.
    "Non ancora" risposi finalmente, tirando un secondo sospiro di sollievo: quel verme poteva ancora servire al mio scopo.
    Rialzandomi, guardai fuori dalla porta sfondata; la mia mente lavorava frenetica.
    "Non possiamo restare qui" fece sordamente Leona, indovinando i miei pensieri. "Se tutto questo faceva parte del piano di Thrive, allora i suoi servi torneranno, e quando vedranno questo disastro, ci daranno la caccia per tutta l'Africa."
    "Puoi dirlo forte" replicò Ralph. "E se devo essere onesto, non ho alcuna intenzione di affrontare di nuovo una cosa del genere!"
    "Questo è stato solo l'inizio, Ralph" cominciai io, dopo essere arrivato alla comprensione delle cose. "Prima di tutto è necessario tirare fuori da questo cane tutto quello che sa, e poi agire di conseguenza."
    Mi voltai verso i miei compagni e nei loro occhi vedevo paura, dolore e dubbi, ma anche una collera paragonabile alla mia.
    "La nostra guerra contro Clark Thrive ha inizio qui: questo primo colpo lo soffrirà ben poco, ma servirà ad attirarlo a noi."
    Lentamente, mi misi in moto per tornare al nostro bivacco, zoppicando vistosamente, mentre Ralph e Leona tiravano su il corpo privo di sensi del nostro avversario e nostra prima vittima.

    Non sarebbe uscito vivo dalle nostre mani, ma prima, giurai a me stesso, che avrebbe cantato, o non sarei più stato Abraham Colin Mist.

    TO BE CONTINUED
     
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    E avanti si va...

    Capitolo 34: La vendetta del demone

    WARNING: livelli di violenza inaudita

    Rifugio nella jungla,
    Giovedì, 13 giugno 1999, 20:00


    Per quanto rapidi e silenziosi ci muovessimo, non facemmo ritorno al rifugio prima che si fosse fatto veramente buio.
    Mheetu, da bravo guardiano e da amico fedele qual era, passeggiava irrequieto a metà strada tra la caverna di Eleanor come un futuro padre in pena, ma in cuor mio, lo sapevo che il suo povero cuore tremava per la nostra sorte anzichenò; il mio sospetto trovò conferma quando allertato dalla nostra traccia, ci corse incontro per darci il bentornato, ma la sua reazione di quella che poteva essere gioia si mutò in rabbia e orrore quando vide Vincent Muller issato sulle spalle di Ralph: il suo pelo si rizzò spaventosamente, le sue zanne tutte scintillarono come pugnali, aguzze come mai le avevo viste prima e i suoi occhi davano a intendere che non desiderasse altro che colpire. Mi ci vollero parecchi sussurri e un abbraccio rassicurante per placarlo, ma non riusciva a togliere lo sguardo dal truce miserabile in nostro potere e ci seguì fino all'accampamento.
    Come fummo arrivati, Vincent Muller dava ormai segno di essere in procinto di svegliarsi, ragion per cui, onde evitare che il mariuolo spiccasse il volo, lo legai con solide corde a un alto sicomoro dal tronco flessibile nelle vicinanze, assicurandomi di stringere per bene gomiti, spalle e polsi, e per maggior sicurezza, oltre che per risvegliarlo in una posizione vantaggiosa, diedi a Ralph l'ordine di spezzargli le ginocchia.
    "Con piacere"

    Fu tutto ciò che egli rispose, sollevando Lionel, la sua spaventosa mazza.
    Non dirò nulla dello schiocco delle vertebre che lacerò l'aria, ma il gemito di Vincent Muller, portato bruscamente al mondo della veglia, fu meno terribile di quant mi aspettassi: gemette, ma come se avesse ricevuto una freccia sulla spalla, ansimò e grugnì, sentendosi improvvisamente prigioniero e azzoppato e sollevando lo sguardo, ansante, capì di essere in nostro potere.
    E fu allora, che egli diede la prova di quella che poteva essere descritta solo come la sua demenza: fece la cosa più inaspettata di tutte.
    Rise.
    Una risata atroce, crudele, folle, senza contegno o fondamento: la risata di uno che sa di essere stato battuto e che prenda la sconfitta, o quantomeno finga di prenderla, nel modo meno serio possibile; tuttavia, gli spasimi che lo percorrevano non mentivano: sentiva il dolore bruciargli le carni.
    "Dunque" riuscì a dire tra un singulto e l'altro, "bel modo di svegliare la gente avete, voi rozzi selvatici..." un sonoro manrovescio da parte mia giunse a zittirlo.
    "Non ti conviene ridere, Vincent" lo fulminai con lo sguardo. "Sei in nostro potere e privo di difese: nessuno sa che sei qui, e per quel che mi riguarda, per un solo motivo sei ancora vivo..."
    "Come se non lo sapessi..." rispose lui, ansante di euforica demenza. "Mi avete battuto onestamente, sfruttando la forza dei numeri, e forse, credete di aver messo fine ai piani del Colonnello Thrive, ma vi sbagliate!"
    Irritato dalla menzione di quel nome odiato, lo afferrai per il colletto e gli soffiai in faccia.
    "Non credermi così ottuso, servo pazzo e derelitto di un demone folle! So che i piani di Thrive non finiscono qui! E tu, mi dirai tutto quello che tu sai, o sarà peggio per te!!"
    Muller perse la sua baldanza: si fece di nuovo serio.
    "Lei non ha idea, signor Mist, di quel che mi chiede: una sola parola di quello che il Colonnello Thrive ha in mente, basterebbe per straziarle l'anima. Questo dovrebbe bastare a farle capire, mi auguro, che né lei, né il signor Ross o la signorina Steinhart, avete la benché minima speranza contro il suo sogno, il più grande e glorioso mai concepito: finirete solo con l'essere ridotti in cenere!"
    Oltraggiato dall'insolenza del tipo, lo scossi trattenendo a stento la rabbia, mentre Mheetu soffiava sempre più agitato: sembrava non chiedere altro che sbranarlo, e lo avrebbe fatto se Leona non lo avesse tenuto fermo.
    "Questo lo vedremo" replicai, "ma prima tu vuoterai il sacco, e credimi, serpente: vivere da solo mi ha insegnato i metodi più crudeli per torturare. Se non parli, io..."
    "Tu cosa!?" mi urlò egli addosso all'improvviso, quasi sputandomi in faccia e dando in uno sfogo di risa talmente incontrollabile che svegliò tutta foresta. Aveva improvvisamente perso le sue buone maniere. "Cosa pensi di potermi fare ormai se non uccidermi? So bene che non mi lascerete andare vivo, che non vedrò il prossimo sole! Non servono torture o minacce per capirlo: mi avete già abbrustolito le interiora e spezzato le ginocchia!! Considerando tutto, è un miracolo che io sia ancora vivo e in grado di parlare." e giù a ridere come un assatanato.
    Infastidito da quel riso infernale, Mheetu gli ruggì contro, senza dubbio intimandogli di tacere e a diritto: quelle risa avrebbero sicuramente infastidito Eleanor nella sua caverna, e nelle sue condizioni, quel frastuono era più che un semplice disturbo, era qualcosa di veramente doloroso.

    "Sta bene" gli dissi quando ebbe placato le sue risa abbastanza da sentirmi. "Se dici che le torture non serviranno, allora troverò altri modi, ma credimi sulla parola, Muller: tu canterai, e tutti i segreti di cui sei padrone, tu li rivelerai! A meno che tu non voglia che il mio leone di sbrani pezzo dopo pezzo!"
    Mheetu aveva inteso bene le mie parole, e fremeva eccitato: ancora non capivo il perché, ma sembrava nutrire un odio feroce per lo scellerato, ma per cosa? Non poteva certo essere per il fatto che sapeva che esso era un mio nemico? Forse...
    "Non c'è bisogno nemmeno di minacce" rispose Muller, straordinariamente lucido per un uomo nella sua posizione, "Ve dirò tutto quello che so, perché sono comunque prossimo alla morte, e se proprio devo tirare le cuoia qui e oggi, tanto vale farlo senza lasciarmi nulla alle spalle. Non che possa servirvi, comunque."
    "Ribadisco: questo lo vedremo!" replicai con un sibilo sinistro. "Ora, Muller, parla!"
    Il vile ghignò.
    "Come desidera, signor Mist: come lei saprà, il nostro vecchio progetto a Praga dette ottimi risultati."
    Fremetti, al terrible ricordo di quei giorni; Ralph e Leona ci fissavano con occhi sgranati e sudavano, ma non per lo scontro di prima.
    "Lei fu soltanto il primo vero passo, un esperimento per così dire; grazie a lei, potemmo asserire che l'incremento delle qualità psicofisiche poteva essere ulteriormente potenziato e applicato senza rischi sulle cavie umane. E così, io e il Colonnello Thrive ci siamo applicati. Purtroppo non avevamo scelta" aggiunse facendosi quasi malinconico, "Eravamo rimasti noi due soli, e la signora Shinoyama si rifiutò di sottoporsi al programma..."
    Quel nome mi fece trasalire.
    "Dunque Mizuki era coinvolta nel progetto!!"
    "Ma certo che lo era, povero sciocco: gliel'avrà confermato lei stessa, del resto. E' grazie al suo contributo se io sono riuscito a lasciare Praga prima dell'intromissione della legge locale: abbiamo trascorso insieme i tre anni successivi insieme, e siamo diventati molto uniti: lei mi ha fornito informazioni utili sul suo allievo, e io in cambio, le ho offerto una cospicua somma in cambio di piccole attività di sicurezza per nostro conto."
    Sudavo freddo, non lo nego: tutte le forze oscure del mio passato sembravano essersi coalizzate contro di me.
    "E poi, circa due anni fa, con l'aiuto di Mizuki, abbiamo fatto evadere il Colonnello Thrive; non fu facile, lo ammetto: la scienza tecnologica dei servizi segreti è più avanzata di quanto si possa credere, ma la sapienza dei samurai ha dimostrato ancora una volta come lo spirito possa prevalere sulla materia, e così, in appena dodici ore, il Colonnello Thrive era libero, ferito, ma più che disposto a portare avanti il progetto, oltre che a prendersi la rivincita su di lei, signor Mist."
    Sentivo il mio cranio scoppiare: tutte quelle informazioni mi stavano facendo impazzire, al pensiero che Mizuki mi odiasse così tanto da desiderare a tal punto la mia rovina. Stando a quanto aveva detto lo scellerato, Thrive era evaso da più di due anni, vale a dire, da quando il regno di Scar era prossimo alla fine. Troppe domande si agitavano nella mia testa. Dov'era Thrive? Quanti altri inganni aveva tramato? E perché era così ossessionato da me, fin dai tempi di Praga? E fu proprio questa, la domanda che gli posi.

    E Muller rise.
    "Ma allora non mi stava ascoltando, signor Mist!? La storia che intercorre tra voi e il Colonnello Thrive va ben più indietro di allora, ben prima che lei lasciasse l'Inghilterra!! No..." si fece cupo in volto. "Per quel che ne so, era destino che accadesse, da prima che lei nascesse, Abraham Colin Mist!" e la sua risata si fece sempre più folle.
    Non reggevo più.
    "Come?" ansimai, scuotendolo per il colletto, perché tremavo di rabbia e paura. "Come? Come è possibile una cosa del genere?"
    "Lei non se ne rende conto, signor Mist, eppure dovrebbe saperlo il perché: lei ha qualcosa che appartiene al Colonnello da sempre... e ancora si ostina a non capire..."
    E infatti non capivo: tutto ciò che era con me era mio da sempre: la mia spada, le mie vesti, la mia vita. Io e quel vile non potevamo avere nulla in comune.
    Decisi di non darci peso. Tuttavia, c'era ancora una domanda che mi pizzicava con immenso fastidio. Sapevo che c'era lui dietro all'attacco a Nairobi, ma questo non chiariva una cosa.
    "Se Thrive è libero da due anni, e se è vero come sospetto da sempre, che vuole vendicarsi su di me..." inspirai a fondo, prima di domandare, "come è possibile che non mi abbia attaccato prima, quando non sospettavo nulla?"
    "Non sarebbe stato corretto" rispose prontamente Vincent Muller, sorridendo, "del resto, come vendicarsi se la vittima non sa chi è stato? Il Colonnello vi ha tenuto d'occhio per questi ultimi anni: da quando è evaso non ha fatto altro che cercarvi, e attraverso i suoi ultimi contatti a Praga, sapeva che lei si trovava qui in Africa, anche se non sapeva esattamente dove, e così ha mandato la signora Shinoyama e me medesimo a cercarvi: ormai mi ero già sottoposto al programma del Progetto Estremo Rosso, e potevo difendermi benissimo, tuttavia, volle affidarmi un contingente di soldati." e qui ghignò. "Confido siano tutti morti."
    Quest'ultima informazione mi fece gelare il sangue.
    "Tu eri assieme a Mizuki!?"
    "Ma è ovvio" rispose lui, quasi innocentemente. "Ci siamo anche incontrati di sfuggita, non ricorda? Oh, giusto!!" esclamò all'improvviso, come se lo avesse fulminato un ricordo. "Mi ero camuffato per non farmi riconoscere, vero?" I pezzi del terribile ricordo si fecero strada nella mia testa come un lampo: una figura rossa con una spada, il petto di Ni squarciato alle spalle...
    "Mi era stato imposto di obbedire alla signora Shinoyama in cambio dei suoi servigi, e così ho fatto."


    --------------------------------------------

    La terrificante verità colpì noi tutti come un macigno. La furia di Mheetu trovò la sua giustificazione: aveva riconosciuto il sangue del padre sulle mani del vile, e al sentirlo confessare quel delitto, ruggì ancora più fragorosamente, mentre Leona, ancora sconvolta dalla rivelazione, si contorceva per trattenerlo dal balzare su Muller e stritolargli il cranio tra le fauci.
    Avevo lasciato andare la presa: ero allibito, e il vile, consapevole di avermi straziato l'anima come aveva predetto, si sciolse in un riso trionfante, infernale.
    Ralph invece perse la calma, e diede di piglio a Lionel. "Sei un lurido figlio di...!!!"
    "Fermati Ralph!!" esclamai in tempo prima che il massiccio Yankee potesse fracassare il collo di Muller. "Non ne vale la pena... non lui..."
    "Ma come?" mormorò lui, facendosi quasi sbalordito. "Non vuole lasciare che il signor Ross mi finisca, signor Mist? Non voleva estirparmi ogni informazione? E io che ero più che disposto a parlare? Non voleva sapere la verità di cui io e il Colonnello Thrive soli siamo padroni? Non voleva vedermi morto?"
    "Hai detto abbastanza" mormorai, e mi alzai per tornare a sedermi al falò e ponderare.
    "Non ho ancora finito signor Mist," sbraitò lui dal troncò, agitandosi tanto da far cadere parecchie foglie dal sicomoro. "Il meglio deve ancora venire! Anche se non potrò vederlo, il piano del Colonnello Thrive andrà in porto, e il trionfo della mia scienza e della sua forza porteranno una nuova era sul mondo!!"
    "Taci essere maledetto!" sentenziò Leona, acida di collera. "Rispetta il dolore che hai causato: non insultare oltre la dignità dell'essere umano"
    "Gli esseri umani..." berciò lui, facendosi fumante di rabbia ed estasi delirante, "sono inutili e meschini! E' per il loro egoismo che noi siamo così, ed è per questo che ci eleveremo al di sopra dei comuni esseri umani con un nuovo ordine! Ormai il Colonnello a nord, avrà già intuito il mio destino, e sarà già entrato in azione! Quando tutto questo giungerà a termine, il Re del Mondo sottometterà il mondo dal cielo con una tempesta di fuoco!!!"
    "Ora basta!!" berciai, trattenendo a stento la mia rabbia. "Non voglio più sentire nulla: per i crimini che hai commesso, marcirai qui, in questa foresta, e diverrai nutrimento per quel sicomoro a cui sei legato, e che già adesso beve il tuo sangue: è un onore che non meriti, ma gli uomini come noi non badano a questi dettagli."

    Ma Vincent Muller non volle lasciarmi in pace: aveva un'ultima freccia velenosa sotto la lingua da scoccarmi contro.
    "Non gliel'ho detto, vero, che sono stato io in persona a occuparmi della piccola Mina, vero?"
    Il mondo intero cessò di muovere, e il mio cuore di battere: un'immagine fissa era nella mia testa. Quel volto puro, quel corpo immacolato, straziato da una crudele accetta. Un grido, la neve bianca tinta di rosso. La pioggia, il pianto del cielo per quell'orribile delitto.
    "Non è stato facile" riprese lui, ma la sua voce per quanto distinta, era ovattata, come se lo sentissi attraverso un muro. "Per essere solo una bambina, si è difesa con le unghie e con i denti..."
    "Sta zitto!" udii chiaramente latrare Ralph, e con la coda dell'occhio, vidi che brandiva minacciosamente Lionel.
    Ma i miei occhi puntavano il lungo fodero ricurvo sulla roccia vicino alle pietre, e lentamente, mi mossi verso di esso.
    "Ma una bambina resta pur sempre una creatura indifesa: un bersaglio perfetto, un punto debole perfetto..."
    La mia mano strinse convulsamente il fodero, e quasi rimasi sorpreso dalla forza che sentivo in me. Non che mi importasse, comunque: la sola cosa importante, era adoperare il suo contenuto nel modo più opportuno.
    Con il mio ultimo momento di lucidità, chiesi silenziosamente pietà al cielo per quanto stavo per compiere, e mi girai verso Vincent Muller, e un profondo, inesorabile odio mi travolse.

    In tre passi fui di fronte a lui e sguainai Kaminari, la terrificante nodachi di Mizuki, la quale fu capo e ultima superstite degli assassini, cui quella spada apparteneva. Una meravigliosa lucidità mi accompagnava nel furore. Era tempo che quella lama dissacrata mietesse la sua ultima vittima.

    Una presa improvvisa mi afferro il polso.
    Nello sguardo di Ralph, vidi paura: dovevo avere l'espressione di un indemoniato. Non chiedevo altro che bagnare la lama nel sangue di Vincent Muller, ma le parole di Ralph mi scossero.
    "Non ne vale la pena, Abraham... se deve morire, allora che marcisca. Una fine lenta, dolorosa e terribile come questa gli si addice come nessun'altra."
    "E' vero Abe," mormorò Leona dal lato opposto. "Non macchiarti del suo sangue. Non merita un simile onore."
    Lentamente, il mio sguardo passò da Leona a Ralph, al mio stesso riflesso in Kaminari, e vidi che il mio volto era deformato dalla collera. Che cosa mi stava succedendo?
    Abbassai la spada e lo sguardo; inspirai a fondo un paio di volte, e mormorai:
    "Sì... avete ragione... non ne vale la pena." Fissai gli occhi sul volto contorto di Vincent Muller, e provai solo disgusto. "Non ne varrà mai la pena."
    Mi voltai per mettere a terra la spada e godermi il fuoco del falò, con Ralph e Leona che mi sorreggevano, ma la voce di Vincent Muller tornò a perforarmi in tutto con quelle che - io mi assicurai - sarebbero state le sue ultime parole.
    "Lei non ha idea, signor Mist, di quanto si sia agitata quella piccola tigre: ha pianto, ha gridato, si è dimenata. E' diventata..." e potei vederlo assaporare quelle parole... "così noiosa..."

    Qualcosa si ruppe in me.
    Ralph, scocciato, ma mai quanto me, mi lasciò andare e si voltò verso Muller, certo per farlo tacere a suon di cazzotti.
    "Tu non sai proprio quando chiudere la fogna, vero?"
    Vincent Muller non ebbe tempo di rispondere, né Ralph di colpirlo, perché, raddoppiata la presa su Kaminari, al suono di quell'insulto verso colei che aveva rappresentato tutto per me da parte del suo stesso assassino, persi completamente il controllo. Con uno strattone mi liberai dalla presa di Leona, e in un solo, fluido movimento, scostai Ralph al punto da farlo quasi cadere e in meno di un secondo, fui su Vincent Muller.
    In un istante, la rabbia mi accecò: sentii la lama perforare il legno, ma uno schizzo caldo sul mio volto mi fece capire che ero andato a segno. Il grido di Leona mi raggiunse troppo tardi.
    In pochi attimi, dopo aver storto la presa con rabbia terribile, la vista tornò, e vidi il mio operato: Vincent Muller aveva la bocca mostruosamente aperta e lorda di sangue, Kaminari sbucava solo per l'elsa da sotto il suo mento, e con la mia presa tremula, il sangue ne schizzava fuori a piccoli sprazzi, e tutto il corpo del miserabile, tremava per gli spasimi della morte.
    Avevo affondato Kaminari tanto a fondo da far uscire la lama dall'altro lato del sicomoro.
    Ci volle la solida presa di Ralph per staccarmi dalla mia vittima. Indietreggiai di un passo, aspettando di vedere con i miei occhi, la vita lasciare l'odiato essere.
    Ma gli spasimi non cessarono.
    "Vespa d'inferno" berciai quasi senza voce, "perché sei ancora VIVO!?"
    Urlai senza volere, la mia mano scattò verso Ralph: in un secondo, gli aprii il cappotto e sfilai la sua Dagger, una 9mm d'ordinanza ancora carica prima che potesse protestare.
    Puntai con tutto il mio odio quel volto e tirato il grilletto feci fuoco.
    Il primo colpo lo centrò all'occhio destro, e da solo sarebbe bastato, ma non per me: lo colpii ancora, e poi ancora, e poi ancora, e poi ancora, fino a maciullare quel volto odiato, poiché era mio desiderio farlo sparire una volta e per sempre, e continuai a sparare svariate volte, anche quando la cartuccia fu completamente scarica, e solo allora, le proteste di Ralph che mi scuoteva, mi raggiunsero.
    "Abe! Abe!! ABE!! Ora basta! E' finita, Abe!!!"

    Come il mio terrificante sfogo ebbe fine, guardai la pistola, ringhiai un'imprecazione, la schiaffai sul petto di Ralph, e con un ultimo grido, mi avventai sul cadavere martoriato dello scellerato scienziato con un pugno talmente forte da sradicare il sicomoro, che ricadde con un tonfo sinistro sulla dura pietra, accompagnato dal clangore ferreo di Kaminari.
    Mi ci vollero svariati minuti per calmarmi. Lo stesso Mheetu, feroce com'era, rimase impietrito e indietreggiò dalla paura.

    Ispezionai il tronco senza toccare la carcassa orrenda, e vidi con una lugubre sorpresa, che l'impatto del sicomoro e del corpo avevano frantumato Kaminari contro la pietra dura: la lama era ridotta in frammenti. Il suo destino era compiuto.
    "Mai più... genia degli assassini... mai più..."
    Con queste parole mi voltai, e vidi i miei soldati indietreggiare intimoriti: dovevo fare veramente paura...
    Ma non me ne curavo: avevo fatto quanto volevo. Vincent Muller era morto, come io volevo, e giurai in quel terribile silenzio, che Clark Thrive avrebbe subito un destino diecimila volte peggiore di quello. Lo scienziato aveva sofferto ma non abbastanza.
    Mi sedetti accanto al fuoco, immergendomi nei miei lugubri pensieri, mentre Ralph e Leona si allontanavano per il riposo notturno.
    Con la coda dell'occhio, vidi Mheetu allontanarsi, guardandomi come se per la prima volta mi vedesse davvero, e quando anche lui fu svanito alla vista, mi sciolsi liberamente in lacrime, e mi odiai profondamente per averlo fatto assistere a uno spettacolo simile.

    Lacero, esausto, piangente, furente, macchiato di sangue come non mai, caddi riverso sul fianco, e abbagliato dal fuoco attraverso il velo del pianto, mi rigirai, lasciando scorrere il sangue e le lacrime sulla terra devastata.

    TO BE CONTINUED


    Edited by Gaoh - 3/5/2017, 18:26
     
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    E dopo una giornata piena, decido di sfinirmi definitivamente con questo capitoletto breve.

    Capitolo 35: Follia nel silenzio
    Rifugio nella jungla,
    Lunedì, 2 Agosto 1999, 20:00


    E così fu.
    Dopo gli eventi di quella notte non potei più chiudere occhio per quasi quaranta ore, devastato com'ero da quanto era capitato, dopo la mia deplorevole esibizione di collera incontrollata.
    Ralph e Leona parevano comprendere il mio stato mentale, e si tenevano rispettosamente lontani da me, per paura di una mia reazione improvvisa involuta, sebbene io temessi che fosse semplicemente per orrore in seguito alla morte di Muller, l'ennesimo umano morto per mano mia. Ero un assassino e non potevo negarlo, e per quanto terribile, volevo farlo di nuovo, perché ancora uno esisteva al mondo che era nei miei propositi di morte, e di lì a poco, così pensavo, avrei consumato quell'ultimo supplizio.
    Almeno questo era il mio proposito, perché nonostante avessimo a disposizione tutte le tracce per inseguire e localizzare il mio nemico, ancora molte cose ci trattenevano: Ralph e Leona dovevano ancora riprendersi dallo scontro con i cannibali che nelle due settimane successive si addentrarono nella jungla nel tentativo di stanarci, finendo fatalmente con l'essere trucidati o dai due compagnoni o dal mio fedele Mheetu.
    Oh, Mheetu, pensavo... chissà cosa pensava lui di me, dopo aver visto il lato peggiore di me, l'estensione della mia malvagità... lo avevo inorridito: lo avevo visto fin troppo bene nei suoi occhi, anche senza il mio anello. Aveva visto qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere, che non avrebbe mai dovuto vedere...

    Aveva paura di me.

    Nei giorni che seguirono, l'emozione mi spinse a vagolare per brevi tratti a sud, ondeggiando tra gli alberi e lanciandomi in strane visioni ad occhi aperti e danze deliranti accompagnate da risa straziate e urla di collera e dolore: tutte le creature della foresta fuggivano al sentirmi arrivare, e in quelle contrade nacque la leggenda di un'ombra nella notte, che avrebbe distrutto ogni cosa sul suo cammino, e per questo ancora oggi, mi è stato detto, che i cuccioli rimangono presso le madri per paura di quel mostro.
    O forse era una mia sensazione? Non rammento...
    Rammento però che persi il conto dei giorni; il tempo non aveva significato per me, e nel mio sempre più crescente stato di follia, vagavo lontano con il pensiero, lasciandomi andare a sogni crudeli di sangue, grida, orribili imprecazioni e singulti di guerra.
    Tuttavia, Leona era più diligente e segnava scrupolosa il passare del tempo, rammentandomi di volta in volta - vale a dirsi, qualora lo domandassi di persona - la data attuale, ma non perché me ne curassi, ma per distrarre la mia mente dai miei vaneggiamenti.
    Eppure, nonostante tutto, ero abbastanza lucido da vedere l'ansia sempre più crescente sul volto dei miei umani amici, e capivo più che mai, proprio come anche loro che il tempo era agli sgoccioli.
    Stavo per impazzire, e loro lo sapevano. Soltanto le parole di conforto dei due soldati riusciva a placarmi ogni qualvolta le terribili fiamme sopite della mia Ira minacciassero di scatenare l'inferno sulla terra.

    E così, di giorno in giorno, di settimana in settimana, si arrivò ad Agosto, torrido, fetente, viscido come la pelle di un rospo; la nebbia mattutina svanì, lasciando posto a un'aria imbalsamata come quella di una serra, dove ogni respiro è come ingurgitare enormi sorsate d'acqua con il naso.
    Il mio spirito era fiaccato da tutte le parti, e il mio morale era ai minimi livelli: Muller era morto, Thrive era libero, Mheetu non voleva farsi vedere, il piccolo di Eleanor era in ritardo - e questo era uno dei motivi per cui restavamo fermi a perdere tempo - e per questo motivo i leoni si erano fatti alquanto preoccupati, e cosa peggiore, le scorte di cibo erano finite la sera prima, nonostante la diligenza di Leona nel razionare le scorte ci avesse permesso di sopravvivere fino ad allora.
    La notizia lasciò Ralph avvilito, ma in me si era ridestato il fuoco della rivolta.
    Di nuovo un simile inferno? pensai. Mai. Mai.


    --------------------------------------------

    Il giorno del due di Agosto fu come risvegliarsi all'interno di una maglia di lana troppo stretta; la sera prima aveva piovuto a dirotto fin dalle prime ore pomeridiane e io ero come una spugna zuppa, praticamente con il cervello avvizzito per il troppo delirare e con le braccia indolenzite per essermi rigirato nel sonno senza riuscire a chiudere occhio.
    Camminai in cerchio per almeno due ore dopo essermi alzato alle prime luci dell'alba, non parlai con Ralph e Leona, che naturalmente mi tenevano costantemente d'occhio onde evitare che io facessi una qualche pazzia; tuttavia, in uno slancio di rinnovata indipendenza che mi colpì chissà come poco dopo l'ora di pranzo passata a stomaco vuoto, mi scagliai come una furia verso il laghetto e le cascate, prima che i due potessero avvedersene.
    Rammento ben poco di quel giorno, ma ricordo che mi arrampicai sulle cascate in preda a uno stato di agitazione difficile da descrivere. Non so cosa mi fosse preso così all'improvviso? Volevo mettere alla prova le mie forze dopo mesi di stenti o solo sfogare la mia frustrazione? Era follia o ribelle determinazione la mia? Domande infinitamente senza risposte, perché a circa trenta metri dal suolo lungo la parete, l'appiglio che avevo agguantato si sgretolò; caddi senza un grido e precipitai in acqua senza dubbio. Non sentii alcun dolore, e il mio mondo si fece buio.

    Mi risvegliai soltanto a pomeriggio inoltrato. Ralph e Leona erano furibondi con me dopo avermi fatto riprendere i sensi.
    "Potevi ammazzarti sul serio!" mi gridavano addosso come se fossero stati davvero i miei genitori; Ralph mi strapazzò selvaggiamente per quasi un'ora dopo avermi fatto rinsavire, e Leona mi assestò almeno due ceffoni per la preoccupazione, e notai sconvolto che piangeva.
    "Pazzo" mi chiamava, "sei un pazzo! Un pazzo!"
    Non mi ero mai sentito così vergognoso in tutta la mia vita fino ad allora.
    Andai a dormire senza dire una parola, e in sogno, mi vidi circondato dalle onde di un mare nero in tempesta, come la furia del cielo volesse spazzarmi via e trascinarmi sul fondo dell'abisso della mia demenza.
    E qui, si incastra alla perfezione questa frase latina quasi a simboleggiare il decadimento della mia sanità mentale, in un contrasto adatto con il contesto originale del Salmo.

    Omnes gurgites tui et fluctus tui super me transierunt.
    (“Tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati ”.)

    TO BE CONTINUED


    Edited by Gaoh - 3/5/2017, 18:39
     
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    Si prosegue.

    Capitolo 36: Pensieri
    Jungla,
    Mercoledì, 4 Agosto 1999, 07:00


    La notte non portò alcun consiglio.
    Dopo un altro giorno di silenzio, decisi di andare a caccia da solo, per mio conto.
    Ralph e Leona, dal canto loro, pensarono fosse una buona idea, considerando che le scorte recuperate dal villaggio erano quasi esaurite, e così anch'essi partirono per un'altra parte della selva, in cerca di prede.
    Ora, cacciare nella foresta non è come nei grandi spazi aperti e sconfinati della savana Africana: lo avevo imparato in quei due anni passati nelle Terre del Branco e nel viaggio verso Johannesburg; ero più avvezzo a cacciare nella foresta, dove le prede sono piccole e rade, non come le grandi mandrie di quelle contrade: al più potevo sperare di catturare serpenti, piccoli mammiferi notturni, stanare delle lepri o delle quaglie selvatiche. Tuttavia, in quella densa jungla avevo ancora meno su cui affidarmi. Tra le molte varietà di pipistrelli, lucertole e altri rettili, non vi era molto da predare per cibo; la sola risorsa disponibile era andare a pesca, ma la cascata e i suoi rigagnoli non erano molto abbondanti, e tra l'altro, con la stagione secca ormai avanzata, il livello dell'acqua si era abbassato e quindi, anche le risorse idriche cominciavano a scarseggiare. Comunque fosse andata a finire quella battuta di caccia, non potevamo sperare in molto: avessimo anche avuta la straordinaria fortuna di incappare in un qualche mammifero di grossa taglia, eravamo sfibrati dalla fatica, e uno scontro simile avrebbe sicuramente costata la vita a tutti e tre, ragion per cui, confidavamo di procacciare soltanto piccole creature della notte imbalsamata: ben poco nutrimento per tre cacciatori allo sbando, figurarsi per un leone e una leonessa, per giunta in stato terminale di gravidanza.
    ...
    Non potevamo resistere a lungo.

    Per quel che mi riguardava in quel momento, la mia mente tornata appena un po' più lucida grazie alle poche ore di sonno giuntemi in soccorso, era pervasa da sinistri pensieri; morivo dalla voglia di affondare unghie e denti in qualcosa e farli a pezzi, alla stregua della fiera più feroce e crudele che si fosse mai vista. Presumo solo adesso che forse, il mio raziocinio stesse cedendo davvero in quei momenti difficili, trasformandomi in un qualcosa di più simile a un vero mostro.
    Di fatto, la ferocia che sentivo ribollirmi dentro mi aveva affinato i sensi con una cote a dir poco selvatica, e mi muovevo come una vera belva, strisciando tra il fogliame, senza curarmi del fango tra le dita o dei rami bassi che mi graffiavano la pelle e che talvolta minacciavano di cavarmi un occhio.
    Ebbi comunque modo di sfogare la mia collera su alcune grosse, grasse lucertole, alcune lunghe quasi trenta centimetri. Reagirono, lottarono affondando le piccole zanne nel mio vestito, ma contro di me poterono ben poco. Ne acchiappai almeno cinque di quelle, prima che le altre scappassero via, fischiando come falchetti.

    Ne sbranai una lì, su due piedi, senza pensarci troppo e senza curarmi delle potenziali ripercussioni; ardevo dal desiderio di azzannare, strappare, ridurre a pezzi e sputare; il sangue freddo delle lucertole era a dir poco nauseante, seppure bastasse a nutrire uno stomaco avvizzito, e fu proprio quella nausea a farmi tornare un poco di umanità.
    La mia mente venne attraversata da molte immagini mentre mangiavo. Tornai con la memoria alle Terre del Branco, durante le battute di caccia con le mie leonesse, al fianco di Sarabi e Sarafina - rimasi contento di vedere che ricordavo ancora i loro nomi, nonostante tutto - e di come fosse difficile sotto il terribile regno di Scar, tiranno terribile segnato da una difficoltosa infanzia; ripensai ai giorni lontani dopo la mia fuga da Londra e il mio viaggio fino a Praga e a tutte le vicende che si erano susseguite fino ad allora.
    Una vita straordinaria la mia, fino a quel momento. Molte le cose terribili e ben poche quelle felici; una vita quasi surreale, e non posso dire che mi sia dispiaciuta, per quanto lo possa desiderare, e infatti, non la augurerei a nessuno, per nessuna ragione al mondo.
    Soltanto una cosa da fare mi restava, e una volta compiuta, forse avrei potuto trascorrere il resto dei miei giorni in pace, chissà per quanto ancora, non posso saperlo.


    --------------------------------------------

    Tornato che fui al campo, vidi che Ralph e Leona non erano ancora tornati e mi misi ad arrostire le lucertole sul letto di braci che tenevamo acceso facendoci gocciolare sopra a poco a poco dell'olio, quanto bastasse per impedire alla brace di spegnersi; ravvivai la fiamma e cominciai a cuocere.
    Mentre lasciavo abbrustolire le lucertole e la mia mente si perdeva nei ricordi, a un certo punto, ricordo che arrivò Mheetu, e sembrava preoccupato - senza l'anello non potevo capire se così fosse o no - e si accoccolò al mio fianco, ronfando tranquillo, e seppi che lui non si dava troppe preoccupazioni. Ormai, avevo ben poca importanza per lui.
    Tuttavia, io ero preoccupato per Eleanor: il piccolo tardava ad arrivare, e ormai il tempo era passato da quasi due settimane. Cominciavo veramente a temere il peggio per entrambi.

    Ralph e Leona non tornarono prima del tramonto.
    Avevano avuto meno fortuna di me; Ralph si era arreso dopo essere stato coinvolto in una zuffa con una famigliola di topi selvatici, di cui due aveva catturato, e Leona aveva deciso di provare con la pesca, ma aveva preso ben pochi pesciolini poveri in carne e pochi fichi selvatici sulla via del ritorno.
    Facemmo bollire la carne e la frutta nell'acqua bollente per sterilizzarle quantomeno, e consumammo in silenzio il nostro pasto frugale.
    Quella notte ci addormentammo quasi subito, troppo stanchi per pensare a qualsiasi cosa, e il mio sonno fu tormentato da orrende visioni di fuoco e morte, in cui vedevo animali scappare da una minacciosa ombra gigantesca che mi travolgeva come una marea da cui non potevo scappare.
    Tuttavia, il mio sonno fu turbato nelle prime ore del mattino, quando il sole non era ancora sorto, dal suono inconfondibile di un ruggito.

    TO BE CONTINUED
     
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    E rieccomi dopo tanti giorni...
    Questo capitolo sarà breve ma importante.

    Capitolo 37: Una nuova luce
    Jungla,
    Mercoledì, 4 Agosto 1999, 07:10


    All'udire quel suono, mi alzai di soprassalto: ne ero sicuro, si trattava del grido di Eleanor. Afferrai Luxor e in un lampo mi precipitai verso la caverna; lo avevo fatto tante volte in passato, eppure quella mattina, una strana forza sembrava avermi posseduto, e mi arrampicai come uno scoiattolo direttamente su per la parete anziché per la scalinata naturale, senza curarmi dell'acqua scrosciante che minacciava da un secondo all'altro di farmi precipitare.
    A metà strada, udii la voce di Ralph che saliva per la scalinata assieme a Leona.
    "Guarda!"
    Alzando la testa, vidi Mheetu in piedi in cima alla rocca, superbo nelle luci del mattino: i possenti richiami che lanciava al cielo erano colmi di gioia, e compresi, senza capire, che l'evento tanto atteso era giunto. Dopo centoquindici giorni, con un leggero ritardo, era finalmente successo.
    Il pensiero di un simile accadimento, mi colmò il cuore di esuberanza, e mi slanciai verso la caverna a grandi salti lungo la parete, e giunsi assieme a Ralph e Leona, mentre Mheetu avvedutosi di noi, ci corse incontro per salutarci.

    Entrammo lentamente, onde evitare di disturbare Eleanor, senza dubbio, ancora affannata dal terribile sforzo che aveva sicuramente compiuto per portare a termine l'atto micidiale.
    Ci avvicinammo in punta di piedi e strizzammo gli occhi per vedere bene, poiché nella grotta non entrava luce, e ci era assai difficile discernere qualcosa.
    Il ringhio della selvaggia signora ci raggiunse, ma quel suono di minaccia si mutò presto in fusa di sollievo quando ci riconobbe attraverso le tenebre. Lentamente, con tutta la circospezione possibile, mi avvicinai e mi inginocchiai al suo fianco, dove una piccola forma si agitava con piccoli tremiti.
    Man mano che i nostri occhi si abituavano all'oscurità, potemmo riconoscere gli occhi buoni della cara leonessa, e Ralph e Leona si avvicinarono, guardando da sopra le mie spalle per vedere, e sui loro volti si materializzò un sorriso di gioia.
    Un leoncino appena nato, dal pelo color del sole era tutto raggomitolato al fianco della madre per lasciarsi nutrire: lo lasciammo fare in silenzio senza dire parola, e quando fu sazio, Eleanor lo prese tra le zampe per ripulirlo con la calda lingua. Per un istante meraviglioso, riconobbi il piccolo Mheetu il giorno in cui lo salvai,
    e senza dubbio, il mio buon leone doveva aver avuto il mio stesso pensiero, perché lo sentii strofinare la testa contro il mio collo: senza riuscire a distogliere lo sguardo da quell'amorevole amplesso che può esistere solo tra una madre e il suo piccolo, cinsi le spalle del padre con il braccio, e i miei occhi brillarono di lacrime.

    "Sei padre, Mheetu."


    --------------------------------------------

    Il mio leone si fece timorosamente avanti, senza dubbio ancora incredulo di essere arrivato così lontano, e rammentando la sua giovinezza che ora lo aveva lasciato per sempre; dopo tanti giorni, eccolo finalmente,
    diventare un leone a tutti gli effetti, ottenendo tutto ciò che poteva desiderare: una compagna, un figlio, una famiglia. Tutto quello che restava da fare, era far sì che tornassero alla Rupe dei Re. Simba e Nala sarebbero stati assai felici di vedere il loro nipote, ma per quello c'era tempo. Bisognava che il piccolo raggiungesse almeno le otto settimane prima di affrontare un simile viaggio.
    Accoccolandosi alla sua compagna, Mheetu sfiorò la testa del piccolo con il muso, e parola mia, giurai di aver sentito il piccolo ridere, anche senza il mio anello magico.

    Fu solo quando i miei leoni mi guardarono fisso che mi decisi ad avvicinarmi un po' di più. Tremante, stesi la mano a sfiorare con un dito appena la testa del loro pulcino. Lo sentii stirarsi e sbadigliare, e lentamente, schiuse appena gli occhi. Fui come paralizzato: due piccole stelle azzurre mi fissarono e una zampetta si mosse nel buio, tentando di afferrarmi il dito.
    Con circospezione lo presi dalle zampe della madre e lo sollevai all'altezza degli occhi per guardarlo meglio.
    Fu quando lo avvicinai al naso che egli me lo afferrò con entrambe le zampette, facendomi ridere: commosso, lo baciai in fronte, e lo guardai. Era così carino e meravigliosamente sano: Mheetu non avrebbe potuto chiedere un figlio più bello.
    Lo sentii mugolare sopra la mia testa, e da come lui ed Eleanor mi fissavano, capivo cosa volessero da me: senza dubbio avevano le loro idee, ma volevano che quel piccolo ricevesse il nome da me.
    Non mi fu difficile, la scelta: da come egli fremeva tra le mie mani, così piccolo, eppure così forte, così meravigliosamente sprizzante di vita, come il suo cuore appena nato, la sua natura più intima mi fu chiara come la luce del sole che faceva capolino sulle alture.
    Lo baciai di nuovo in fronte e mormorai:

    "Kopa. ... Questo è il tuo nome."


    Restituito il piccolo alla madre, uscii dalla caverna, lasciando a Ralph e Leona il tempo di guardare il piccolo, e mi arrampicai sulla cima della fortezza di pietra, fino al luogo dove il concepimento era avvenuto, e dove Mheetu aveva poc'anzi espresso il suo giubilo di novello padre, e guardai a nord, verso le macerie del magazzino.
    Per Mheetu e la sua famiglia, pensai, avrei sconfitto i miei nemici e reso il loro mondo sicuro per l'avvenire del piccolo Kopa.

    Ma la parte più terribile del mio viaggio era ancora di là da venire.

    TO BE CONTINUED


    Edited by Gaoh - 4/8/2017, 10:55
     
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    A più di un anno torno su questa FF. Spero di ritrovare il tempo per scrivere.
     
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    Mi ci è voluto un anno e mezzo. Ma eccomi. Ho un'ispirazione per mandare avanti la trama in fretta.

    Capitolo 38: Irrevocabile
    Jungla,
    Giovedì, 12 Agosto 1999, 06:00


    In seguito alla nascita del piccolo Kopa, lasciammo passare almeno una settimana, prima di lasciarlo uscire dalla grotta. Meethu ed Eleanor parevano felici, e la giovane madre si era ripresa abbastanza in fretta, e con un cucciolo sano di cui prendersi cura era arrivata anche per lei l'ora di apprendere ciò che era prerogativa di tutta la sua razza: cacciare per sé stessa e per la sua discendenza.
    Mi preoccupai invano per le sue capacità: in meno di due giorni era divenuta una cacciatrice come poche altre ne avevo viste nelle Terre del Branco, e se già in quella fitta giungla era capace di tanto, tremai al pensiero di quel che avrebbe saputo fare nella savana sconfinata della Cunabula Mundi. E io sapevo che di lì a poco, avrebbero potuto intraprendere la strada che li avrebbe condotti alla Rupe dei Re, a casa; ora più che mai, sentivo Meethu allontanarsi da me.
    E fu per questo, credo, che agii come agii in seguito.

    Non ero riuscito a dormire quella notte, sebbene con gli sforzi di Eleanor uniti ai nostri eravamo riusciti a mangiare meglio di quanto avessimo fatto negli ultimi tempi. Con il ritorno delle proteine più nobili in corpo, la mia mente tornò a ragionare con maggiore lucidità, e potei sprofondare nuovamente in elucubrazioni di morte e vendetta; non appena il piccolo Kopa fosse stato abbastanza forte da camminare per conto proprio, ci saremmo potuti spostare verso nord, verso il deserto, e da lì, i miei bravi leoni avrebbero potuto facilmente trovare la via verso sud-ovest e le Terre del Branco, arrivandoci forse in meno di dieci giorni. Quanto a me, Ralph e Leona, avremmo proseguito a Nord, verso la Namibia, dove, probabilmente avremmo potuto scoprire di più su dove si trovasse il mio odiato nemico, Clark Thrive, e porre fine, o perlomeno tentare di porre fine a qualunque maniacale follia stesse tramando.
    Tuttavia, l'attesa mi stava facendo spazientire, e deciso a non voler coinvolgere né i miei compagni né tanto meno Meethu e la sua famiglia, presi una decisione tanto folle, da sembrarmi la sola scelta giusta.


    --------------------------------------------

    Come già dissi, era mattina, le luci dell'alba ancora lontane, e io non ero riuscito a prendere sonno, preso com'ero da sinistri pensieri che avrebbero fuso le cervella anche al più arguto pensatore.
    Volevo e al tempo stesso non volevo: mi sentivo spregevole all'idea di piantarli in asso così, ma più il tempo passava e più la bilancia del mio pensiero propendeva a compiere quella scelta fatale.
    Dalla mia posizione in cima alla rocca di pietra, il singolare castello dove ormai abitavamo, lentamente, cominciai a scendere verso gli alberi sottostanti: mi sentivo spaventosamente responsabile, le parole di Muller ancora mi rimbombavano in testa, e fintanto che non avessi raggiunto la verità, mi avrebbero perseguitato sempre.
    Quasi senza pensare, passando dietro alla cascata, riempii la borraccia: sapevo che il viaggio che stavo per intraprendere mi avrebbe portato lontano, e non ero certo di se, quando o come sarei tornato.
    Accellerai il passo, e il mio cervello fece altrettanto: cosa potevo mai avere io, che Clark Thrive desiderasse così tanto?
    Senza rendermene conto, avevo cominciato a correre: mi sentivo così stupido, ma non riuscivo a smettere di pensarci!
    Prima di riuscire a formulare una risposta chiara, ecco che ero già arrivato al punto chiave: lo scavo, il magazzino dove l'orrendo scienziato pazzo ci aveva teso un'imboscata; nessuna traccia degli energumeni cannibali, senza dubbio fuggiti dopo lo scontro di più di quasi settimane prima.
    E di fronte a me, le rotaie, che procedevano per oltre tre miglia verso ovest, per poi curvare verso nord: fui preso da una voglia immensa di tornare sui miei passi e di svegliare Ralph e Leona, volevo almeno dirgli addio, pur sapendo che avrebbero tentato di fermarmi fino all'ultimo, e poi Meethu di sicuro si sarebbe intromesso, e se avesse lasciato Eleanor pur di seguirmi? No, una cosa del genere, mai. Mai!
    Il mio sguardo tornò alle rotaie, e una forza irresistibile mi travolse; deciso più che mai ad arrivare fino in fondo, saltai sul carrello della miniera, azionai la manovella e mi misi in moto.
    Il carrello funzionava a manovella, essendo privo di motore (e mi stupii che Thrive non facesse uso di tali diavolerie inquinanti), e perciò, con tutta la lena che avevo in corpo, pompai e spinsi, pur operando da solo un macchinario che richiederebbe almeno due persone, acquisendo in breve una gran velocità.

    Con un gran sferragliare che avrebbe svegliato i morti, il carrello sfrecciò sui binari, portandomi sotto le fronde più fitte, oltre il fiume, dentro una lunga gola stretta, incurante del pericolo che delle rocce potessero piovermi in testa: a tratti alterni lasciavo andare la manopola per bere un breve sorso dalla mia borraccia; fissavo lo sguardo avanti senza vedere, perché non vedevo ciò che mi aspettavo: da un secondo all'altro, pensavo di trovarmi Thrive in persona, comparirmi di fronte, non più uomo ma quanto di più simile a un demone, finché all'improvviso, la luce non mi accecò.
    Ero arrivato, come sospettavo al grande deserto, tra le grandi dune di sabbia, e siccome la mia posizione doveva risultare ai limitari del tropico del Capricorno, faceva un caldo degno dell'inferno. Il sole era alto, dovevano essere già le undici del mattino: realizzai, per riassumere, che stavo pompando come un pazzo da quasi quattro ore.
    E dovetti credere di essere veramente diventato pazzo.
    Tuttavia, ciò non sarebbe bastato a fermarmi.
    Pompai e spinsi, e spinsi e pompai fino a non avere più fiato, e di lì a poco, inevitabile com'era, la mia borraccia si esaurì.
    Cosa pensavi di fare, povero folle? avrebbe detto chiunque, ma io non mi arresi. Ero arrivato troppo lontano per rinunciare così. E la mia pazienza fu compensata forse due o forse anche tre ore dopo, quando giunsi in vista di una stazione ferroviaria simile a quelle del lontano ovest americano.
    Stremato ma ancora in grado di muovermi, mi fermai alla banchina, ed entrai in cerca di una tanica per la mia borraccia: anche la fetida acqua dell'abbeveratoio dei cavalli sarebbe bastata.
    Tuttavia, non trovai taniche né abbeveratoi: la baracca cadente dava segno d'essere abbandonata.
    "C'è nessuno?" chiesi, restando sorpreso di quanto si fosse arrochita la mia voce.
    Nessuno rispose. "C'è nessuno?" replicai a voce più alta, e niente.
    "L'universo intero mi è contro" mormorai, sfinito dalla sete, la mia lucidità svaniva di nuovo.

    Sentii un tonfo sordo alle mie spalle: la porta sembrava essersi chiusa, ma non feci in tempo a reagire, perché sentii un forte dolore trapassarmi le tempie, e il mio mondo si fece buio.
    Un flebile gemito uscii dalle mie labbra come per istinto:
    "Meethu... scappa."

    TO BE CONTINUED


    E ce l'ho fatta. C'è voluto un po' più del solito, ma ce l'ho fatta.
    Cercherò di fare capitoli più brevi, d'ora in avanti.
     
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    Devo continuare fintanto che l'ispirazione dura.
    Scrivendo mi ispirerò.

    Capitolo 39: Legati dal fato
    Luogo sconosciuto
    Giovedì, 12 Agosto 1999, 16:00


    Non seppi mai dove venni portato, ma so solo che dovevo essere rimasto fuori causa per alcune ore, perché doveva essere ormai pomeriggio inoltrato quando ripresi i sensi.
    Mi trovavo in una stanza che doveva essere molto grande, ma scarsamente illuminata; tuttavia, i miei movimenti erano impediti da quella che sembrava essere una cella dalle mura fosforescenti, grande abbastanza da starci in piedi, ma stretta tanto da non poter fare più di due passi senza sbattere contro una parete.
    Come ebbi riacquistata lucidità, balzai, sbattei la schiena contro la parete alle mie spalle, rimanendone scosso: fu come se una saetta mi avesse trafitto; caddi in ginocchio, boccheggiando, gemetti, urlai, più per rabbia e paura che per il dolore. Provai a colpire la parete di fronte a me con un pugno, poiché ero disarmato, e ne fui respinto con eguale potenza. Provai una seconda volta, una terza, una quarta, prima di arrendermi sfinito: le pareti erano di pura energia elettromagnetica talmente densa da essere visibile, e attraversata da un campo elettrico bastevole a tenere buono un orso o un toro.
    Soffocai un'imprecazione: come potevo essere stato così avventato? Preda com'ero del mio stesso furore, ero partito senza prendere le armi, deciso a finire l'orrore che o per mano mia o mia esistenza era cominciato, bramoso di risposte mi ero gettato nell'abisso senza speranza di poterne uscire. Mi maledissi per la mia stoltezza, e tuttavia non mi arresi: seppure in mano evidente dei miei nemici - e chiunque altro nella mia condizione si sarebbe dichiarato perduto - non gettai la spugna. Assalii di nuovo la parete con maggiore vigore, se non per sfogo, forse per attirare l'attenzione di chiunque mi stesse guardando, poiché avevo notato una telecamera di sorveglianza posta poco al di fuori della mia cella.
    Fui accontentato solo parecchi minuti dopo, che per me parvero dei veri secoli.
    Dapprima distanti, poi sempre più vicini, udii dei passi, gravosi, pesanti, sicuri, meccanici: il passo di uno che è abituato a comandare.

    Rimasi immobile: una porta nel buio si aprì, in fondo alla stanza.
    I passi rimbombarono più vicini e più sonanti che mai.
    Un'alta figura in una lunga cappa grigia si avvicinò: imponente com'era, il mio pensiero indovinò subito di chi si trattasse, ma io trattenni il respiro, scacciai quel pensiero e indietreggiai per timore di perdermi nella mia furia se un tale sospetto si fosse rivelato corretto.
    Come fu di fronte a me, così vicino eppure così distante, l'immane uomo si alzò il cappuccio, e tutto si fece rosso nei miei occhi.
    Quasi non sentii il mio stesso gemito di rabbia: muovendomi senza volontà, balzai in avanti, i miei pugni sbatterono con forza contro la parete che mandò una scarica tale da quasi tramortirmi.
    Fui sbalzato indietro, sbattendo una seconda volta contro la parete, e messo nuovamente in ginocchio.

    Al mio udito ovattato dai fischi, giunse una risata fredda, stridula, crudele, una risata che non avevo sentito da oltre sette anni.
    "Lieto di vedere che la sua energia non si è minimamente ridotta. Gli anni l'hanno trattata bene, o comunque, meglio di quanto abbiano trattato me, signor Mist."

    Alzai lo sguardo di nuovo, e lo vidi. Anche se il volto era emaciato, il lato destro del volto segnato da una lunga cicatrice che andava dal sopracciglio fin sotto la mascella, e i capelli più corti e brizzolati, la sua muscolatura non era sminuita, e l'aura di pura malvagità che avevo sentito una volta soltanto pareva addirittura raddoppiata.
    "Bentornato, dunque" seguitò, "al nostro Progetto. Abbiamo sentito molto la sua mancanza."
    Seppur frastornato, la mia mente non poteva essere più lucida, e sibilai con odio assoluto, quel nome, a cui quell'essere rispondeva. Quel nome mille volte maledetto, che mi perseguitava da Praga e che mi avrebbe perseguitato, comunque fosse andata a finire, per il resto dei miei giorni.
    "Clark... Thrive... !"


    --------------------------------------------

    "E' un piacere vedere che non si sia dimenticato di me, signor Mist" rispose affabile il mio nemico, sedendosi su una seggiola pieghevole che pareva decisamente troppo piccola per la sua mole. "Confido che si sia tenuto in forma, pregustando la nostra riunione almeno la metà di quanto l'ho pregustata io"
    Il suo tono affabile e smielato tradiva un rancore profondo quanto il mio: ricordava di certo le botte ricevute durante il nostro ultimo scontro: non poteva aver dimenticato che ero stato io a lacerargli l'occhio e a lasciargli quell'orrenda cicatrice, così come io non dimenticai di essere stato quasi ridotto in fin di vita da lui: la mia mano destra artigliò convulsamente la spalla sinistra, ancora segnata dal proiettile del mostro.
    Notai, tuttavia, che l'occhio destro di Thrive non pareva minimamente logorato. Anzi, pareva ancora più blu e intenso di prima.

    Notando che non rispondevo, il mio nemico continuò: "Allora, mi dica: cosa si prova a ritornare al nostro servizio?"
    "Al vostro servizio, un corno!!" berciai, cercando di rialzarmi. "Tutti questi anni, tutta quella morte...!!"
    "Oh, suvvia, non faccia il tragico, Mist" mi interruppe lui, senza troppe cerimonie, come se avessi detto una cosa irrilevante. "Lei sapeva, forse anche più di me, che questo giorno doveva arrivare, prima o poi. Lei capisce, naturalmente, che non posso permettere a un mio soldato di stare al di fuori della mia giurisdizione..."
    Sobbalzai, al solo pensiero che mi considerasse un suo possesso: mi slanciai in avanti e tirai un sinistro premendo forte sulla parete, infischiandomene delle scariche, e quasi ridendone: quell'elettricità, quel dolore alla mano mi fece sentire stranamente vivo.
    "Non si sforzi, Mist" disse lui, sorridendo tranquillo di fronte alla mia ira, cosa che non fece altro che farmi saltare ulteriormente i nervi; "E' lo stesso tipo di cella usato per me ai tempi di Praga: non le sarà possibile abbatterla con la sola forza. Nessuno lo sa meglio di me."
    Qualcosa si spezzò in me, al pensiero che prendesse in considerazione più la mia incolumità che il fatto che io volevo saltargli addosso per disintegrarlo.
    "Io non appartengo a nessuno, Thrive! Non sei mai stato mio superiore, né mai io ho accettato di servirti!"
    "Ma lo ha fatto, cionondimeno." replicò lui con un ghigno sadico. "Lei si è unito al Progetto Estremo Rosso, lei lo ha scelto, lei si è sottomesso, lei è uno di noi. Questa è una verità che non potrà mai negare, non può negarlo a me, e cosa ancora più gloriosa, non può negarlo a sé stesso."
    "Tre volte" iniziai io, riscaldandomi sempre di più, "tre volte sono stato un'idiota, per aver permesso alle vostre azioni di condizionarmi! Tu mi hai portato via tutto!!"
    "Più di quanto immagina, Mist" rispose lui, che pareva quasi divertito, "ma continui."
    "Hai permesso alla mafia di saccheggiare Praga, corrompendo il governo per agire indisturbati! Hai tradito il tuo paese, hai causato la morte di colei che per me valeva più di ogni altra cosa!!!" Il pensiero di Mina, il suo corpo martoriato, mi trafisse mortalmente; gemetti, caddi in ginocchio stringendomi la mano ustionata. Ricacciai rabbiosamente indietro le mie lacrime.
    "Ed ora" riprese lui, parlando come se fosse deluso di me "eccola qui: ancora una volta in mio potere, spinto dal suo odio per me. Tutta questa strada, tutti questi sacrifici, tutta questa... morte, come dice lei, e ancora non ha imparato la lezione?" La sua voce si fece minacciosa, quasi folle. "Non esiste forza al mondo che possa opporsi a me. Presto, il mondo intero cadrà sotto la mia forza, e il Re del Mondo compirà il suo destino!!!" concluse alzandosi e quasi urlando.
    "Tu non sei re di niente, Thrive!" gli sibilai contro rabbiosamente. "Tu sei solo un pazzo guerrafondaio!! Il tuo solo diletto è la distruzione! Un essere come te può essere solo un servo del demonio: come pensi, tu, schiavo derelitto dei tuoi desideri, aspirare alla sovranità del mondo intero?!"
    I deliri di onnipotenza di quell'uomo... avevo dimenticato quanto fossero in grado di infiammare la mia rabbia.
    E Clark Thrive, di fronte alla mia involuta curiosità, rise: un riso roco e profondo ma sguaiato, quasi simile a un ringhio.
    "Non l'ha ancora capito? Allora dovrò spiegarle proprio tutto dal principio; permetta innanzi tutto, che le faccia una domanda." Tutti i miei sensi furono concentrati su di lui: ero avido di sapere come il primo giorno, il giorno in cui Mizuki confermò della fuga di quell'uomo abietto.
    Tuttavia, la sua domanda mi lasciò perplesso, da quanto banale mi sembrava.

    "Perché lei mi da ancora la caccia?"

    "Dovrei farla io una simile domanda! Dovresti sapere...!" cominciai io: mi sentivo insultato. Dopo tutto quello che avevo passato per causa sua, con che coraggio pormi una simile domanda? Tuttavia, il mio furore mi smorzò le parole in gola, e non potei continuare.

    Un lungo, interminabile silenzio scese tra noi due. E Clark Thrive parve nuovamente deluso.
    "Lei ha, veramente, fatto tutta questa strada... soltanto per uccidermi, e vendicare la piccola Mina?"
    Avrei voluto urlargli contro di non pronunciare quel nome, ma la mia lingua sembrava incollata al palato, come incantata.
    Visto che non rispondevo, sul volto di Clark Thrive apparve un ghigno, mentre la sua mano scivolava nella tasca interna della cappa.
    "E' sicuro, di non essere tornato, solo per riprendersi questo?"
    E dalla cappa, tirò fuori un piccolo monile che nel buio, alla luce della schermatura elettrica scintillò come una stella.
    Lo riconobbi subito, e mi slanciai, finendo con lo sbattere mani e fronte sulla barriera.

    "IL MIO ANELLO!!!"
    Il mio grido fu accompagnato dalla risata sguaiata di Thrive.
    "Voleva dire il mio anello, Mist. L'anello che appartiene alla mia famiglia da sempre. L'anello che fa di me il Re del Mondo."
    Rimasi paralizzato, al sentirlo pronunciare quelle parole, e sentii chiaramente il mio cuore saltare un battito, quando concluse:

    "L'Anello del Nibelungo!"

    TO BE CONTINUED


    Cercherò di ridurre un po' la lunghezza dei miei capitoli d'ora in avanti (a parte il prossimo, perché ci saranno rivelazioni potenti). Alla prossima.

    Edited by Gaoh - 30/3/2020, 19:03
     
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    Devo postare.
    Devo postare il capitolo rivelazioni adesso, fintanto che l'ispirazione c'è.

    Attenzione: lunghezza esagerata.

    Capitolo 40: Irrevocabile
    Jungla,
    Giovedì, 12 Agosto 1999, 16:10


    Chiunque non abbia mai visto la mia reazione potrà solo figurarsela, e questo vale anche per me, poiché ero in assenza di specchi.
    Ero rimasto inebetito: una tale informazione avrebbe fuso le cervella anche al più fanatico lettore di favole e di epiche cavalleresche, ma io processai quanto più in fretta che potei quelle parole, e giunsi alla - quantomeno - più razionale delle conclusioni.
    "Tu sragioni" riuscì a rispondere, dopo un breve, interminabile silenzio. "Sei talmente folle da credere che il mio anello sia l'Anello del Nibelungo? Lo strumento della conquista del mondo? Ti credevo un pazzo, ma non ti permetto di insultarmi con calunnie del genere! Che cosa ci fa il mio anello in mano tua?"
    "Sapevo che non mi avrebbe creduto" sbuffò Clark Thrive, quasi divertito dalla mia reazione, e alimentando sempre più il mio nervosismo, "e per questo mi sono preparato a spiegare quanto possibile. Glielo dico per cortesia, e anche perché dubito che potrà fare qualsiasi cosa per ostacolarmi."
    Più per stizza che per cortesia, tacqui. Decisi di lasciarlo fare, nella speranza che rivelasse informazioni importanti.

    "L'Anello in sé stesso, non era altro all'alba dei tempi se non l'oro del Reno, custodito dalle ondine" lo disse con franchezza quasi accademica, come un professore di mitologia. "Fu Alberich il nano nibelungo a sottrarlo, come saprà, imprecando contro l'amore e conquistandone così il segreto. Esso doveva essere la sua chiave nella conquista del mondo!"
    "Ma è solo un mito!!" sbottai stizzito. "Alberich non è mai esistito! Né lui né la razza dei nani!!"
    "Mi duole vederla così scettico" fece lui, apparentemente triste, ma io sapevo che il suo cuore crudele rideva, e le mie convinzioni venivano meno.
    "Come si legge nel testo, l'Anello gli fu sottratto dagli antichi dei pagani, timorosi che il nano potesse sottometterli, ed egli lo maledisse, affinché portasse sventura e morte a chiunque lo possedeva, finché non fosse ritornato a lui!"
    "Sfortunatamente, non fece mai più ritorno, né in mano sua né in quella di suo figlio Hagen, che uccise l'eroe Siegfried pur di recuperarlo; la leggenda vuole che l'anello sia tornato al fiume, ma esso aveva già causato troppe morti tra coloro che lo bramarono, e la sua malizia finì con l'espandersi dal vecchio mondo al nostro: ed è per questo che i grandi mali ancora esistono."
    "Ma ciò non prova" gridai io, spazientendomi di quella manfrina, "che tu discenda dal nano, o che quell'anello sia proprio ciò che tu dici! Non ci sono prove certe! Quale indizio parla per te?!"
    "La storia, Mist" ribatté lui, gonfiandosi come un generale, "la storia e il sangue che parlano: i fatti, gli eventi che nel segreto si sono tramandati fino a me. Nessuno sapeva che Hagen aveva già lasciato una discendenza segreta come suo padre prima di lui. La malizia dl nano si è trasmessa fino ad oggi, grazie alla segretezza e all'astuzia che da sempre contraddistingue il nostro genio. Del resto, lei stesso dovrebbe conoscere bene le facoltà di questo monile" aggiunse, fissandomi intensamente: io rimasi stregato da quell'occhio azzurro, più intenso del sinistro; ero certo di averlo già visto.
    "La sua forza moltiplicata" cominciò ad elencare il mio avversario, dalle cui labbra, lo ammetto con vergogna, pendevo sempre più, "La capacità di vedere oltre il velario delle menzogne, la capacità di comprendere lingue diverse... ma naturalmente, lei non avrebbe potuto sfruttarne appieno i poteri come me, che ne sono il legittimo signore e padrone!!"
    "Come?" riuscì a ribattere in un sussurro, "come è possibile una cosa del genere?"
    "Per la discendenza del Re del Mondo ogni cosa è possibile, Mist!" replicò lui con un ruggito, alzandosi del tutto, immane, mostruoso, e per un attimo, vidi i suoi lineamenti duri farsi scomposti, folli. "Per generazioni, la discendenza di Alberich ha ricercato l'anello, finché non fu ritrovato da mio padre durante la Grande Guerra; finalmente, dopo millenni passati nell'anonimato, viaggiando senza meta da una parte all'altra del mondo, mischiando il sangue dei sovrani con quelli di immondi esseri comuni, la stirpe nibelunga sarebbe tornata al potere: sarebbe stato mio" e qui, la sua voce si fece talmente minacciosa da farmi sudare, "se solo non fossimo stati traditi!"
    "Traditi?" ripetei io, stordito.
    "Da mio zio" proseguì lui, ringhiando stizzito, gli occhi strabuzzati, e io vidi - giuro - una lacrima di sangue, sfuggirgli dall'occhio trapiantato. "Timoroso di ciò che l'Anello avrebbe potuto causare, unito ai portenti della tecnologia moderna, mentre eravamo in America, egli cercò di sbarazzarsene, vendendolo oltreoceano, come scoprii io in seguito, ad un rigattiere di Londra!"

    Fui colpito come da un fulmine. "M-mio... mio... !!"
    "Sì! Suo padre, Mist!" ringhiò lui trionfante. "Era prima che lei nascesse. Io avevo solo sedici anni all'epoca, e bramavo quell'Anello più di ogni altra cosa. E così, non appena fui abbastanza cresciuto, e mio padre ebbe la garbatezza di togliersi di mezzo, organizzai un attacco su ampia scala a Londra, servendomi dei miei appoggi con la criminalità locale. Ma l'Anello mi sfuggi: lei, Mist, aveva rubato... ciò che era... MIO!!!"
    Urlò quell'ultima parola tanto forte da farmi quasi sbattere di nuovo la schiena contro la barriera. Inspirò a fondo due o tre volte per calmarsi, e in breve recuperò la sua calma.
    "Tuttavia, non perdetti le speranze: sapevo chi aveva l'Anello, mi bastava seguire le sue tracce, e così, grazie a lei, mi feci importanti alleati..."
    "Vincent Muller..." balbettai io, sentendo come l'influenza del monile maledetto, splendente in mano a Thrive mi svelasse passo per passo la verità, forzandomi a vivere quei ricordi. "Friedrich Duffmeier... Mizuki Shinoyama..."
    "A tal proposito," mi interruppe lui, carezzandosi la cicatrice, "avrei tanto voluto compensare Mizuki per questo occhio; mi dona, non è vero?"
    Con un gemito d'orrore a quella rivelazione, caddi, quasi morto. Ecco a chi apparteneva: l'avevo ben riconosciuto, e ricacciando indietro un'imprecazione, non potei più trattenere le lacrime.


    --------------------------------------------

    Clark Thrive rise. Un riso roco, sfacciato: compiaciuto di avermi spezzato il cuore ancora una volta, riprese la sua narrazione.
    "Lo vede, come è tutto così stupidamente semplice per me, Mist? Tutto ciò che lei è lo deve a me, a me solo: io l'ho creata. Io l'ho resa ciò che lei è. Dal giorno in cui lei lasciò Londra. L'Anello mi ha svelato tutto ciò che lei ha fatto in questi ultimi anni, e posso dirle che mi compiaccio di lei. Punto per punto come io l'ho desiderata. E ora, grazie a lei, siamo finalmente pronti per la conclusione del sogno di Alberich: il mondo, ben presto sarà sottomesso, e la nazione di un solo mondo vedrà finalmente la luce."
    "Che cosa intendi fare?" riuscii io a chiedere tra i singhiozzi, mentre l'orrore e il dolore si mescolavano alla tremenda, fin troppo familiare sensazione di una collera mostruosa.
    "L'Anello era tutto ciò che mi serviva, Mist" rispose Thrive, infilandosi ladrescamente l'anello all'indice destro. "Lei ormai non mi serve più, ma voglio informarla di ciò che farò in seguito, così potrà pregustare tutto in attesa della sua ormai inevitabile morte!"
    "Intendi lasciarmi qui a morire di stenti, dunque?" ringhiai alzandomi: le lacrime non smettevano di scorrere.
    "Dubito serenamente che lei possa fare alcunché, mio caro" ribatté lui sbeffeggiandomi. "Grazie all'Anello, il Siero del Supersoldato sarà completo, e io con esso."
    Rabbrividii al sentire quelle parole. Già Clark Thrive era spaventosamente forte di per sé: grazie al siero maledetto, sarebbe stato quanto di più simile a un dio si fosse mai visto in terra.
    "Ma cosa vuoi tu, veramente!?" riuscii a domandare, quasi pazzo per l'orrore.
    "Tutto, Mist" rispose lui, con spietata, gelida gioia. "E tutto non basterà. Voglio distruggere tutto ciò che lei ama, farle rimpiangere d'essere nato, farle maledire l'ora in cui lei ha preso ciò che mi appartiene da sempre, e comincerò... annientando Londra e l'Impero Britannico!!"
    "Getteresti il mondo nel caos, solo per ferirmi?" ribattei io, riacquistando un po' di baldanza. "Avrai il mondo intero contro! Su cosa conti di regnare se ucciderai tutto ciò che ti si oppone?!"
    "Poco importa!" tuonò lui. "Anche una volta distrutto il mondo, mi resteranno le stelle, il cosmo, l'universo. Ogni cosa sarà sottomessa; ma sono pur sempre un gentiluomo, io. Procederò a piccoli passi."
    "Per esempio" disse poi, illuminandosi e facendosi ancora più truce, "potrei straziarla ancora di più mettendo fine agli amici che si è fatto in questi anni..."
    L'orrenda implicazione non poté essere più chiarissima, ma la mia mente si rifiutò di credere che l'avesse detto davvero. Non poteva essere vero, ma aveva detto che l'anello gli aveva mostrato tutto ciò che avevo fatto, e questo voleva dire...

    "No..." sussurrai. "No!" berciai. "NO!!" latrai. "STA' LONTANO DA LORO!!!"
    Un fulmine mi lacerò da testa a piedi: sbattei entrambi i pugni sulla barriera con tanto di quell'impeto da far ondeggiare la frequenza elettrica.
    "Sta alla larga dalla Rupe dei Re o me la pagherai cara!!"
    "Li ama molto, vero?" sorrise il mio malefico avversario. "Vorrà dire che prima di Londra mi occuperò di loro. La mia fortezza volante potrà decollare grazie agli illimitati poteri dell'Anello e rendermi il Re che questo mondo merita. I suoi amici leoni saranno i primi a fare una brutta fine!"
    "E tutto per colpa sua, Mist: non lo dimentichi mai!!"
    Con una satanica risata, egli mi volse le spalle e cominciò ad andarsene.
    "Clark Thrive!!!" gli ululai dietro, del tutto sconvolto dall'Ira più terribile, e ripensandoci adesso, mi meraviglio di me, da quanto fu allucinante la mia promessa di vendetta.
    "Ovunque andrai, ovunque ti nasconderai, nessun luogo e nessuna era potranno mai proteggerti, contro l'odio che nutro per te! Né spade, né legioni di mostri, né pericoli, né sortilegi, né il Trono stesso del Demonio in persona potranno difenderti da me!! Quando uscirò di qui - e uscirò di qui - oh, sì, turbini e tempeste, cosa ti farò! Darò fuoco alle tue ossa, ti strapperò gli intestini ancora brucianti e ne farò la corda con cui ti impiccherò!! Ti spedirò sul fondo dell'abisso più profondo e farò precipitare tutte le stelle dalle loro sfere per seppellirti!! Azzardati solo a sfiorare di lontano quella Rupe e sarà la tua fine! Sei un uomo morto!! Mi hai sentito, Thrive?! THRIVE!!!"
    E su quell'ultima parola, udii la porta di ferro chiudersi alle mie spalle.

    Non ressi più: sbattei furiosamente i pugni contro la barricata nel disperato tentativo di sfondarla: sapere che i miei leoni erano in pericolo - Simba, Nala, Sarabi, Sarafina, la piccola Kiara, Kima e Kora, Nyota, Kula, Tama e tutti gli altri - scatenò la mia furia più di quanto io credetti possibile.
    Mi contorsi, sbattendo contro le pareti energetiche più e più volte, fino a dare in un urlo che non ha dialetti in alcuna lingua umana...
    E, alla fine, stremato, caddi come morto sul freddo pavimento di ferro.
    Per quanto mi sforzassi di non accettarlo, era la verità, e nessun pensiero poteva confortarmi.

    Avevo perso.

    TO BE CONTINUED


    E qui, termina la seconda parte. Il secondo atto.
    Manca solo il terzo. Cercherò di ridurlo in dieci capitoli se ci riesco.

    Edited by Gaoh - 24/4/2020, 20:59
     
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    Ebbene sì, dopo più di un anno riprendo questa FF per concluderla una volta per tutte.
    Da oggi posterò un capitolo a settimana per le prossime dieci settimane.
    Auguratemi buona fortuna.

    PARTE TERZA: I GIORNI DEL RISCATTO



    Capitolo 41: Prigioniero del passato
    Bunker ignoto
    Sabato, 14 agosto 1999, 09:00


    Per tutta la mia vita, fin da quando avevo lasciato Londra, senza supporto, senza un soldo, senza amici e senza un piano in testa, avevo camminato in cerca di molte risposte, e molte ne avevo trovate, non sempre soddisfacenti, ma ogni volta ero certo che la verità, il solo ideale rimastomi avesse trionfato; eppure, per tutte quelle domande messe a tacere, una sola era rimasta nel fondo più profondo della mia testa, fin dal primissimo giorno, senza risposta, da allora fino a quel momento di somma disperazione.
    "Per che cosa sono nato? A cosa serve la mia vita?"
    Viaggiando come un eremita avevo imparato molte cose, trovando, conoscendo, perdendo, ridendo, soffrendo in forme così numerose che, se mi avessero detto quando ero più giovane, che un singolo essere umano era capace di simili sentimenti, avrei detto ai miei interlocutori che stavano sragionando.
    Fu la prima volta che la mia visuale del mondo fu completamente stravolta: i miei orizzonti furono allargati così tanto da farmi sentire una formica, quando pensavo che al di fuori di Londra ci fosse ben poco, sia che si trovasse in una qualunque altra parte d'Europa o nelle lontane Americhe.

    In quasi una decade e mezza avevo combattuto in più battaglie di quanto sia lecito dire per uno della mia età, le mie mani si erano macchiate di sangue dei miei simili, e il mio stesso sangue era contaminato da una potenza maligna che io avevo desiderato per lo scopo più vile, la più indegna delle vocazioni: la vendetta. Una vendetta da cui non solo non mi ero liberato, ma alla quale mi ero consacrato per cieco orgoglio, e per la quale ora stavo per scontarla nel modo peggiore.
    I miei amati leoni e leonesse della Rupe dei Re... il pensiero di quel malvagio che puntava a spazzarli via dalla faccia della terra mi dilaniava nel sonno: se penso che tutto quello di cui sto parlando è accaduto, io stesso dubito della mia sanità mentale.

    Ma dopotutto, nonostante tutto ciò che avevo visto e fatto, nulla avrebbe mai potuto prepararmi al mio incontro con la realtà delle Terre del Branco, o alla vita che avevo vissuto laggiù, né al fatto che avrei potuto sentirne la mancanza.
    Simba, Nala, Sarabi e Sarafina... Rafiki, Nyota, Uzuri, le gemelle Kima e Kora... la piccola Kiara... perfino Timon e Pumbaa, quei due strampalati buontemponi... nessuno di loro meritava un simile destino, e io non sopportavo l'idea che potessero morire a causa del mio errore: non avrei mai potuto perdonarmelo.
    Ma come potevo, io, povero, inutile tra gli uomini servire a qualcosa? Come potevo io, da prigioniero, incapace a scappare, incapace a riuscire in qualcosa, incapace a non fallire e a non lasciarmi trascinare dalle emozioni sconfiggere Clark Thrive, nel cui palmo avevo girato in cerchio, ignaro di stare giocando al suo gioco, fin dall'inizio?


    --------------------------------------------

    Non negherò di aver desiderato morire, in quel momento, anzi, di non essere mai nato, addirittura.
    Se non fossi mai nato, nulla di questo disastro sarebbe avvenuto, ma ero fin troppo consapevole che, se l'Anello del Nibelungo non fosse finito in mano mia, sicuramente sarebbe finito in mano a qualcun altro, ignaro come me del valore di quel monile. Un altro avrebbe sofferto ciò che ho sofferto io, per non dire peggio.
    In un certo senso, la mia vita era stata consacrata al dolore fin da quando quel cerchio spaventoso era finito nella bottega di mio padre.

    Sono stato uno stupido, pensavo, come ho fatto a non accorgermi che in quell'anello c'era qualcosa che non quadrava?? Avrei dovuto sbarazzarmene fin da subito, ma senza di esso non sarei mai arrivato dove sono ora, sicuramente ne avrei sofferto di meno, e senza un simile mezzo per comunicare, per ottenere aiuto dai popoli del mondo, forse sarei morto nel giro di un mese, e sarei stato sepolto in una qualche fossa comune, un piccolo cadavere dimenticato e senza nome.
    Non sapevo se ringraziare quell'anello o semplicemente odiarlo con tutte le mie forze, ma a furia di addormentarmi e risvegliarmi con quel chiodo fisso in testa, giunsi alla conclusione che Simba aveva ragione quando mi disse che il passato non si può cambiare. Il mio unico rimpianto era di non poter fare nulla per cambiare il futuro spaventoso che il mio nemico aveva progettato per me.
    Vergognandomi della mia reale debolezza, piansi, rannicchiato nel buio, dimentico di rabbia e vergogna, lasciandomi andare a una sconsolatezza infinita, supplicando la nostra comune sorella, la morte, di farmi compagnia, di porre fine a ogni dolore, ora che ogni gioia e speranza era svanita.

    Così non fu.

    Dopo quelli che imparai essere stati due giorni di prigionia, udii in lontananza un clangore che si fece sempre più forte; dapprima ne fui confuso, poi infastidito, e infine mi spazientii, non desiderando altro che essere lasciato a sbiadire in pace, e urlai di fare silenzio a chiunque stesse facendo tutto quel frastuono.
    Per tutta risposta, un'esplosione pazzesca sfondò la porta da cui avevo visto uscire Clark Thrive l'ultima volta, e due figure immense si lanciarono dentro.
    Fu quasi bizzarro per me vedere Ralph Ross e Leona Steinhart schiaffare mani e faccia contro la barriera elettrificata, incuranti delle potenziali ustioni.
    "Abraham!" gridarono a una sola voce. "Eccoti, finalmente!!"

    Mi si potrà perdonare se dico di aver creduto di stare sognando.

    TO BE CONTINUED


    Questa volta la finisco, gente!!!
     
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