The Days of Love

l'ultimo capitolo della Trilogia

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    Ho aspettato per un bel pezzo, ma ora devo per forza postare.
    Questo capitolo è poco interessante.
    Una giornata normale e molti pensieri.
    Ma vi aiuterà a smaltire la tensione prima del botto nel prossimo capitolo.

    Capitolo 06: In città
    Periferia di Nairobi
    Martedì, 8 luglio 1998, 10:15


    Il nostro arrivo fu particolarmente tranquillo, se per tranquillo si intende rallentato dall'affluenza dei contadini per le strade in terra battuta al di fuori della città. Fin dal sorgere del sole, la gente povera di Nairobi era già in agitazione come un vespaio. Il suq era stato allestito già da alcune ore, stando a quanto mi diceva Leona, ma io ero troppo intento a scrutare la gente.
    Da quanto tempo non mi ritrovavo in mezzo a tanta gente tra gli uomini. Era da quando avevo lasciato Alessandria che non sentivo tanta comunità intorno a me: i leoni erano numerosi, ma mai tanto quanto gli Homo Sapiens del mercato quel mattino: c'era di tutto, dai venditori di frutta secca ai pescivendoli, dai mangiatori di fuoco ai sapwallah (addestratori di serpenti), financo a un cospicuo numero di pecore e capre governate da un paio di attempati pastori e alcuni giovani del posto. Da ogni angolo pendevano anfore e tappeti dai ricchi colori, sulle tende dei gioiellieri splendevano collane e le bancarelle esponevano gioielli e monili incantevoli. Ma per quel che mi riguardava, erano pietre senza valore: il mio anello per me, valeva più di tutte quelle gioie messe insieme. E il diamante nella mia tasca, era quanto mi serviva per ottenere i biglietti dell'aereo per Londra.
    Urla e schiamazzi si spingevano al parossismo, mentre io Ralph e Leona ci aprivamo la strada in macchina per superare la folla. Non fu cosa facile: ci volle solo mezz'ora per avanzare di mezzo chilometro fino al parcheggio dove era stata noleggiata la Jeep, e un altro quarto d'ora perché Ralph pagasse la tariffa fino al giorno dopo.
    "E' sempre così brioso da queste parti, vero Abe?" mi domandò quando uscimmo dall'officina, e ci dirigemmo alla taverna - un edificio rustico in pietra quadrato - per fare colazione.
    I locali ci parlavano freneticamente, porgendo mani da ogni direzione con i visi scuri e sorridenti, chi parlava in francese, chi in dialetti locali, dai vecchi ai bambini, dalle donne anziane alle fanciulle avvolte nei loro scialli di pelle, e tutti ci offrivano mercanzie di vario genere. Un gran bel caos organizzato, tipico dei suq.
    Quando finalmente entrammo nel bar, potei parlare con Ralph e Leona: entrambi sembravano ben riposati.
    "Allora" cominciai, cercando di superare il brusio che c'era nel locale, "Cosa prevede il piano"
    "Semplicissimo" mi rispose Ralph. "Il fatto è, Abe, che il Capitano Ferguson si trova qui con sua moglie"
    "Ferguson?"
    "James Ferguson" puntualizzò Leona. "E' di stanza a Nairobi da anni, si è sposato con una donna del luogo, e conduce una vita niente male nella sua villetta. E tra l'altro..." aggiunse con aria soddisfatta, "E' di madrepatria come te, Abe. Sono certa che sarà più che felice di ospitarti fino all'ora della partenza."
    La notizia mi lasciò sinceramente stupito: l'idea di trovare un compatriota mi attirava, ma mi chiedevo se fosse stata la cosa giusta. Lentamente, sorseggiai il latte di capra dalla mia tazza, e masticai il soffice pane arabo condito con il couscous che fanno da quelle parti - seguendo ancora oggi la ricetta originale dei loro antenati - che costituivano la mia ricca colazione.
    Non era l'orario giusto per una prima colazione, ma mi dissi che avrei potuto tranquillamente saltare il pranzo per quel giorno: dopotutto, noi inglesi mangiamo molto poco a pranzo e a cena, così come la colazione e l'ora del tè sono i pasti più importanti. Ripensandoci, sentii nostalgia di casa: da quanto era che non prendevo il tè alle cinque? Da troppo tempo... a furia di viaggiare per l'Europa e per l'Africa, avevo preso molte inclinazioni degli Europei, e quindi, anche degli Africani. Non ero più un'inglese di madrepatria, se non nella lingua e nel sangue. Il mio cuore e la mia mente erano completamente alterati fin da quando avevo lasciato le rovine di casa mia.
    Londra... sentivo che dovevo tornarci... ma sarebbe stato quello il luogo in cui volevo stare? Tornare alla Rupe dei Re era impensabile, ma avrei sempre sentito la mancanza di quei luoghi meravigliosi.
    E comunque, anche tornando a Londra, non sarebbe stata più la stessa cosa: dovevo ancora porre fine alle oscure macchinazioni dei miei nemici, ovunque essi si trovassero.
    Purtroppo non avevo idea di dove fossero, ma di una cosa ero assolutamente certo: si stavano preparando alla mia distruzione.
    Ma gliel'avrei data io la distruzione: strinsi la scodella per la rabbia, ma mi placai subito, quando la sentii scricchiolare nelle mie mani.
    "Abe?" mi risvegliò Leona dal mio pensiero. "Tutto bene?"
    "Sì," mi scossi leggermente. "Tutto bene."

    --------------------------------------------

    In quella, dato che si era fatto silenzio, udimmo un suono lugubre e ben distinguibile, una serie di rintocchi tristi e solenni: una campana dell'agonizzante.
    "Cos'è!" esclamò Ralph, alzandosi.
    "Un'agonia." mormorò Leona. "Qualcuno è passato a miglior vita..."
    Un silenzio funereo prese possesso del locale e della strada. Un brusio sinistro venne di fuori, e un vecchio fece irruzione dalla porta: aveva l'aria scarmigliata, era magro come un chiodo e ansimava per l'asma. Subito alcuni si avvicinarono per sostenerlo, avidi di sapere.
    Quello con la mano fece segno di no, e deglutendo a stento, ansimò in francese:
    "E' preso un accidente al moro battezzato del Signor Capitano!"
    "Requiescat in pace." mormorai, mentre un'aria afflitta si spargeva sugli avventori.
    Dalle parole del vecchio, si seppe che il giovane moro Eleazar Bhundi, età 25, cameriere e valletto nella villa del capitano Ferguson, era stato insaspettatamente colto da infarto nel sonno, ed era spirato nelle prime ore del mattino. Era stato battezzato secondo l'ordine cristiano della Chiesa anglicana e assunto appena tre anni prima.
    Non badai a quelle notizie funebri, e mi preoccupai di finire la colazione. La colluttazione per uscire dal locale richiese meno tempo, ma non tornammo alla Jeep prima di mezzodì.
    Ci riproponemmo di incontrare il Capitano Ferguson il giorno dopo, usando la Jeep per l'ultima volta. Entrammo nel nostro appartamento e ci disponemmo per il riposo.
    Era un posticino niente male, allestito come la casa di un cacciatore, con mobiletti di bambù e un paio di comodi letti. Io non ero per niente stanco, e mentre Ralph si lasciava sprofondare nel comodo materasso di piuma, io mi sedetti a scrutare l'arida periferia di Nairobi: i grattaceli della città splendevano sotto la luce del sole, mentre a nord, in lontananza, riuscivo a scorgere una villetta con giardino, la casa del Capitano Ferguson.
    Leona passò il pomeriggio a preparare e a spedire l'invito: con un po' di fortuna, entro quella sera, avremmo ricevuto la risposta - presumibilmente positiva - del medesimo.
    Con il passare delle ore, la mia inquietudine cresceva, ma cercavo di non darci peso, e per distrarmi da Ralph che russava come un treno merci, mi rilassavo canticchiando sottovoce la mia serenata.

    La gaia canzone... fa l'eco languir...
    E l'ilare suono si muta... in sospir...


    Alla fine, decisi di sgranchirmi le gambe camminando per la periferia: mentre passavo accanto alla Jeep ebbi la sensazione che qualcuno mi osservasse: allargando le narici, inspirai a fondo, ma non fiutai nulla di strano: e tra l'altro, con tutti gli odori in giro, non avrei potuto distinguere nulla.
    Alle cinque, mi presi la libertà di bere del tè, e di tornare ad essere un po' quell'inglese che ero un tempo: se volevo presentarmi al Capitano Ferguson, dovevo ricordare un po' di etichetta.
    Mi dedicai a una doccia - di cui avevo estremo bisogno, dopo tre anni passati allo stato brado - e a un solenne taglio di capelli: alla fine, i miei capelli erano corti fino alla base del collo, e indossavo camicia e pantaloni di tessuto consono alla vita mondana di Nairobi: non avevo più indossato abiti civili dai tempi di Alessandria.
    Quella sera, mangiammo insieme tutti e tre: riso bollito con carne, formaggio di capra, fichi dolci e una triglia che - stando a quanto ci disse il cameriere - proveniva dalle coste dell'Arabia. Ralph non si fece pregare, mentre Leona si rifiutò dignitosamente - la poverina è intollerante al cibo marino. In quanto a me, perlopiù, mangiai formaggio, e come risultato, a stento riuscii a chiudere occhio quella notte.
    Purtroppo, la lieve indigestione di latticini mi tenne sveglio a meditare sulla terrazza, indigestione dovuta anche a causa dell'escursione termica tra giorno e notte tipica dell'Africa, o forse era qualcos'altro?
    I miei pensieri furono tuttavia appianati dal ricordo del sogno della notte precedente.
    Io non ero solo.
    Questo pensiero mi diede forza, e finalmente, tornai dentro la stanza dalla terrazza. Mi issai sull'amaca e mi lasciai dondolare dalla brezza della notte.
    Avrei tanto voluto che anche Meethu fosse stato lì con me.

    TO BE CONTINUED



    Attendo i vostri commenti.
     
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  2. king_kovu
     
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    Gaoh sto leggendo la tua prima fanfiction sull'eremita,è fantastica.Comunque non ti preoccupare perchè i commenti arriveranno
     
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  3. Pridelands98
     
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    Sono in ritardo di qualche giorno ma per fortuna ho fatto prima di mooolte altre volte. Il capitolo è molto semplice fino ad un certo punto, ormai è chiaro che qualcuno ha seguito Abraham e gli altri, non oso immaginare cosa combineranno. Non ho ben capito come al cameriere è venuto l'infarto ma comunque ottimo lavoro come sempre Gaoh.
    Sono curioso chi stia spiando Abe, continua presto.
     
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    Ho aspettato quasi un mese, ma non tarderò oltre.
    Diamoci sotto con il prossimo capitolo.


    Capitolo 07: Sorpresa
    Periferia di Nairobi
    Mercoledì, 9 luglio 1998, 9:07


    Al sorgere del primo sole, tutta Nairobi si mise in agitazione come un alveare: il tumulto giunse spontaneo, come se si trattasse del respiro della moltitudine di persone in città. Non era affatto come ad Alessandria, no: era più come Londra, e come in tutte le grandi metropoli del mondo. Nairobi era una città ricca e fiorente, con un'industria avviata e un cuore pulsante, colmo di vita. Ancora non potevamo immaginare cosa ci aspettasse, ma io godevo ottime speranze per l'avvenire.
    Fatto sta, che quella mattina mi svegliai come alleggerito. Vedere Ralph e Leona di prima mattina, mi fece sentire straordinariamente bene.
    "Buongiorno Abe!"
    "Ben svegliato."
    Quelle facce oneste, il sorriso da atleta di Ralph, smagliante e audace, il sorriso gentile e quasi materno di Leona, sereno e composto, mi diedero l'illusione di sentirmi a casa dopo tanto tempo, e il mio cuore fremette: se provavo queste cose a Nairobi, dove io non ero mai stato, che razza di emozioni avrei provato nel rivedere Londra, la mia città? Per un attimo, mi sentii mancare, come se precipitassi nel vuoto, ma rivedere quei sorrisi, mi riportò con la mente ai giorni della Rupe, già così distanti, ma sempre nitidi nella mia memoria.
    Alla colazione, i discorsi volarono: si dice che gli esseri umani facciano le conversazioni più importanti seduti attorno al tavolo, e io non esito a dire che è così.
    Leona infatti mi chiese: "Allora, Abe, che cosa pensi di fare una volta tornato a Londra?"
    Da parte mia, avevo le idee chiare: "Oh, io non mi fermerò molto a Londra. Mi limiterò a vedere i luoghi della mia vecchia strada a White Chapel, e poi me ne andrò a Luxor."
    "Ah già," fece Ralph, con la bocca mezza piena di pancake alla fragola, "è stata la tua prima tappa, non è vero? Scommetto che ci hai un casino di ricordi legati a quel posticino, vero?"
    Io e Leona lo fissammo parzialmente disgustati e scuotendo la testa, sentenziammo all'unisono: "Sei proprio uno scimmione..."
    Ralph deglutì assumendo l'aria confusa: "E perché, che ho detto?"
    "Niente"
    Non ci si poteva fare nulla: Ralph ancora non aveva imparato che non si parla a bocca piena. E se dopo quasi trent'anni di vita non l'aveva imparato, né con le buone, né con le cattive, allora non l'avrebbe imparato più.
    Nelle prime ore della mattinata, era giunta la risposta del Capitano Ferguson: la cosa mi stupì, dato che doveva essere ancora impegnato per la morte improvvisa di uno dei suoi valletti... tuttavia, a leggere la sua lettera, mi parve molto galante: un vero cavaliere d'alta accademia - senza dubbio uno studente di Oxford, e mi salì uno sbuffo di risa al pensiero: uno studente di Oxford ridotto all'esercito è considerato uno spreco, ma se la laura è stata presa dopo aver giocato a rugby a livello regionale per conto dell'università, era più che comprensibile.
    L'appuntamento era per quel pomeriggio alle due dopo pranzo. Avevamo tutto il tempo per gustarci la mattinata; e, dato che l'auto era ancora noleggiata fino a quella sera, come disse Ralph "Sarebbe uno spreco non approfittarne".
    Ragion per cui, passammo la mattinata, fino a mezzogiorno, nel cuore di Nairobi a far compere. Ricordo ancora le parole che disse Ralph quando arrivammo in centro, inspirando forte: "Cavolo, quanto mi mancava l'odore di città."
    Mi procurai un paio di vestiti nuovi, tra cui una camicia e uno smoking, dato che avrei dovuto mantenere un certo aspetto di fronte al Capitano, e sfoggiare un po' di sacrosanta dignità britannica.
    Devo ammetterlo, non era nel mio stile, visto e considerando che non avevo mai indossato abiti vistosi in vita mia, ma avrei dovuto farci l'abitudine.
    Tra gli altri vestiti, comprammo un completo kaki per Ralph e dei nuovi jeans per Leona.
    Durante il nostro magico viaggio in città, le cose sembravano procedere al rallentatore: era come in un sogno, ma era realtà. Per un breve istante, dimenticai la Rupe dei Re, e mi sentii un uomo di città per la prima volta dopo tanto tempo, come ad Alessandria e a Verona.
    Ralph sprecò una buona parte del nostro tempo a un piccolo ostello di hot-dog. In fede, io non avevo mai mangiato porcherie del genere, e manco avevo intenzione di farlo, ragion per cui respinsi le generose offerte di Ralph.
    Verso le undici, avevamo stipato i sedili posteriori di pacchi. Ralph e Leona si erano mangiati un bel po' dei loro soldi, ma dicevano che per me, questo e altro.
    All'ora di pranzo, tornammo all'alberghetto in periferia: anche se eravamo tirati a lucido, non potevamo parcheggiare la Jeep negli angusti parcheggi dei ristorantini agli angoli delle svolte stradali, o avremmo rischiato di ingombrare il passaggio.
    Pranzammo rapidamente, con zuppa di legumi, una pasta di pane e zucchero tutt'altro che cattiva, uova sode fresche, manghi e fichi dolci. Un pasto sostanzioso, ma facilmente digeribile, in modo da presentarci in maniera decente alla villetta del Capitano.

    --------------------------------------------

    Quando il campanile della periferia suonò l'una e un quarto, indossammo i vestiti buoni e ci mettemmo in moto: ci sarebbe voluta mezz'ora per arrivare, ma con il traffico sarebbe stato un miracolo se fossimo arrivati prima delle due in punto: l'etichetta dice chiaramente che un inglese non deve mai essere in ritardo o in anticipo a un appuntamento di qualità; occorre essere puntuali per mantenere una buona immagine. Non per niente, l'Inghilterra è la patria dell'educazione, per quanto fosse rimasto ben poco dell'inglese in me.
    Questo e mille altri pensieri mi si affollavano nel cervello, al punto che non riuscivo a trovarne più il filo logico: decisi di lasciarmi andare e guardare il paesaggio. Nairobi, splendente sotto il caldo sole africano, brillava come un gioiello proteso verso il cielo: una città moderna, non come Londra, gotica e piena di ricordi, con poco spazio per ciò che sarà; Nairobi era una città volta completamente verso l'avvenire, piena di speranze e sogni, come lo era stata l'America ai tempi della corsa all'oro, e tuttora punta verso il domani nonostante tutte le disgrazie che ancora persistono a questo mondo.
    Lasciandomi andare a questi pensieri senza fine, il viaggio mi sembrò più breve di quanto fosse stato in realtà, e quando Ralph frenò, fu come se mi avessero buttato giù dal letto - senza tante cerimonie, devo aggiungere - e per questo, mi tirai su un po' contento e un po' arrabbiato.
    Tuttavia, quando scesi, la scena che mi si presentò fu tale da togliermi il fiato: la villa era fatta nel più sobrio stile neoclassico, con colonne di marmo, mura in solido granito, finestre quadrate, tetto triangolare, simile in molti aspetti al Tempio di Atena, ma colmo di fattori che trasudavano familiarità: eravamo in un giardino colmo di alberi tropicali, con una piscina dove nuotavano tranquille le anatre e gli aironi, all'ombra del cocco e del tamarindo.
    Un grosso segugio canadese di almeno dodici anni giaceva addormentato sul portico, vicino alla sedia a dondolo, e alzò la testa quando ci vide arrivare, e ci accolse con un sonoro sbadiglio.
    Quando fummo vicini, dalla porta uscirono due figuri in uniforme, simili a soldati della Guerra in Vietnam, che accolsero Ralph e Leona con il Saluto militare, a cui i due risposero prontamente.
    Essendo una ex-ufficiale, fu Leona a fare parola: "Ralph F.Q. Ross e Leona W. Steinhart, plotone 7 a rapporto; siamo venuti per incontrare formalmente il Capitano Ferguson."
    La risposta del Capitano venne subito revisionata, e uno dei soldati riferì con calma razionale: "Il Capitano verrà informato immediatamente. Siete pregati di rimanere qui e attendere di essere ricevuti."
    Con quella, tornarono dentro, al cospetto del loro ufficiale a riferire il nostro arrivo, e Ralph si diresse al bagagliaio.
    "Controlla il bagagliaio, controllo sempre il bagagliaio. E questa sarà l'ultima volta."
    "Giustissimo" fece Leona. Considerando che la Jeep doveva essere riconsegnata al noleggiatore in serata, dovevano fare i bagagli. Decisi di aiutarli.
    Quando una buona parte del contenuto - alquanto cospicuo - del bagagliaio, rividi il telone da tenda piegato: parola mia, mi sembrava più grosso di quanto ricordassi, ma non poteva dire niente di male...
    o almeno così credevo.
    Prova ne sia, che quando afferrai il telone per rimuoverlo, giurai di aver sentito un rombo sotto di esso, come un leone che fa le fusa.
    "Non è possibile..." riuscii a dire sordamente, ma non abbastanza piano da non essere udito: Ralph e Leona rimasero perplessi, ma quando finalmente, tremando di qualche ignota paura, rimossi il telone, tutti e tre sobbalzammo.
    Un'ombra improvvisa venne fuori da dove avevo rimosso il telone, e balzò nella polvere del giardino.
    Per lo choc, il mio Dono delle Lingue si attivò, perché per quanto io mi ostinassi a dire che non era lui, che non poteva essere lui, il mio cuore faceva una capriola per la gioia e lo sgomento.
    La sua voce fu come un colpo: "Wow! Non ne potevo più! Stavo quasi per soffocare!!"
    A Ralph cadde la mascella, a Leona caddero i finimenti della tenda che teneva in mano, e in quanto a me, le mie mani scattarono contro la mia stessa gola per impedirmi di urlare. Ma nulla trattenne le nostre corde vocali dall'esclamare quel nome.
    "MEETHU!!

    TO BE CONTINUED



    ...
    Attendo i vostri commenti.
     
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  5. Pridelands98
     
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    Ti prego di scusarmi Gaoh, ma ora con l'inizio della scuola e tutto sono troppo occupato per stare qui sul forum e quindi anche per leggere le fan fiction ma ti prometto che appena potrò riprenderò la lettura dell'ultimo capitolo della saga dell'Eremita.
     
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    CITAZIONE (Pridelands98 @ 8/9/2014, 13:02) 
    Ti prego di scusarmi Gaoh, ma ora con l'inizio della scuola e tutto sono troppo occupato per stare qui sul forum e quindi anche per leggere le fan fiction ma ti prometto che appena potrò riprenderò la lettura dell'ultimo capitolo della saga dell'Eremita.

    Prenditi pure tutto il tempo che ti serve. Non ho fretta.
     
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  7. Pridelands98
     
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    Ora sono riuscito a leggere. Bellissimo come sempre, sembrava un semplice capitolo di come era per Abraham lo stare di nuovo in una città dopo tanto tempo ed invece... colpo di scena finale... Mheetu?! Ma che diavolo gli è venuto in mente? Ed adesso come torna alla Rupe dei Re? Ci riuscirà? E se lo vede qualche umano.. rischia di finire in qualche zoo! No seriamente, ma si è reso conto do cosa ha fatto? Sono rimasto quasi scioccato!
    Bravissimo come sempre Gaoh, continua presto,sono certo che ora a Mheetu una bella ramanzina no gliela toglie nessuno!
     
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    OK. Non ho scusante per questo ritardo, e perciò non dirò scuse.
    Mi limito ad informarvi, che questo capitolo sarà lungo e pieno di dialoghi.
    Buona lettura.

    Capitolo 08: Ospitalità Inglese
    Villa di Ferguson
    Mercoledì, 9 luglio 1998, 13:50


    Meethu balzò come una molla, venendo a precipitare diritto tra le mie braccia, e per poco, con la sua criniera, non mi soffocò.
    "Abe! Oh, Abe! Non sai quanto sono felice di vederti!!" rideva come un matto, ed evidentemente, non si era reso conto dello sbalordimento che aveva causato.
    Non feci neanche in tempo a protestare - per lo sbigottimento e la stizza, mi si era incollata la lingua al palato, ed ero rimasto irrigidito come un ciocco di legno - che lui era già andato a strofinarsi contro le gambe di Ralph e Leona; la loro reazione non fu diversa dalla mia.
    "Oh, ragazzi! Grazie al cielo non vi siete dimenticati di me! Ci è voluto più di quanto credessi, ma finalmente siamo di nuovo insieme!!"
    Ralph prese l'iniziativa, e afferrato Meethu per la criniera, lo costrinse all'ascolto:
    "Meethu! Tu... razza di gattone spelacchiato! Tu qui? Che diavolo ci facevi tu, dentro al bagagliaio?!"
    "Ha ragione!" fece sordamente Leona, ancora sorpresa, ma già severa. "Non dirmi che ti sei intrufolato dentro per seguirci?"
    "Ma certo che sì!" esclamò Meethu, che sembrava offeso. "Non avrete pensato che vi sareste sbarazzati di me tanto facilmente!"
    "Meethu" cominciai allora io, la voce roca e quasi irriconoscibile - non riuscivo a crederci: quel piccolo pazzo era giunto a tanto - "tu non dovresti essere qui"
    "Ma come!" esclamò quello, senza curarsi del fatto che alcuni villici potessero vederlo e dare in panico, "non sei felice di vedermi?" E venne a strofinarsi contro le mie gambe; si ritirò quasi subito, quando vide il lampo rabbioso nei miei occhi.
    "Io sono felice di vederti, Meethu" ripresi, calmo ma freddo, "ma questo non è posto per te! Ora, per colpa tua, dovrò perdere altro tempo per rimandarti a casa, e senza dare nell'occhio! Meethu, ma ti rendi conto di quello che hai fatto?!" conclusi con uno sfogo di esasperazione, quasi sputando dalla rabbia.
    Il leone beige dalla criniera nocciola e gli occhi azzurri si ritirò, raggomitolandosi su sé stesso con aria colpevole. "Non avevi detto arrivederci, quel giorno alla Rupe?" mormorò con voce triste. "Avevi detto a mio padre che mi avresti protetto...!"
    "I giorni in cui eri un cucciolo sono finiti, Meethu!" replicai io, aspramente. "Dovresti già essere un leone realizzato e sistemato, con una famiglia tua, lontano da qui!" Conclusi, pestando pesantemente il suolo con il piede.
    "Dannazione, Meethu! Se non fosse che noi due siamo stati amici per tanto tempo, ti scannerei, qui e subito!" Non era una minaccia inconsistente, e Meethu, che lo sapeva, rabbrividì. Ralph e Leona, dal canto loro, si scambiavano occhiate eloquenti e preoccupate.
    "Abe..." cominciò Ralph, facendosi avanti, "non pensi di essere un po' troppo duro con lui?"
    "Niente affatto, Raphael!" sbottai subito. "Dovremo trovare subito un modo per rimandarlo nel Serengeti e assicurarci che vi resti! Mi dispiace dirtelo" conclusi, rivolgendomi direttamente a lui, "ma dovrai pagare di nuovo per il noleggio della Jeep, così da poterlo rimandare a casa nel bagagliaio!"
    "Ci vorrà tempo" disse Leona, che era visibilmente preoccupata. "Ci sono ancora molti cacciatori di frodo da queste parti, e non esiterebbero ad aprire il fuoco se sapessero che c'è un leone a piede libero, o peggio, se lo venissero a sapere le forze dell'ordine! Metterebbero Meethu in uno zoo!"
    "Ma io sono un leone molto intelligente!" protestò vivacemente Meethu. "So leggere e scrivere come gli umani! Posso fargli capire!"
    "Allora ti metterebbero in un circo!" replicò Leona con forza, stringendosi le spalle con le dita. "Tu non conosci gli umani, Meethu! Sai cosa fanno gli uomini a sé stessi; cosa pensi che facciano agli animali? La nostra razza odia tutto ciò che è diverso, e quando gli animali, ritenuti privi di intelletto si mostrano intelligenti... pensa ai delfini e ad alcune specie di uccelli, primati e mammiferi! La loro sorte è stata segnata dal momento in cui si sono mostrati intelligenti o affabili verso gli umani!"
    Meethu, al sentire quelle parole si fece triste. Non trovò la forza di replicare.
    In quel momento, udimmo una risata roca ma alquanto sonora alle nostre spalle.
    Dovevamo aspettarcelo, visto che condividevamo il Dono delle Lingue, ma rimanemmo colpiti nel vedere il vecchio segugio canadese che rideva dalla cima del portico.
    "Oh, cielo! Che incantevole scenetta."
    In un istante, salimmo tutti e tre sul portico, seguiti da Meethu, e ci trovammo di fronte al canide: sarebbe stato meglio che nessuno ci vedesse.
    Non sapevamo che dire: che cosa si può dire a un segugio? Non era istintivo come quando avevo incontrato le iene, o come quando Ralph e Leona avevano ricevuto da me il Dono delle Lingue; la situazione era completamente diversa.
    Meethu ruppe il silenzio, avvicinandosi a quell'animale che non aveva mai visto prima.
    "E tu chi saresti, vecchio?"
    Questi rispose con calma diplomatica: "Il mio nome è Chris, e sono il guardiano di questa casa"
    "Non mi sembri uno in grado di difendere un granché!" replicò il giovane leone, scrutandolo dall'alto; in effetti, il segugio canadese, oltre ad essere in là con gli anni, era alquanto striminzito.
    "Meethu! Cerca di non essere scortese!" lo rimproverò Leona. Ma il segugio rise:
    "Nessun problema, signorina, nessun problema... ha ragione: in un altro momento, avrei risposto per le rime... ah, ma ora sono troppo vecchio per difendere alcunché... ora, mi limito a sorvegliare la porta, e avverto il mio padrone nella notte, se si avvicinano dei ladri."
    Notai stranamente, che Chris non aveva reagito all'apparizione di Meethu: qualunque buon cane da guardia reagirebbe con latrati e ringhi alla presenza di un avversario così formidabile.
    "So che il mio padrone vi attende, e sono certo che non avrà da lagnarsi con me; è tanto gentile come la sua compagna, e in particolar modo," aggiunse, scrutando Meethu con interesse, "sono sicuro che sarà felice anche di te, ragazzo mio." E, stranezza delle stranezze, mi parve che fece l'occhiolino.
    "Ora, se volete scusarmi, io me ne torno a dormire."
    E con questo si riacciambellò sul suo tappetino, e riprese a russare sonoramente.
    In quella, le guardie giunsero e ci chiamarono. Il mio cuore fece una capriola, quando videro Meethu: ma si immagini come rimasi di stucco, quando sorrisero e lasciarono passare dicendo. "Dunque il Capitano si è deciso a prenderne un altro, eh?"
    Io non ci capivo più un accidente: di che cosa parlavano? Chi era questo James Ferguson? E perché i suoi soldati non erano sconcertati dall'apparizione del giovane Panthera Leo?

    --------------------------------------------

    L'interno della villa era sontuoso: un ricco pavimento di marmo lucidato come uno specchio, ricoperto da un lungo tappeto rosso e lanuginoso; alle pareti, bianche come calce, stavano appesi quadri di artisti minori inframezzati da solide colonne, e di tanto in tanto, da porte in lustro mogano. La navata del corridoio era alta almeno quattro metri ed era a tutto tondo con dei piccoli lampadari d'ottone, rigorosamente spenti, poiché la luce entrava abbondante dalle finestre vicino al soffitto. Ci muovemmo dietro alle guardie, mantenendo un certo ordine: Meethu si guardava intorno con tanto di occhi; era comprensibile, dato che non aveva mai visto nulla del genere. Sospirava, dava in esclamazioni di stupore, guardando ora da una parte, ora dall'altra: sembrava intenzionato a vedere più cose possibili nel minor tempo possibile. Era eccitato come uno scolaretto a una gita a un museo.
    Salimmo in cima alle scale che ornavano l'atrio, e raggiungemmo la porta dell'ufficio.
    Eravamo all'interno di una stanza alquanto opulenta: da tutte le parti, si notavano mappe, vasi cinesi e mobiletti sovraccarichi di statuette, di armi e di libri aperti. La luce entrava dalla grande finestra sulla destra, e illuminava la grande scrivania di mogano, alla quale stava seduto un uomo sui quarant'anni, alto e robusto, con i capelli neri sbiaditi dall'età, e la carnagione bronzina; non carica come quella degli africani locali, ma troppo scura per uno che è arrivato da poco. Si riconosceva subito l'europeo, esposto da lunghi anni al sole africano.
    Come ci vide entrare, abbassò la penna, chiuse il registro - mettendoci un segnale - e si alzò: i suoi occhi, verdi come smeraldi mi colpirono; i lineamenti del volto, fieri e superbi, incorniciati da una folta barba, davano l'aria dell'uomo di ventura; indossava un'uniforme bianca, serrata in una forte cintura di cuoio. Alla vita, una pistola che sembrava rivestita d'argento, e una sciabola che doveva essere di origine malese. Non aveva l'aspetto di un pensionato di stanza, ma di uno che è pronto a partire per la guerra in qualunque momento e prendere il comando in qualunque spedizione.
    Le guardie scattarono subito sull'attenti, mentre io, Ralph e Leona restavamo indietro; Meethu, incuriosito, guardava la scena da dietro le mie gambe.
    "Gli ospiti sono arrivati!" esclamarono i due in un sol colpo.
    James Ferguson replicò subito. "Riposo, uomini! Non c'è bisogno di tanta formalità." Il suono della sua voce era profondo, ma delicato come un favo di miele. Sentii il mio cuore sciogliersi, e nell'accento come nella parlantina, riconobbi il vero britannico d'Inghilterra. Un vero esempio di inglese.
    I miei amici si fecero avanti per presentarsi.
    "Ralph Ross e Leona Steinhart, a rapporto, signore!"
    Avevano usato troppa formalità, ma Ferguson sorrise subito. "Ah, i soldati del buon vecchio Robert. E come sta la vecchia canaglia?"
    "Vivo e in salute, signore. E' stato promosso or son tre anni." rispose Leona con un sorriso. Ferguson rise di cuore: "Hahaha! Ah, Robert... sapevo che era fatto per la carriera. Non come me, che sono un semplice custode..."
    D'un tratto, notò la mia presenza, che - mi dispiace dirlo - salta subito all'occhio, non dico di no, soprattutto con i miei capelli bianchi e la mia pelle smorta, che rimaneva tale perfino sotto il sole cocente.
    "E lei è, signor mio?"
    "Abraham Colin Mist, figlio di Hector e Camilla Mist" salutai, eseguendo un piccolo inchino portandomi la mano destra sul cuore. Ferguson sobbalzò:
    "Oh! Accento accademico! E il saluto della Corona di Inghilterra! Un compatriota!"
    "Felice di incontrarla, Capitano!"
    "Oh, mio degno amico!" esclamò quello, venendo ad abbracciarmi. "Da quanto tempo non ho nuove della madrepatria. Sir Mist, lei è più che benvenuto."
    "Per sua bontà" replicai, sciogliendomi da quelle braccia poderose, che avrebbero potuto rompermi tutte le ossa.
    Meethu rise a questa scena, e l'attenzione del Capitano si rivolse a lui, mentre il mio cuore minacciava di fermarsi.
    "Capitano, posso spiegare..." ma mentre parlavo, il Capitano era già in ginocchio, a scrutare il leone negli occhi: questi resse lo sguardo anche quando la mano del vecchio inglese gli scompigliò la criniera, contemplando tranquillo la sua figura. Meethu sbuffò un po' ma alla fine, fece le fusa strofinando il muso contro il palmo del Capitano.
    Alla fine, questi si rialzò e mi rivolse di nuovo la parola.
    "Davvero un magnifico animale. E' forse suo, Mist?"
    "Più o meno, Sir" risposi, cercando di spiegare. "Ma è una storia lunga..."
    Ferguson rise. "Ohoh! Non ne dubito, ma prima vorrei che mi parlaste di come siete arrivati fino a qui, voi tre. Sedetevi, e raccontatemi tutto. Guardie!" esclamò ad un tratto, con aria di importanza, "Fate portare il servizio buono e preparate il tè! Voglio che i miei ospiti vengano messi a loro agio!"
    Io ci capivo sempre meno: il Capitano non sembrava uno che amava lo sport della caccia, ma non aveva esitato minimamente di fronte a Meethu e non aveva mostrato la benché minima traccia di panico: che fosse abituato alla presenza di bestie feroci?
    Ancora non potevo capire cosa sarebbe accaduto.
    Passammo l'intero pomeriggio a narrargli di cose di cui abbiamo già parlato, e non ne farò parola. Mi basti dire, che nel processo vuotammo parecchie tazze di tè, e che nel sentire degli orribili accadimenti di Londra e Praga, il nostro anfitrione diede in escandescenze almeno due o tre volte, battendo rabbiosamente il pugno sul tavolo e dando in un sonoro "Maledizione!" o una qualunque altra imprecazione di sorta. Inoltre, a differenza di quanto raccontammo ai leoni, sorvolammo sul progetto Estremo Rosso e i sentimenti personali: non potevamo permettere che le notizie su quel progetto infernale trapelassero, nemmeno con uno come James Ferguson.
    Meethu, dal canto suo, aveva già sentito questa storia, e si ritirò in un angolo, rimanendo seduto e in silenzio.
    Tra il tè e la narrazione, l'intero pomeriggio volò via, e quando fu l'ora di cena, fummo raggiunti dalla gentile consorte del Capitano.
    Era questa, una donna africana di trent'anni di bellezza superba. Chiaramente cresciuta in una ricca famiglia, non mostrava i segni dell'invecchiamento precoce tipico delle donne della sua etnia. Aveva gli occhi neri e neri pure erano i capelli, raccolti in una lunga treccia che le ricadeva lungo la schiena diritta; la carnagione era bruna e ombrosa come la notte, e un atteggiamento che non traspariva nulla dell'Africa: era più civilizzata e incantevole di qualunque gentildonna inglese. Vestiva un sobrio abito lungo fino al collo dei piedi, qualche semplice gioiello ornamentale e un paio di scarpe da casa con il tacco non troppo alto.
    Si chiamava Jasmina, e rimase deliziata nel vederci, ma fu quando vide Meethu, che la sua emozione scoppiò.
    "Oh, santo cielo, ma cosa vedo qui?" Meethu sembrava palesemente preoccupato da tanto entusiasmo. "Oh, signor Mist, non dovevate!" aggiunse, con mio grande stupore e - perché negarlo? - grandissimo imbarazzo. "Lo avete portato qui per Eleanor, non è vero? Oh, James, scommetto che gliel'hai chiesto tu! Sei un cattivone!"
    "Per te, mia adorata, una cosa del genere non la rifiuterei mai, ma è stata una sorpresa perfino per me. Non sapevo che si portassero dietro un leone."
    "Ma è meraviglioso!" fece lei, esilarata. "Ma non c'è tempo per questo: orsù, tutti a tavola! La cena è pronta, e domani, voi e il vostro adorabile amico verrete con me, signor Mist. C'è una cosa che voglio mostrarvi!" James Ferguson rise di fronte alla mia reazione spiazzata: non sapevo che rispondere; troppe cose tutte insieme mi frullavano nel cervello: non ricordavo che vi fosse tanta esuberanza in certi umani...
    Meethu, dal canto suo, era rimasto abbastanza confuso, ma non poté dire niente, perché la gentile signora Ferguson ci sospingeva con gioioso impeto verso la sala da pranzo, dove avremmo consumato la cena - che contava poca roba essendo all'inglese, naturalmente - ma la mia preoccupazione era per Meethu.
    Ferguson capì subito cosa mi preoccupava:
    "Non si preoccupi, Abraham. Il vostro amico può dormire nel giardino, stanotte. Domani, vi assicuro, lo attende una bella sorpresa."
    Io ci capivo sempre e sempre di meno, ma Meethu, che aveva capito al volo, si diresse giù dalle scale, e si diresse fuori dalla porta, a dormire nel giardino, dopo aver dato una rapida buonanotte al vecchio Chris.
    In quanto a me, non protestai quando entrammo nella sala dal pranzo, relativamente piccola, come quasi tutte le altre stanze della villa, così come non feci complimenti durante la cena. E che cena poi, considerando lo stile puramente inglese: una zuppa al prezzemolo, arrosto di fagiano che mandava un aroma goloso e invitante, una piccola frittata di uova d'anatra e porre che stuzzicava la gola, e per dessert, gamberetti dolci.
    Non parlammo affatto, durante la cena, perché il Capitano ci doveva ritenere affamati, ma sapevo in cuor mio, che presto avremmo parlato e conversato secondo l'etichetta inglese fino allo sfinimento, e nonostante tutto, la cosa non mi dispiaceva affatto.
    Una volta terminate le dolcezze del dessert, venimmo mandati nelle stanze degli ospiti al piano superiore. Ralph e Leona andarono presto a dormire, ma io non riuscii a chiudere occhio: c'erano troppi pensieri e ancora più domande che mancavano di risposta...
    Rimasi appollaiato sulla finestra aperta per quasi tutta la notte, fino a che, verso le tre del mattino, non mi decisi a scendere nel giardino, lasciandomi scivolare sull'edera che cresceva incolta sulla facciata, e nello spazio aperto tra la villa e la strada, trovai Meethu, sdraiato sotto una palma, presso la piscina. Lentamente, mi sdraiai accanto a lui, e mi addormentai, aspettando l'arrivo del sole.

    TO BE CONTINUED



    Ho fatto in fretta e furia perché è quasi ora di pranzo, ma spero che vi piaccia.

    Edited by Gaoh - 27/9/2014, 03:25
     
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  9. Pridelands98
     
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    Bene ora ho letto Gaoh. E non ti preoccupare per il ritardo, cosa dovrei dire invece io?
    Mheet, mi dispiace un po dirlo, è stato veramente un incosciente ad andare di nascosto insieme ad Abraham e gli altri due. E come era prevedibile si sono fatti subito notare. E direi che haigià fatto capire che quel Ferguson nasconde qualcosa, temo che voglia fare di Mheetu una pelliccia D: Spero di sbagliare ma di sicuro ha in mente qualcosa di brutto... Speriamo bene ^^
    Continua così Gaoh.
     
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    Continuo a pensare che questa Fan Fiction valga meno di quanto mi aspettassi, ma ho detto che l'avrei finita e la finirò.
    Per allungare un po' e raggiungere il limite dei sessanta capitoli, posto questo capitolo un po' più storico.

    Capitolo 09: Villa Ferguson a volo d'uccello
    Villa di Ferguson
    Giovedì, 10 luglio 1998, 6:00


    Il sorgere del sole su Nairobi era una cosa stupenda: come nel vecchio west americano, il sole bianco brillò dall'orizzonte verso le cinque e tre quarti del mattino, diffondendo pennellate di violetto prima, poi di indaco e di rosa traverso il cielo, incantando la natura dei suoi parchi e delle sue meraviglie.
    Non v'è da stupirsi se alcuni definiscono Nairobi stessa una vera e propria oasi, un formicaio fremente di attività; come la vecchia New York, a quell'ora si sentivano già i rombi dei motori, e qualcuno era già preso dal lavoro e dall'avvenire. Pensando a queste cose, si comprende come il mondo si muova costantemente attraverso lo scorrere incessante del tempo.
    Come disse un grand'uomo: il tempo fugge lontano da noi, come se ci odiasse.
    "Cogli il giorno, confidando il meno possibile nel domani"
    Ogni palazzo, ogni viuzza, ogni stradina, ben presto avrebbe ricevuto la sua dose di luce, quel giorno come in tanti altri, e così ogni creatura che sta nel deserto e tra le rocce; sotto la sabbia e sugli alberi. Appunto, tra fenicotteri e pavoni, zebre e antilopi, tra gli ippopotami massicci che sono nel fango e i lemuri tra i ciliegi del parco, non ci sarebbe stato nessuno che non avrebbe assaporato il calore intenso e benevolo di quel sole africano; di fatto, una volta levatosi nel pieno del meriggio, soprattutto in quella stagione torrida, il calore urbano e suburbano sarebbe stato qualcosa di insostenibile.
    Per questo, ogni palazzo del centro città era convenientemente dotato di condizionatori, ventilatori elettrici portatili o a soffitto, condotti di aereazione e quant'altro.
    E la pittoresca villetta in stile classico del Capitano James Ferguson non faceva eccezione.
    Come già si disse, l'interno era sontuoso, ma non pomposo: non era come nei palazzi dei gran signori, ma era stato architettato per essere il più comodo e al contempo il più lussuoso possibile per un ufficiale di stanza. Non si pensi che Ferguson avesse comperato la villa per suo uso esclusivo, no: quella villa era già molto vecchia, quando il Capitano allora trentenne era giunto ad abitarvi. Edificata nel 1837, aveva una lunga storia di ufficiali inglesi e americani che l'avevano comperata all'uso locale per cento anni, salvo rescindere i patti a ogni mese, a cominciare dal Generale Warren Q. Jettison, che l'aveva fatta costruire, al Capitano Reginald Desdrey, che l'aveva occupata fino a quindici anni prima, quando venne stroncato dal colera, e il Capitano Ferguson ricevette l'ordine di prendere stanza laggiù; egli, naturalmente accettò subito, dato che la vita condotta per cinque anni a Marrakech in Marocco, lo aveva fatto invecchiare orribilmente; quello che avvenne a Nairobi, già lo sapete. Egli era, secondo gli annali, il sedicesimo ufficiale a possedere quella proprietà. E che proprietà.
    Agli inizi, era soltanto una villa modesta, non tanto grande né tanto piccola, e nel corso del tempo era stata più volte vittima di atti vandalici e attacchi, tuttavia, fino ad allora aveva sempre retto, e non aveva mai ceduto. Allo stesso modo, oltre a venire ricostruita dopo i vari attacchi, venne assai spesso ampliata e modernizzata per garantire il benessere dell'ufficiale di turno e dei suoi soldati, figli di altri ufficiali e soldati: una vera dimora dell'esercito, un luogo ricco di ricordi e di emozioni.
    Essendo immersa nel bel mezzo del niente, agli inizi del '900, l'ufficiale di turno - di cui ci spiace non ricordare il nome - fece costruire il muro esterno e il giardino, con i suoi alberi e la sua piscina; appena dietro la villa, stava un magnifico labirinto, versione ovviamente in miniatura del celeberrimo nella Valle della Loira, con figure rappresentanti le varie forme dell'amore.
    Nei quartieri interni del giardino, si trovavano molti silos per la raccolta del grano, visto e considerato che i campi non erano tanto distanti, e le cucine annesse.
    Durante il corso degli anni, si gustavano i cibi locali quali lenticchie, pane di grano fatto all'uso degli antichi aborigeni che abitavano la zona, latte di mucca e prodotti derivati, che hanno grande successo sul mercato, perfino nella città.


    --------------------------------------------

    Il mio sonno fu molto sereno, quella notte, non so perché... ero semplicemente rimasto sconvolto dal vedere Meethu saltar fuori dal bagagliaio: sapevo che si doveva essere intrufolato mentre nessuno di noi guardava. Quello stupido... ancora non potevo crederci, ma ormai era fatta, e bisognava avere pazienza, soprattutto con un leone infantile come lui. Purtroppo i leoni non dimenticano mai un debito di gratitudine, e sapevo che non me lo sarei scrollato di dosso con tanta facilita.
    A questo pensavo, mentre mi stringevo a lui, cercando di riuscire a dormire... beh, si può dire che ci sono riuscito, ma allo stesso tempo, non ci sono riuscito.
    Oscillavo tra il sonno e la veglia, dormivo, ma allo stesso tempo ero vigile... non c'è un modo corretto per spiegarlo, ma quando mi alzai quella mattina, mi sentii straordinariamente in forze; mi ero alzato perché la luce crepuscolare del cielo mattutino aveva baciato le mie palpebre, sollecitandomi alla veglia diurna.
    Mi alzai con un forte sbadiglio e mi stirai la schiena boccheggiando. Meethu era ancora acciambellato ai miei piedi, e sorrisi nel vederlo così: senza dubbio si era arricciolato tutto quando mi ero adagiato contro di lui. Mi limitai a carezzargli la criniera, e lui si stiracchiò soddisfatto, ma senza svegliarsi.
    Mi presi il mio tempo per le abluzioni mattutine: mi spruzzai la faccia con l'acqua della piscina, facendo involontariamente scappare un paio di fenicotteri, e mi presi la libertà di agguantare una noce di cocco non tanto grande e perfettamente matura, il cui sapore ricorda quello delle mandorle dolci. Mangiai una buona parte della polpa, e serbai il resto per dopo.
    Nel mentre, osservavo i dintorni, scrutai a lungo il giardino, per un buon quarto d'ora costeggiai il labirinto degli amanti nel retro - naturalmente mi guardai bene dall'entrare - e lasciavo che il sole mi inondasse.
    In quel lungo lasso di tempo, circa tre ore, che passai a girovagare per il giardino, mentre si udivano i suoni del risveglio provenire dalla strada, dal giardino e dalla villa, pensai tanto a Londra e alla mia famiglia: chissà cosa avrebbero pensato se mi avessero visto come ero adesso? Come era diventata Londra? Chi lo sa... i miei non sono più, e il mondo mi ha cambiato: probabilmente, ora vedrei Londra - che ai tempi per me era tutto l'universo conosciuto - come il fondo del pozzo, e me stesso come la ranocchia intrappolata, ignara del mare profondo che sta al di fuori di esso. Quasi quindici anni passati per il mondo a fare del bene; ho vissuto avventure straordinarie, provato dolori e gioie, dispiaceri e sofferenze che forse nessun'altro uomo al mondo potrà mai conoscere, e credo che presto, giungerà il momento di trovare il posto in cui voglio restare, e dove passerò il resto della mia vita.
    Tuttavia, il mio pensiero più costante, era il dolce sorriso di Mina: pensavo tanto a lei, da dopo quel che avevo raccontato alla Rupe. Sentivo il suo spirito accanto a me in ogni momento... ma che importanza ha? Non potevo più parlarle, non potevo più sentire la sua voce. Erano passati cinque anni... perché non riuscivo a smettere di provare dolore mentre pensavo a lei? A quell'ora avrei dovuto essermi già rassegnato a quel fatto, o no?
    Ero immerso nei miei pensieri a tal punto da non accorgermi che il sole si era levato oltre il muro di cinta, inondando il giardino, e fermai i miei passi, quando udii uno sbadiglio formidabile, straordinariamente simile a un ringhio.
    Meethu si era svegliato.


    TO BE CONTINUED


    Inutile dire che le info storiche sono buttate a casaccio. Spero di aver dato un'impressione buona. Attendo i vostri commenti.

    Edited by Gaoh - 5/12/2014, 23:52
     
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  11. Pridelands98
     
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    Oh cielo Gaoh, sono in ritardo di una settimana. D: Scusa e che ultimamente l'inizio della scuola per me ultimamente si è fatto più sentire ora rispetto che a settembre. Comunque ottimo lavoro come sempre, la parte storica è stata scritta bene ma non sono molto informato sull'argomento. Ora vediamo cosa succede, continua presto Gaoh e non dire così sulla tua ff, lo benissimo quanto ci tieni a completarla.
    60 capitoli? Ok, ne hai già scritti nove quindi sei già a buon punto. Inoltre sono sicuro che anche se ci metterai un po di tempo nel completarla verrà come tuo solito un capolavoro e poi in effetti per far bene una cosa bisogna lavorarci molto. ;) Senza contare che, se ben ricordo, per completare The Way it All Began ci hai messo un po più di un anno. ^^
     
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    Siamo ancora in alto mare, ma oggi vi posto qualcosa che vi sorprenderà

    Capitolo 10: Diversa da tutti gli altri
    Villa di Ferguson
    Giovedì, 10 luglio 1998, 11:00


    La gioia onesta di vedere Meethu sorridente mi scaldò il cuore, ma sapevo che non poteva durare; nonostante le sue amorevoli carezze, io sapevo già che avremmo dovuto passare per un altro addio, e che quella volta sarebbe stato definitivo.
    Né Ralph né tantomeno Leona rimasero stupiti di vedermi nel giardino - avevano già intuito cosa fosse accaduto non appena si erano svegliati e avevano trovato la finestra aperta - ma dovetti subirmi il loro rimprovero.
    "Pensavamo che te la fossi svignato!" esclamava l'uno, "Non farci mai più uno scherzo del genere" rispondeva l'altra rammaricandosi. Ovviamente, porsi le mie scuse a entrambi.
    Quella giornata africana urbana baciata dal sole sembrava una delle tante, ma sono successe tante cose, di cui conviene parlare.
    Tanto per cominciare, devo dire che passai quasi tutto il resto della mattinata in compagnia della signora Jasmina, la gentile consorte del nostro anfitrione: pareva un pozzo senza fondo di chiacchiere, tuttavia senza essere pettegola come la maggior parte delle comari, dedite al pettegolezzo a Londra così come in ogni parte di Inghilterra, Francia o Italia; apprezzava le chiacchiere come un banchiere apprezzerebbe un bilancio ben riuscito.
    Naturalmente, mi chiese di dirle tutto di me in quelle due ore: le parlai dei miei viaggi per l'Europa, strappandole esclamazioni deliziate; pendeva letteralmente dalle mie labbra con le orecchie, ed era avida di ascoltare: affermava di invidiare molto la mia sorte di viaggiatore, ma aggiunse anche che non avrebbe lasciato mai l'Africa per nessuna ragione al mondo.
    Ovviamente, tralasciai i dettagli di come fossi diventato un orfano, delle azioni orribili che avevo compiuto, dei massacri a Praga, e soprattutto, tacqui sul Progetto "Estremo Rosso": non volevo che si sapesse al di fuori di Praga - a parte la Rupe dei Re, che aveva guadagnato il diritto a sapere - e inoltre, non volevo turbare la mia interlocutrice: aveva l'aria esuberante di una scolaretta, sì, ma anche una personalità sensibile di fronte a sangue e morte; dubito che avrebbe mantenuto la coscienza di sé, qualora le avessi parlato di quegli orrori disumani. Ragion per cui feci molta attenzione nell'uso del lessico e delle parti da narrare.
    Quando ebbi finito con le mie chiacchiere, fu il suo turno di parlare: rimasi sorpreso nel sentire come ella disprezzasse l'alta società, ma dovetti comprendere: era pur sempre una donna locale, discendente di contadini anche se nata in una famiglia ricca.
    Mi intonò anche una poesia molto nota in quelle terre:
    "Bella la notte,
    e il volto della mia gente.
    Belle le stelle,
    e gli occhi della mia gente.
    Bello è il sole,
    bella anche l'anima della mia gente!"

    Non lo nego: riuscì a muovere anche il mio spirito coriaceo come solo pochi erano riusciti, tali quali Meethu e... non nominiamola di nuovo.
    Mi parlò principalmente del suo amore per gli animali: mi disse "Io non vedo le creature della terra come esseri selvaggi e ignoranti signor Mist, anzi, per me sono compagni di vita, amici preziosi che dovremmo trattare con maggiore rispetto, e ai quali chiediamo tanto senza pretendere nulla in cambio"
    Fu allora, che il suo sguardo si poggiò su Meethu, e il suo sorriso infantile si fece più grande e ancora più bello di prima: non mi fu difficile capire perché il Capitano Ferguson l'avesse sposata. Era una donna meravigliosa. E personalmente, concordavo su tutto quello che aveva detto; d'altro canto, dopo aver passato anni in compagni di leoni e leonesse, averci cacciato assieme, combattuto insieme, riso, pianto e cantato assieme, come poteva essere altrimenti?
    "Ed è qui" continuò spensierata, "che entrate in scena voi e il vostro amico: da tempo voglio contribuire alla felicità della mia cara Eleanor, e voi siete il meglio che potesse capitare! Mi dica, signor Mist: è proprio vero che James non si è affatto rivolto a voi per questo?"
    "Affatto" risposi io, sentendomi sinceramente in imbarazzo.
    La reazione di Jasmina Ferguson fu esplosiva: "Ma è meraviglioso!" strillò ridendo di gusto, imbarazzandomi ulteriormente. "Questo è opera del destino, dunque! Io credo molto nel destino, lo sa? Sì, sono certa che è così!"
    Io ero felice di sentirglielo dire, ma quando avanzai la mia curiosità, lei mi zittì prima ancora che avessi completato la mia domanda: aveva già intuito che volevo sapere chi fosse Eleanor.
    Ebbene, dopo pranzo, ella mi disse, l'avrei saputo.


    --------------------------------------------

    Sono lieto di dire che la zuppa di cereali e verdure venne assalita con vivo entusiasmo quel giorno, ma io avevo ancora la testa piena di domande: Cosa stava architettando Jasmina? Nulla di subdolo, naturalmente - da una donna del genere non potevo aspettarmi pugnalate alle spalle. Cosa sarebbe successo se mi fossi trattenuto a Nairobi più a lungo del dovuto? In cuor mio conoscevo la risposta, ma cercavo di non pensarci troppo, onde evitare di apparire turbato a tavola. Ma soprattutto, chi diamine era mai, questa Eleanor così tanto decantata dalla nostra padrona di casa?
    Inghiottì il mio fegato di manzo quasi senza rendermene conto, e sì che io non apprezzo molto il fegato. Nemmeno la sobria, tuttavia eccellente torta di mele riuscì a distogliere la mia mente iperattiva dalle domande che l'affollavano.
    Quando anche la solenne cerimonia del pranzo fu terminata, Ralph se ne andò di filato in cucina a fare i suoi complimenti allo chef, e Leona si ritirò assieme al Capitano per discutere di affari; non dubito che il vecchio Ferguson stesse tramando di prenderla come suo vice, e non sarebbe stata una grande sorpresa: Leona era forte e intelligente, ex caporalmaggiore e veterana di guerra, avvezza al campo quanto alle formalità burocratiche e diplomatiche.
    Ma sapevo bene che non avrebbe potuto smuoverla: Leona amava troppo il suo paese, e lo ama ancora; nessuna offerta avrebbe cambiato la sua filosofia, e Ferguson lo sapeva bene. Per questo la lasciò andare, rispettando i suoi desideri.
    In quanto a me, dopo essermi alzato da tavola, mi riunii a Jasmina e Meethu per riprendere il discorso da dove l'avevamo interrotto; ci condusse all'esterno per una passeggiata digestiva, verso le ore 13:45. Notai che improvvisamente, si era fatta silenziosa, e assaporava l'aria elastica del giardino come una fiera che scruta i dintorni; per un secondo, credetti di aver visto un lampo in quegli occhi luminosi, ma forse era uno scherzo della luce, o forse no?
    Non riuscii a toglierle gli occhi di dosso, quando all'improvviso si fermò, facendomi tentennare, e disse: "Ecco: siamo arrivati, signor Mist"
    Non avevo seguito il percorso, perciò non seppi in quale punto del giardino ci trovassimo: so solo che eravamo nei quartieri dei domestici, tra baracche in pietra calcarea, in mezzo a un vicolo di terra battuta inondato dal caldo sole pomeridiano che splendeva a sud. Non c'erano erbe come nel resto del giardino, e l'aria era satura di polvere.
    Di fronte a noi, c'era una baracca non tanto diversa dalle altre: alta tre metri, larga quattro e profonda sei, tutta in pietra calcarea, di forma puramente netta, con poche piccole finestrelle vicino al tetto; l'unica differenza, era la massiccia porta in legno, tutta cucita a sbarre di ferro: molto pesante, molto difficile da sfondare, e serrata con una cospicua serratura in ferro brunito.
    Prontamente, Jasmina tirò fuori dall'orlo della veste una chiave in ferro, sorretta da una cordicella che le cingeva l'elegante collo. Con abilità troppo capace per essere la prima volta, fece scattare la serratura: ne dedussi che entrasse molto spesso in quella baracca.
    La prima cosa che notai, era il buio che regnava all'interno, considerando che il sole era a sud, mentre porta e finestre davano a ovest; tuttavia, in breve, osservai come la stanza fosse completamente vuota, a parte un cospicuo giaciglio in fondo, fatto di quella che sembrava paglia, con una grossa coperta di lino grezzo stropicciata, buttata in un angolo; sul giaciglio, vidi una sagoma scura, di forme sviluppate e troppo grandi per essere un umano.
    Per poco non mi si staccò la mascella per lo sbigottimento, quando la vidi alzarsi, svegliata dallo scricchiolio della porta; la vidi camminare su tutte e quattro le zampe, e man mano che si avvicinava, dal bagliore degli occhi, dalla forma del muso e della schiena, da tutto insomma, riconobbi le fattezze di una leonessa sui tre anni circa.
    Tuttavia, fu quando ella uscì alla luce che il mio sbalordimento raggiunse il culmine, e la mia mano scattò verso l'ascia che non era più al mio fianco, dato che le avevo affidate al Capitano: per un secondo mi era sembrata Zira.
    Ma guardandola meglio, vidi che non era lei: aveva forme più aggraziate, gli occhi dolcissimi erano marroni, non rossi, il pelo era aranciato e non fumoso, e meravigliosamente liscio, senza dubbio strigliato con una spazzola, e i tratti del muso erano morbidi; il solo tratto che l'accomunava a Zira, era la striscia di pelo bruno sopra la testa che le segnava il sincipite e la fronte.
    Quasi automaticamente, protesi la mano verso di lei, ed ella venne spontaneamente a strofinare la testa e la schiena contro il mio palmo, per poi andare a strofinarsi contro le gambe della sua padrona, perché io avevo intuito che quella belva palesemente addomesticata apparteneva a Ferguson e alla sua sposa.
    Meethu era rimasto sbalordito nel vederla, e si era nascosto - per quanto possibile - dietro alle mie gambe per non farsi vedere.
    Jasmina strinse tra le braccia la fiera testa della leonessa con aria amorevole e familiare, e passò alle presentazioni.
    "Questa Abraham è Eleanor, Eleanor, questi è il signor Abraham C. Mist. Saluta, da brava"
    La splendida creatura eseguì un grazioso inchino di fronte a noi, e con un sorriso che aveva dell'angelico, salutò:
    "Buongiorno, Signor Mist; è un piacere fare la vostra conoscenza"

    TO BE CONTINUED


    Scrivetemi: attendo i vostri commenti.

    Eleanor (Azola by dyb)
    imsdala_mother_of_zira_by_dyb-d5soqk8




    Edited by Gaoh - 5/12/2014, 23:51
     
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  13. Pridelands98
     
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    D'accordo questa volta non ho scuse... quasi un mese di ritardo che vergogna!!! Comunque ora ho finalmente letto il capitolo, bellissimo come sempre e.... sento puzza di nuove coppie in arrivo! :shifty: Credo proprio che Abe e Mheetu abbiano finalmente trovato entrambi l'amore. Ma come hanno fatto Ferguson e sua moglie a prendere una leonessa come animale domestico? xD L'unica soluzione che mi vien in mente è che l'abbiano acquistato in zoo.
    Grandissimo come sempre Gaoh, continua così. Davvero, non riesco mai a trovare un punto dove puoi migliorarti...
    P.S.

    I nomi Ferguson ed Eleanor sono per caso un tributo a Ribelle - The Brave?

     
    .
  14. Mheetu
     
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    Dai continua
    [SPOILER][/SPOILER]
    scusa nn ti metto fretta
     
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  15.  
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    Speravo tanto di ricevere dei commenti che fossero alcuni...
    Ma comunque, prima di postare, puntualizzo un paio di cose:
    Con questo capitolo siamo ancora in alto mare come prima;
    E Pridelands, hai intuito giusto solo a metà: Meethu e Eleanor saranno una coppia, ma Jasmina è la moglie del Capitano Ferguson.

    E ora, finalmente, posso postare.

    Capitolo 11: I figli della terra
    Villa di Ferguson
    Giovedì, 10 luglio 1998, 13:20


    Con mia grande sorpresa, Eleanor non era affatto turbata da vedere Meethu, anche se lui era rimasto decisamente sorpreso e inebetito. e a ben donde: intuivo che quando Jasmina aveva detto "lo avete portato qui per Eleanor" senza dubbio si riferiva al fatto che le avessimo provveduto un compagno: possibile che i due coniugi stessero pensando di allevare dei leoni da rilasciare in seguito in natura? Potevo solo immaginare che cosa passasse in testa a quella gente: anni e anni passati tra i leoni mi avevano insegnato che essi sono molto più di quanto ci si possa immaginare, ma sentivo che forse si stava andando un po' troppo in fretta.
    Ragion per cui decisi di protestare, con cordialità naturalmente.
    "Signora mia... non nego che sia un'animale stupendo, la vostra Elanor, però... non credete che sia..."
    "Azzardato?" completò lei prima che io potessi finire. "Non sia sciocco signor Mist; Elanor sapeva bene che un giorno anche per lei sarebbe arrivato il momento; ne ho parlato tante volte con James, e lui è pienamente d'accordo con me"
    Preoccupato per il risvolto, volsi lo sguardo verso Meethu, che appariva ancora rigido come un ciocco di legno, ma notai che i suoi occhi non facevano altro che fissare Eleanor: dovetti considerare il fatto che il mio felide amico si stesse interessando, e sospirai.
    "Allora direi che possiamo lasciarli soli, se vuole" proposi, sentendo in cuor mio che la situazione sarebbe presto uscita dal raggio della mia competenza. La signora Ferguson mi fece l'occhiolino e rise. "Ma naturalmente signor Mist: sapevo che anche lei avrebbe capito!"
    Naturalmente, io non intendevo quello, ma lasciai correre: con una donna frizzante come Jasmina Ferguson non c'era da metter voce.
    Quando cominciai a camminare, il mio leone rimase dov'era, seduto; non poteva andare meglio: con un po' di fortuna, chissà, sarebbe riuscito a lasciarmi andare, e dedicarsi alla sua vita. In un certo senso, mi sentivo contento per lui. Forse ora mi sarei potuto concentrare di più sul mio futuro.
    Per l'appunto, non appena mi sentii abbastanza distante dai due, ripresi a parlare:
    "Allora, mi dica, dove si trova il Capitano? Vorrei parlare con lui"
    "Credo che in questo momento sia in terrazza: vi ci accompagno subito"
    E con la sua esuberante naturalezza, mi accompagnò di nuovo attraverso la sontuosa villetta.
    Dopo aver percorso non meno di sette corridoi e salito due rampe di scale, arrivammo alla terrazza, ombreggiata dal vistoso tendaggio e che dava sulla savana a ovest; una vista incantevole.
    James Ferguson era seduto su una seggiola traforata di legno di mogano, con un libro tra le mani. Sorrise nel vederci entrare.
    "Ah, signor Mist, è già di nuovo qui? Confido che abbia conosciuto Eleanor e che le sia piaciuta."
    "Un animale incantevole"
    "Senza alcun dubbio" rispose il vecchio veterano, chiudendo il libro e appoggiandolo sul tavolino. "E' con noi fin da quando era una cucciolotta di appena quattro settimane, un'orfanella. Vuole che le parli di lei?"
    "Potrò chiederlo direttamente a lei più tardi, nessun problema."
    "Intrigante" disse lui, fissandomi. "Tutto questo tempo passato con gli animali le permette di capirli?"
    "Più che abbastanza, sir."
    "Bene!" disse ad un tratto la signora Ferguson con solenne gaiezza. "Ora, direi che posso andare; devo assolutamente passare dal sarto a recuperare il vestito per il ballo. Ci vediamo più tardi, caro" continuò uscendo con un passo che rassomigliava il valzer. "Il mio lavoro l'ho fatto: ho riunito voi due uomini di mondo. A stasera!"
    E con quella uscì.


    --------------------------------------------

    Quando fu uscita, mi sedetti al tavolino per parlare con il Capitano: c'erano molte cose che dovevo dirgli e avevo un piano preciso da seguire, tuttavia, una domanda mi era appena sorta.
    "Ballo?"
    "Tipico di mia moglie: lei adora le feste e i ricevimenti. Il mese prossimo ci sarà un ballo al municipio, e vorrei che ci foste anche voi e i vostri amici, sempre che le vada bene."
    Non avevo mai partecipato a un evento mondano in vita mia, ma essendo pur sempre un britannico purosangue di madrepatria, non potei dire di no.
    "Tuttavia" aggiunsi, "temo di non avere un abito da cerimonia adatto..."
    "Quisquilie!" tuonò lui gioviale. "Il suo smoking andrà più che bene, gliel'assicuro!"
    Risi a mia volta, prima di tornare su argomenti più seri.
    "Sir Capitano, vorrei che lei mi dicesse tutto quello che può su Clark Thrive."
    L'espressione del Capitano si fece seria.
    "Se non può dirmelo... va bene."
    "No... è giusto che sappia anche lei..." Faceva fatica a parlare, come se gli provocasse dolore. "Deve sapere, Abraham, che Clark non è mai stato un soldato come gli altri. Era ambizioso... molto ambizioso, e con un talento naturale. Tutti dicevano che avrebbe fatto carriera, e infatti ha scalato le gerarchie molto più in fretta di chiunque altro: dopo essere diventato Sergente Maggior ha mietuto un successo dopo l'altro, acquistandosi i favori delle alte sfere."
    Passò altre tre ore a narrarmi delle attività del tremendo ufficiale decaduto, fino a elencarne le qualità personali come se fosse in trance. "Non c'era nulla in cui lui non eccellesse... strategie tecniche, manovre d'assalto, direzione delle operazioni... improvvisazione... spirito osservativo... un genio, signor Mist, un genio!"
    "Un genio mutatosi in folle." replicai, di fronte all'angoscia del mio interlocutore. "Ha cercato di creare dei supersoldati."
    Il Capitano Ferguson deglutii a vuoto. "Dopo essere diventato Colonnello, si è - per come dire - montato la testa. Pensava di poter fare qualunque cosa, soprattutto ora che godeva della piena fiducia dei capi al Pentagono: ma quando presento quell'idea così impensabile, così... così..." Non gli veniva la parola, ma io sapevo come poteva essere descritta.
    "Anormale?"
    "... sì. Era spaventoso l'idea che volesse creare un esercito con qualità superiori: naturalmente, i capi non vollero averci nulla a che fare, e lo espulsero dal Pentagono, declassandolo a ufficiale di stanza a Washington DC come capo assistente alle forze di polizia."
    Annuii: tutto quadrava con quello che avevano detto Ralph e Leona.
    "Ma non ha mai smesso di progettare: questo è un segreto che nessun uomo vivente conosce, ma a lei lo posso dire, Capitano" mi avvicinai perché solo lui potesse sentire. "Il suo Progetto è andato in porto: Clark Thrive ha creato dei supersoldati."
    Per la prima volta, James Ferguson fu preso dal panico. Il suo volto bronzino sbiancò, e la sua mano tremò di paura.
    "Ma... ma questo è..."
    "Inaudito, lo so: è ancora più incredibile pensare che proprio quel supersoldato le sta dicendo tutto ora."
    "Signor Mist... lei... lei è..."
    "Sono stato un incosciente accecato dalla collera, Capitano: volevo vendicarmi per quello che è successo a Mina."
    "Giusto cielo! E ora lei..."
    "Non le palerò ulteriormente di questo progetto. Voglio solo una risposta e una mano da parte sua, se le sarà possibile."
    "Io... I-io... farò il possibile."
    Lo avevo spaventato, e certo, non sarebbe stato facile calmarlo, ma dovevo proseguire.
    "Ottimo allora. Per prima cosa voglio sapere: dove si trova Clark Thrive in questo momento?"
    Il Capitano tentennò: "Dove si trova? A Praga, naturalmente: è stato imprigionato sotto la città in un carcere di massima sicurezza, e non può essere evaso, dico bene?"
    Questo non quadrava: secondo quel che aveva detto Mizuki, era fuggito e aveva ripreso in mano il Progetto Estremo Rosso. Non lo dissi a voce alta per timore di allarmare ulteriormente il Capitano.
    "Se mai dovesse evadere, sarebbe un grande rischio Capitano, non solo per Nairobi, ma anche per il mondo intero. Ed è per questo che mi serve aiuto"
    "Sono tutto orecchi" fece lui a mezza voce, sudato e con gli occhi sgranati.
    "Come avrà intuito, grazie alle facoltà acquisite con il Progetto, sono praticamente il solo che possa affrontarlo: presto dovrò lasciare la città per tornare a Londra, ma avrò bisogno di armi se voglio occuparmi di Thrive e dei suoi piani. Voglio che lei mi procuri tutto il necessario e un mezzo per tornare a Londra in possesso di armi."
    Il Capitano riprese un po' di serietà, e stavolta pareva addirittura arrabbiato. "Quello che mi sta chiedendo è rischioso, Abraham: nemmeno in situazioni straordinarie sarebbe facile come dice lei, e se vuole mantenere la massima segretezza...!"
    "E' necessario che resti segreto, ragion per cui, lei non farà parola con nessuno di tutto questo! E' me che lui vuole, non Nairobi. Non è lei che gli ha falciato via un occhio, ma io. Non si fermerà mai, e se non lo arresterò io nessuno lo potrà!"
    "Ci vorranno giorni, anche con tutto l'appoggio possibile!" mi rimproverò lui con aria grave. "Dovrà attendere ancora molto se vuole che questa storia funzioni!"
    Sospirai: temevo che sarebbe andata così, ma non protestai; meglio non poteva andare.
    Salutai il Capitano e mi ritirai per tornare da Ralph e Leona al Motel. Mentre uscivo dal giardino, mi parve di vedere due figure che camminavano tra i cespugli vicino al portone: dovevano essere Meethu e Eleanor che conversavano, e di fatto sentivo delle voci. Ancora una volta, mi sentii contento per lui: speravo seriamente che funzionasse tra di loro.
    Passai il resto della serata in silenzio, senza preoccuparmi di Ralph o di Leona che mi offrivano la cena - che consumai in silenzio - o di Meethu che tornò soltanto due ore dopo di me.
    Entrai in dormiveglia, ma non riuscii a prendere vero sonno: non che non ne avessi bisogno, ma ne ero incapacitato.
    Sentivo che Clark Thrive, il mio più grande nemico era lì fuori, da qualche parte, e fintanto che lo sapevo libero e pronto a tutto, non mi sarei sentito al sicuro, nemmeno se fossi stato nella fortezza più inespugnabile del Paradiso, e lui nella fossa più profonda dell'Inferno.

    TO BE CONTINUED


    Attendo i vostri commenti.
     
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98 replies since 9/6/2014, 22:59   3124 views
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