The Lion King Forum

Posts written by ¬ Ellen •

  1. .
    CITAZIONE (s@ssi @ 4/11/2010, 23:34) 
    .......so che è un film......ma..........non è carino il protagonista??? xD

    QUOTO XD
  2. .
    CITAZIONE (Zio Brontolo @ 12/12/2010, 01:18) 
    grazie a tutti per questo splendido benvenuto 1000 grazie a voi tutti amici miei grazie 1 particolare anzi 2 vanno a colei che mi a presentato e serafina e poi il mio caro compare ateyo vi amo amici miei grazie...

    Hihihi figurati Brontolo =D Kiss <3
  3. .
    image
    Oggi parliamo di pupazzi, bambole e orsacchiotti. Come dite? Non vi mettono paura? Aspettate un secondino e cambierete idea.
    Dovete entrare nel museo tutto speciale di John Zaffis, guardare i giocattoli che il suddetto esperto d’occultismo ha raccolto nel corso degli anni, e ascoltare la storia di ciascun oggetto. Dietro quei volti di plastica dipinta e quei musetti di peluche ci sono forze malefiche al lavoro, energie negative che, prima di arrivare al museo, causavano svariati fenomeni paranormali che spaventavano a morte i proprietari.
    Prendiamo il pupazzo Simon, per esempio. Si tratta di uno di quei fantocci con la bocca mobile che i ventriloqui tengono sulle ginocchia. Non è un bambolotto meccanico, c’è bisogno di una mano per fargli muovere la bocca, questo va sottolineato prima di proseguire. Simon è vestito di tutto punto, ha due occhi spiritati e le lentiggini. A prima vista, piuttosto simpatico. A prima vista. Il bimbo a cui è stato regalato comincia a lamentarsi del fatto che Simon vuole parlare con lui di continuo. I genitori sorridono: il frugoletto ha una fervida fantasia e ha volontariamente fatto diventare il suo amico di plastica un bel chiacchierone. Poi, un giorno, la mamma si ferma sulla soglia della cameretta del figlio e lo sente parlare. Quando mette piede nella stanza non lo trova con Simon sulle ginocchia, ma ben lontano dal pupazzo che, all’angolo opposto del locale, muove la bocca da solo. Che brividi. Il seguito della storia è facilmente intuibile: Simon viene sfrattato dall’abitazione e accolto nel museo di Zaffis dove tutt’ora se ne sta a fissare il nulla come un mentecatto dentro una teca di vetro.

    image
    Prendiamo l’orsacchiotto tutto bianco di nome Oscar. Viene sempre ritrovato nei posti più disparati della casa, posti in cui non era stato lasciato in precedenza. Poca cosa, rispetto all’episodio che fa rizzare i capelli in testa a tutti i membri della famiglia, riuniti a guardare la tv, la sera in cui lo si vede ruzzolare giù dalle scale. Al piano superiore non c’è nessuno. La famiglia passa il peluche a Zaffis, richiede un esorcismo per l’abitazione che, poco tempo dopo, abbandona.

    Prendiamo la vecchia bambola, senza nome, con gli occhi azzurri e i capelli biondi che una restauratrice di giocattoli non è riuscita a riparare perché “avvertivo una sgradevole sensazione ogni volta che la toccavo.” E via anche lei, un’altra cliente per Zaffis.

    Prendiamo Mister Bojo, un pupazzo molto antico, di stoffa grigia, cucito alla meno peggio, con un sospetto passato da bambola woodoo. L’ultima proprietaria, dopo averlo acquistato in un negozio d’antiquariato, ha vissuto momenti di terrore: le porte della casa si chiudevano e aprivano da sole, le luci si spegnevano e accendevano, orrendi incubi la tormentavano di notte. Riguardo a questo oggetto, John Zaffis non ha alcun dubbio: non è stato costruito per il diletto di un bambino, ma per scopi malefici.

    Prendiamo il clown con la faccia di ceramica e il corpo imbottito d’ovatta, i cui occhietti maliziosi guardano eternamente verso sinistra ma sembrano pronti a muoversi nella vostra direzione in ogni momento. Chi ne ha dipinto il volto ha voluto dotarlo di un’espressione birichina che sembra voglia dire: “Se solo sapessi cosa ho in mente…” Qualcosa deve averla intuita la sensitiva amica di Zaffis, esperta in psicometria (la capacità di ricevere sensazioni da un oggetto attraverso il tatto) nel momento in cui lo ha lasciato cadere dopo averlo tenuto tra le mani appena un momento. L’ultima acquirente lo ha spedito al museo perché non ne poteva più degli incubi che aveva regolarmente quando il clown si trovava nella sua stanza.

    Nel museo non ci sono solo giocattoli, ma anche oggetti comuni (ma che comuni non sono) come l’orologio a pendolo ereditato da un nonno che, in vita, non era molto simpatico. Odore di pipa e correnti d’aria gelida attorno all’orologio, nonché la sgradevole sensazione di una presenza malefica in casa. Rimosso l’orologio, rimosso il problema. Per gli amanti della musica c’è il piccolo organo che un restauratore (al pari della restauratrice di bambole) non è stato in grado di rimettere in sesto per via del malessere psicofisico che lo coglieva ogni volta che si avvicinava allo strumento. La decisione di regalarlo a Zaffis è stata presa una sera quando, lavorando su altri strumenti fino a tarda notte, ha sentito l’organo suonare per conto proprio. Chi ha un debole per i cimeli militari può godersi l’antica giacca che pare regali stranissime sensazioni quando indossata. L’ultima persona a infilarla è stata una ragazza che ha sfiorato l’esaurimento nervoso: stregata dalle voci e dai suoni che udiva, non poteva più fare a meno di mettersela. Resasi conto che l’attendeva una veloce discesa verso la follia, si è sbarazzata dell’indumento. Per il nostalgico dei tempi della scuola c’è la classica sedia da auditorium (di quelle con annessa la tavoletta per scrivere) versione old-style (legno scrostato) che sembra sia in grado di muoversi in giro per la stanza appena qualcuno ci si siede.

    Prima di entrare a far parte ufficialmente del museo, gli oggetti vengono sottoposti a un rituale religioso di “purificazione”. I più resistenti sono rinchiusi in una teca di vetro, come Simon. Malgrado tali precauzioni, molti visitatori dichiarano di avvertire un’atmosfera malsana e, spesso, i più sensibili escono precipitosamente.
    Nessuno conosce il passato di questi giocattoli e oggetti di uso quotidiano. L’ipotesi è che i primi detentori, li abbiano “imbevuti”, giorno dopo giorno, di brutti pensieri e di brutte emozioni. Rabbia, odio, tristezza, paura. Quale positività possono generare tali stati d’animo? Nessuna. Ambienti e cose, si dice, sono in grado di trattenere l’energia e conservarla a lungo. E quando capitano tra le mani di una persona che riesce ad avvertirla, ne stravolgono l’esistenza.

    Sto per terminare questo articolo e mi volto a guardare il mio vecchio orso di peluche. Che ce l’abbia con me per tutte le volte che, da piccola, l’ho trascinato per un orecchio? No, non mi sto lasciando suggestionare. Ma scherziamo? Quale persona adulta e razionale sono perfettamente consapevole che non potrebbe mai… non è in grado di… è solo un giocattolo, in fondo.

    Okay, lo chiudo nell’armadio. E se comincia a fare strani scherzi, lo regalo al signor Zaffis.

    Il museo paranormale di John Zaffis
    Articolo inserito da Laura Cherri e pubblicato il 24/11/2006
    www.latelanera.com
  4. .
    image
    Una mente sola per due corpi
    All'età di sei anni Jim Lewis seppe che in giro per il mondo aveva un fratello gemello identico a lui. La mamma, una ragazza madre, li aveva dati in adozione subito dopo il parto, nell'agosto del 1939. Jim era stato adottato da una coppia di nome Lewis a Lima, nell'Ohio; il fratello, dalla famiglia Springer di Dayton, sempre nell'Ohio. Singolarmente, tutti e due erano stati chiamati Jim dai genitori adottivi. Nel 1979, all'età di trentanove anni, Jim aveva deciso di mettersi sulle tracce del fratello gemello. Il tribunale dei minori che si era occupato del caso aveva collaborato in modo decisivo e così dopo sole sei
    settimane Jim Lewis bussava alla porta di casa di Jim Springer a Dayton.
    Nel momento in cui si erano stretti la mano si erano sentiti così uniti e vicini che sembrava non fossero mai stati divisi. E quando presero a raccontarsi le loro vite venne fuori una serie di coincidenze a dir poco strabilianti. Tanto per incominciare, avevano gli stessi problemi di salute. Ambedue si mangiavano le unghie con accanimento e soffrivano di insonnia. Tutti e due per un certo periodo a diciotto anni avevano incominciato a soffrire di emicrania, fastidio che li aveva lasciati nello stesso periodo. Ambedue avevano problemi di cuore e di emorroidi. Avevano lo stesso peso, ma avevano messo su qualche chilo di troppo nello stesso anno, per poi riuscire a smaltirli nello stesso periodo. Tutto questo sembra indicare che la programmazione genetica è qualcosa di assai più preciso e complicato di quanto si immagini. Ma la sommatoria delle coincidenze andava ben oltre gli aspetti genetici. Tutti e due si erano sposati con donne di nome Linda, erano separati, e risposati in seconde nozze con compagne di nome Betty. Avevano chiamato i figli James Allan e avevano un cane di nome Toy. Ambedue avevano avuto esperienze lavorative come assistente dello sceriffo, benzinaio e addetto in un locale McDonald. Tutti e due trascorrevano le vacanze estive sulla stessa spiaggia della Florida; fumavano la stessa marca di sigarette e avevano attrezzato la cantina per eseguire lavori di riparazione e costruzione di piccoli mobili... I due erano affascinati l'uno dall'altro, non soltanto a causa di tutte quelle incredibili identità, ma anche perché l'affinità si sviluppava pure sul piano mentale. Quando uno iniziava a dire qualcosa l'altro finiva la frase con le stesse parole che avrebbe usato il primo. Il loro ritrovarsi divenne oggetto di grande interesse presso i mass media e i due fratelli erano comparsi come ospiti d'onore a molti popolari show. Uno psicologo del Minnesota, di nome Tom Bouchard, venne così coinvolto dalla loro storia da riuscire a persuadere l'università a stanziare fondi per una ricerca scientifica sul mistero dei fratelli gemelli. La prima operazione era stata quella di mettersi alla caccia di coppie di gemelli che il destino aveva separato in tenera età e che da allora non si erano mai più incontrati. Nel primo anno di ricerca Bouchard e il suo team riuscirono a scovare trentaquattro coppie di gemelli. E anche in questi casi vennero fuori le coincidenze più incredibili, tali da non poter essere in alcun modo spiegate a livello scientifico. Due gemelle inglesi, incontratesi quando ormai erano donne sulla trentina, si erano sposate nello stesso giorno a un'ora di distanza l'una dall'altra. Altre due, avevano tenuto un diario per un solo anno, il 1962, e lo avevano chiuso nello stesso giorno. Tutte e due da piccole suonavano il piano, ma avevano smesso nello stesso momento; andavano ambedue pazze per la bigiotteria. Al pari di questa, tutte le altre ricerche successive sui gemelli separati hanno sempre rivelato coincidenze impressionanti. I gemelli identici, come si sa, sono quelli che nascono dalla scissione dello stesso ovulo. I loro geni sono pertanto identici, il che significa possedere occhi, orecchie, labbra e persino impronte digitali perfettamente eguali. Il termine scientifico per indicarli è monozigoti, o MZ per brevità; mentre quelli nati da due ovuli differenti sono detti dizigoti, o DZ. L'alto grado di complementarietà e identificazione si riscontra soprattutto presso il primo gruppo, dove le somiglianze sono a volte indistinguibili. Per esempio, due coppie formate da gemelli divisi avevano figli maschi che si chiamavano rispettivamente Richard Andrew e Andrew Richard. Ambedue usavano lo stesso profumo, lasciavano la porta della camera da letto socchiusa, collezionavano giocattoli di pezza e avevano gatti che si chiamavano Tigre. Il test di intelligenza rivelò valori assolutamente identici. Barbara Herbert e Daphne Doodship erano le sorelle gemelle di una ragazza madre di origine finlandese. Alla nascita erano state adottate da due diverse famiglie. Le due madri adottive erano morte in modo prematuro quando loro erano ancora piccole. Tutte e due all'età di quindici anni erano cadute dalle scale e si erano rotte un'anca, avevano incontrato l'uomo che sarebbe diventato il loro marito a una festa da ballo quando avevano diciassette anni e si erano sposate a venti. Ambedue avevano avuto degli aborti e per tutte e due la sequenza naturale dei figli sarebbe stata di due maschi seguiti da una femmina. Il quadro sanitario era identico. Un soffio al cuore e la tiroide un po' ingrossata. Tutte e due leggevano la stessa rivista femminile ed amavano la stessa scrittrice di romanzi rosa. La prima volta in cui si erano ritrovate si erano presentate all'appuntamento con la stessa tinta dei capelli, un colore castano chiaro con dei riflessi ramati, erano vestite con un abito color crema, una giacca di velluto scura e una sottoveste bianca.
    Nel 1979 Jeanette Hamilton e Irene Read scoprirono contemporaneamente di avere una sorella gemella e contemporaneamente si misero alla ricerca l'una dell'altra. Ritrovatesi, scoprirono che tutte e due soffrivano di claustrofobia e di timor panico per l'acqua, tanto che quando erano in spiaggia erano solite sedersi voltando le spalle al mare. Ad ambedue non piaceva la montagna, soffrivano di un dolore reumatico che pativa il tempo umido nello stesso punto di una gamba; da giovani avevano guidato gruppi di scout e per un certo periodo avevano lavorato per la stessa ditta di cosmetici. Un'altra coppia di gemelli identici, questa volta di sesso maschile, studiata da Bouchard era vissuta in ambienti così diversi da non presentare neppure un punto in comune. Oscar Stohr e Jack Yufe erano nati a Trinidad nel 1933. Immediatamente i genitori si erano separati e ciascuno se n'era andato per la propria strada prendendosi un bambino. Oscar era approdato in Germania ed era diventato un affiliato al movimento filo nazista; mentre Jack era stato allevato con un'educazione ebreo ortodossa. Si incontrarono per la prima volta nel 1979 all'aeroporto, per scoprire che ambedue portavano un paio di occhiali dalle lenti squadrate, una canottiera blu e basette identiche. Una comparazione più dettagliata evidenziò molte altre coincidenze significative nel loro modo di vivere. Ambedue erano soliti tirare l'acqua del gabinetto prima e dopo l’uso, portavano delle fasce elasticizzate ai polsi e amavano pranzare da soli al ristorante per poter leggere il giornale indisturbati. La cadenza del loro modo di parlare era identica, anche se uno parlava solo tedesco e l'altro inglese. Avevano la stessa andatura e lo stesso modo di stare seduti; lo stesso senso dello humour: per esempio, starnutire apposta con grande fragore mentre erano in ascensore con altre persone, per ridere sotto i baffi alle diverse reazioni. Ovviamente è molto difficile, per non dire impossibile, riuscire a spiegare queste "coincidenze" senza pensare immediatamente a una qualche forma di telepatia - che è una sorta di collegamento invisibile fra i due gemelli - capace di funzionare alla perfezione anche a grande distanza. Non per niente, Jung, a cui dobbiamo l'invenzione del neologismo "'sincronicità" per significare una "coincidenza significativa'', accettava volentieri l'ipotesi telepatica, tanto è vero che nelle sue molte biografie aneddoti di questo tipo vengono fuori numerosi. Eppure anche la più potente forma di telepatia non riesce a dare ragione di come due sorelle lontane possano incontrare il rispettivo marito nello stesso giorno e in circostanze simili oppure lavorino a chilometri di distanza per la stessa casa di cosmetici. In questi casi, anche le coincidenze significative sembra debbano lasciare il passo a qualcosa di ancora più forte, come, per esempio, l'idea di "destino individuale" o ciò che il professor Joad ebbe una volta a definire come «l'impenetrabile singolarità del tempo». Ammesso che certe persone abbiano veramente la capacità di prevedere il futuro, sia in stato di veglia che di sonno, ciò significa che in qualche modo a noi ignoto tutto è già "programmato", come un film che già è stato girato. Se, dunque, la vita di un uomo è qualcosa di programmato, allora a maggior ragione quella di due fratelli gemelli identici - specie se monozigoti - potrebbe benissimo seguire tracce di coincidenze esistenziali...
    Molti altri casi analoghi hanno dimostrato l'esistenza certa della telepatia. Nel 1980 due gemelle identiche si presentarono presso il tribunale di New York. Il loro comportamento era uno spettacolo straordinario, che non mancò di suscitare un grande interesse nei mass media. Facevano gli stessi gesti nello stesso istante, portavano la mano alla bocca contemporaneamente e così via. Le due sorelle Chaplin, Preda e Creta, erano venute a trovarsi in dibattimento per un motivo davvero strano: una storia che le accomunava con un certo Ken Iveson, un camionista vicino di casa che avevano perseguitato per oltre quindici anni. Le due avevano uno strano modo di mostrargli il loro amore, continuando a ingiuriarlo e a picchiarlo con le borsette. Quando la faccenda aveva superato ogni limite, l'uomo non ce l'aveva più fatta e si era rivolto al tribunale per ottenere giustizia. La pubblicità sollevata dal caso rinfocolò l'attenzione sulle ricerche sui gemelli. L'ossessione che le due donne mostravano nei confronti del signor Iveson venne riconosciuta come una erotomania, una condizione nella quale il paziente si abbandona a sentimenti di melanconia e tristezza a causa di un'affezione amorosa. Esami clinici rivelarono che le gemelle erano subnormali, anche se questa deficienza si era manifestata soltanto negli ultimi tempi. A scuola erano lente, ma non somare, e gli insegnanti le descrivevano come attente, compite e tranquille. Per il giudice che ebbe a sentenziare, tutto questo era colpa della madre adottiva. «È evidente che la madre non ha mai consentito loro di vivere come due entità separate e distinte». Si vestivano sempre allo stesso modo e non avevano amici. Nei gemelli, soprattutto in quelli monozigoti, è fortissimo l'impulso detto dell'immagine speculare". (Il che significa che se uno è mancino, l'altro è destro; se uno pettina i capelli verso sinistra, l'altro lo fa verso destra e via dicendo). Se uno dei due porta un bracciale al polso sinistro, l'altro lo porta al destro. Ad un certo punto della vita le due gemelle Chaplin avevano deciso di lasciare la casa dove erano cresciute, senza che né la madre né, tanto meno, loro stesse, sapessero perché. A trentasette anni erano ancora nubili e senza lavoro. Vivevano nella stanza di un residence. Preparavano da mangiare insieme, tenendo tutte e due il manico della pentola, vestite da casa nello stesso modo. Se, per caso, gli abiti identici che indossavano avevano però bottoni di diverso colore, li distribuivano in modo tale che anche quel particolare fosse identico per tutti e due i vestiti. Nel caso di due paia di guanti diversi, li spaiavano per indossarne alla fine un paio identico; se le saponette che il residence forniva non erano uguali, le spezzavano in due. Ad un giornalista che le intervistava dissero che loro due avevano una sola testa, perché erano una persona sola. Una sapeva dire esattamente che cosa stava passando nella mente dell'altra. Il loro "comportamento simultaneo" dimostrava l'esistenza di una forte componente telepatica. A volte litigavano. Dopo essersi colpite con le identiche borsette, si tenevano il broncio per ore. Ma, al di là di tutto questo, ciò che emergeva su ogni cosa era il fatto che vivevano escludendo il mondo esterno, rintanate in un loro universo intimo e privato dove esistevano solo loro due.
    Due gemelle californiane, Grace e Virginia Kennedy, avevano messo a punto un linguaggio segreto che consentiva loro di capirsi al volo. Avevano incominciato a usarlo da piccolissime, sin da quando avevano meno di due anni. Nel J977, all'età di sette anni, un logopedista di San Diego si era interessato ai loro linguaggio segreto, scoprendo che in parte consisteva di parole completamente inventate come, per esempio, "nunukid" e "pulana" - e in parte in una mistura di parole in tedesco e inglese storpiate (i genitori provenivano infatti da questi paesi). Fra loro si chiamavano Poto e Cabenga e quando parlavano la loro lingua occulta lo facevano con straordinaria fluidità. Ovviamente la vita le costringeva a parlare l'inglese, ma non fecero mai a meno dell'idioma di loro invenzione, che rifiutarono sempre di spiegare, forse anche perché non erano in grado di farlo.
    Uno dei casi più singolari in cui sono coinvolti due gemelli identici è questo: Michael e John, conosciuti molto semplicemente come "i gemelli", erano cresciuti in istituti governativi sin da quando avevano sette anni (nel 1947). Erano stati diagnosticati autistici, psicotici e gravemente ritardati. Tuttavia possedevano un'abilità eccezionale: la capacità di dire all'istante in quale giorno della settimana cadeva una determinata data, sia nel passato che nel futuro. Se, per esempio, qualcuno chiedeva loro che giorno era stato, che so, il 2 giugno del 55 d.C., in un attimo arrivava la risposta: «mercoledì» e non c'era tema che sbagliassero. Erano, secondo Sachs, come due oggetti animati esattamente identici, stessa faccia, stesso comportamento, stessa personalità, stesso cervello malato. Portavano occhiali così spessi da non lasciare quasi scorgere gli occhi. Riuscivano a ripetere a memoria, dopo averli ascoltati una sola volta, elenchi di numeri incredibili, a volte fino a trecento. Non erano però dei ''calcolatori prodigio", capaci, come a volte capita di trovare, di moltiplicare mentalmente grandi numeri fra loro o di estrarre la radice quadrata da numeri di venti cifre. Tuttavia, un giorno davanti a una scatola di fiammiferi improvvisamente rovesciatasi, ambedue simultaneamente avevano bisbigliato «111», numero che, naturalmente, si era rivelato corretto. Un giorno Sachs li aveva trovati seduti in un angolo, il viso illuminato da un sorriso di soddisfazione, intenti a trascrivere numeri di sei cifre. Sachs ne aveva annotati alcuni e una volta a casa, consultato un libro di tavole matematiche, aveva scoperto trattarsi tutti di numeri primi, vale a dire quei numeri che non possono essere divisi per nessun altro numero se non per uno e per se stessi. Ora, la cosa incredibile consiste nel fatto che per poter riconoscere un numero primo come tale, l'unico modo per farlo è provare a dividerlo per tutti i numeri inferiori che lo precedono, mettendo in atto un processo matematico lunghissimo nel caso di numeri a molte cifre. Dunque i due gemelli riuscivano a riconoscere i numeri primi senza sforzo apparente. Il giorno dopo Sachs era nuovamente andato a trovarli e si era seduto nella loro cameretta. All'improvviso aveva interrotto i loro giochi e aveva mostrato un numero primo formato da otto cifre (ovviamente preso dal testo di matematica consultato). Dopo un brevissimo istante di attenzione, i due gemelli avevano sorriso all'unisono, quindi in men che non si dica gli avevano sciorinato davanti agli occhi un numero di nove cifre. Sachs allora era passato al contrattacco con un altro da dieci. Di nuovo, lasciato trascorrere un momento di esitazione, John gliene aveva proposto uno da venti cifre, che Sachs non aveva potuto controllare, dal momento che il suo testo arrivava solo fino a numeri primi composti da dieci cifre, ma era sicuro che non si sbagliavano. Un'ora dopo erano ancora intenti a scoprire numeri primi da venti cifre. Che cosa era successo nella testa dei gemelli nei brevissimi istanti in cui erano rimasti perplessi quando Sachs aveva mostrato loro il numero primo di otto cifre? L'unica cosa che si può immaginare è che si siano sforzati di vedere, vale a dire di osservarlo sotto qualche forma, diciamo così simmetrica, in fine di verificare se avesse le proprietà del numero primo. Alcune persone dicono di visualizzare i numeri in modi singolari. Il 9 o il 16, per esempio, lo vedono come una serie di punti disposti nel primo caso a tre per tre su tre linee parallele e nel secondo a quattro per quattro su quattro linee. Forse i gemelli riuscivano a compiere questa operazione istantanea su vasta scala. Questo ci offre un importante spunto di riflessione. Sappiamo che i due emisferi del nostro cervello presiedono a funzioni differenti. Il sinistro può essere definito scientifico, il destro artistico. Il primo concerne la logica e il linguaggio, il secondo l'intuizione e l'interiorità. Il sinistro vede il mondo con un occhio ristretto, una visione che potremmo definire "del verme"; il destro allargato, nel tipo di visione che possiamo definire "dell'uccello". Nella nostra attuale civiltà è la visione del sinistro a prevalere. È qui che risiede il mio senso di identità, così che quando uso la parola "io", so per certo che a parlare è il lobo sinistro. Nella maggior parte degli uomini le potenzialità del lobo destro - come, per esempio, la capacità di distinguere le forme - è limitata, soverchiata da quella del lobo sinistro. Nel caso dei gemelli in questione è invece chiaro il contrario: l’attività della parte sinistra è limitata, mentre le potenzialità della destra si sono sviluppate in ragione di centinaia di volte rispetto al resto di noi. Una delle lezioni che sicuramente lo studio dei gemelli identici ci impartisce, sta nel riconoscere che la continua, instancabile attività del lobo sinistro tipica della nostra civiltà, ha quasi totalmente bloccato la manifestazione dei poteri, chiamiamoli "naturali" della parte destra e la capacità di osservare il mondo con l'occhio di "un uccello", ossia con un telescopio invece che col microscopio, come siamo soliti fare. E casi eccezionali come quello ricordato dei gemelli Jim - in cui le stesse cose accadute a uno sono accadute anche all'altro, pur non essendosi mai incontrati e pur trovandosi a chilometri di distanza - sembrano ricordarci l'esistenza di leggi e codici preposti a sovrintendere agli accadimenti della vita di cui né scienziati né filosofi hanno anche solo lontanamente immaginato o previsto l'esistenza.

    www.misterieleggende.com
  5. .
    image
    Il Forte Sperone, in passato il più importante dei forti genovesi, sorge sulla sommità del monte Peralto e domina la città di Genova dal XVI secolo.
    All'interno delle sue mura si aggirerebbero alcuni fantasmi: quello di un bruto, di un cane nero e di una pastorella.

    La loro storia è antica, tragica e sanguinaria.

    Nel VII secolo una giovane e bella pastorella portò il suo gregge a pascolare sui prati del monte Peralto.
    Lì si fece ingenuamente attirare in un luogo isolato da un misterioso individuo che scambiò per un cacciatore o un collega pastore: l'uomo infatti era accompagnato da un grosso cane nero.

    Una volta soli e appartati l'uomo si rivelò per il bruto che era: picchiò, violentò e uccise la ragazza squarciandole la gola con un morso.
    Poi si dileguò nel nulla, sempre accompagnato dal suo fidato animale. Il corpo della pastorella venne trovato tempo dopo, straziato in modo orrendo, da alcuni contadini.

    Oltre mille anni dopo, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, nel corso di una seduta spiritica tra le mura di Forte Sperone, un fantasma "dal brutale aspetto" si rivelò ai partecipanti: era il violento assassino, che raccontò di avere da tempo in quei luoghi (gli stessi delle sue malefatte) la sua nuova dimora. Costretto a vagare lì attorno per sempre, non sarebbe solo in questo suo infinito tormento. Gli fanno "compagnia" lo spirito del suo vecchio amico a quattro zampe e il fantasma della ragazza assassinata.

    I tre spiriti vengono spesso visti alle prime luci dell'alba, più frequentemente nei periodi invernali.

    Un terribile cane, nero come la pece, un omone trasandato e dallo sguardo trucido, una ragazza pallida e vestita di stracci sporchi di sangue, col volto orrendamente sfigirato e la gola squarciata.
    A volte girano da soli, a volte in gruppo, tanto che potrebbero essere scambiati per amici o parenti anzichè vittima e carnefici...

    Liguria Misteriosa di Valerio Lonzi
    http://blog.libero.it/genovaneiricordi/7543577.html
    www.latelanera.com
  6. .
    Se il calendario vi ha appena ricordato che oggi è Venerdì 13 (la fatidica data!), non c’è davvero motivo di inquietarsi, né più né meno che in qualunque altro giorno della settimana o del mese.
    A meno che non siate superstiziosi… poiché, a quanto pare, niente porta più sfortuna che l’esserlo.

    Sia il venerdì che il 13 come numero in sé trovano da sempre radicate tradizioni, non solo in Occidente, che li considerano come fattori negativi o infausti. Il più evidente simbolismo, almeno per la nostra cultura, si trova nel novero dei commensali dell’Ultima Cena, con il tredicesimo del presenti, Giuda, che si rende traditore di Gesù, il quale proprio di venerdì muore sulla croce.
    Sono poi sufficienti poche coincidenze storiche perché la combinazione della data assuma o confermi l’oscura suggestione della propria fama. Per esempio, pare cadesse proprio di venerdì quel 13 di ottobre del 1307 in cui re Filippo il Bello fece arrestare tutti i Templari sul territorio francese, confiscando i loro beni e consegnandoli all'Inquisizione.

    Se il numero 12 viene generalmente considerato come rappresentativo di un ciclo concluso (dodici i mesi, dodici i segni zodiacali, e via elencando), il 13 vi aggiunge una sorta di unità perturbante, estranea e complementare a un tempo, così che il tredicesimo elemento si presenta come trasgressione, antitesi o minaccia di un sistema altrimenti ideale.
    Secondo un racconto del mito nordico, in una tarda versione apocrifa fortemente influenzata dal Cristianesimo, il malvagio Loki si unisce come tredicesimo convitato a un banchetto divino, e a causa delle sue macchinazioni ha luogo la morte del luminoso dio Balder.
    Il 13 ricorre nel calendario delle antiche società matriarcali, basato su un ciclo lunare in 13 mesi di 28 giorni, in contrapposizione all’anno solare della successiva e dominante civiltà maschile. I filosofi greci definivano il 13 un “numero imperfetto”, mentre persino nella tradizione Induista un raduno di 13 persone nello stesso luogo era considerato di cattivo auspicio.
    L’usanza di escludere tale cifra dall’uso quotidiano, specialmente diffusa in America, sembra risalire sino al XVII secolo, ignorando il 13 nella numerazione delle stanze d’albergo, dei piani di certi moderni palazzi, dei tavoli nei locali pubblici e in ogni altro utilizzo comune… Esempi che potrebbero proseguire fino all’ossessione, trasformandosi in una vera e propria fobia patologia come la triscaidecafobia, ovvero la paura del numero 13.

    Altrettanto antica la fama del dì solitamente indicato come il meno propizio della settimana, celebrato pure in un proverbio che lo indica come il più inadatto, insieme al martedì, per sposarsi, partire, o “dar principio all’arte”.
    Se già si è accennato alla Crocifissione, nella tradizione biblica il venerdì è anche il giorno della tentazione di Adamo ed Eva, dell’inizio del Diluvio Universale e della distruzione del Tempio di Salomone. Nella Roma pagana il sesto settimanale rappresentava il giorno delle esecuzioni, come più tardi in Inghilterra per l’impiccagione dei condannati. Nel Nord Europa, il venerdì è il giorno dedicato alla dea Freya (Friday in inglese, Freitag in tedesco), che se può coincidere nel dies Veneris con la figura di Venere, possiede rispetto alla divinità greco-romana l’ulteriore caratteristica di essere protettrice delle arti magiche, e per estensione del culto delle streghe.

    Ulteriore spinta alla contemporanea diffusione di leggende e pregiudizi sulla sventura di questa particolare giornata, tanto da renderla leggenda comune a tutto il mondo, si deve in buona misura al ciclo cinematografico di Venerdì 13, inaugurato dal primo Friday the 13th di Sean S. Cunningham nel 1980, film che ha consacrato la sinistra maschera di Jason Voorhees ad autentica icona del genere horror.

    www.latelanera.com
  7. .
    image
    Se ai tempi della Contessa Báthory fosse esistita la chirurgia estetica, questa storia non sarebbe mai stata raccontata. Può suonare buffo, ma se pensiamo che tutto si riduce a una forma di narcisismo folle, allora possiamo capire fino in fondo l’intera vicenda. Il terrore di invecchiare abbinato a un’indole tendente al sadismo: ecco il cocktail micidiale che fece di questa nobile donna una feroce assassina. Erszébet superò in originalità i famosi bagni nel latte di Cleopatra, sostituendo il candido liquido con il rosso scarlatto del sangue umano. Questo allucinante ‘rimedio anti-età’ costò la vita a circa 600 ragazze. Ma partiamo dall’inizio.

    Erszébet Báthory nacque in Ungheria nel 1560, in una nobile famiglia che vantava possedimenti in tutta la Transilvania. Aveva una parentela formata da principi, cardinali e ministri. Stefano Báthory divenne governatore della Transilvania. Il primogenito di questi (nonché suo omonimo) fu incoronato Re di Polonia nel 1575, mentre suo fratello Cristoforo Báthory gli succedette come Principe di Transilvania. Erszébet era quindi la nipote del Re di Polonia.
    Fin da piccola, Erszébet soffriva di violenti mal di testa che sfociavano in crisi convulsive, perciò molti studiosi spiegano i suoi comportamenti come il risultato di un problema di salute mai curato. Era una silenziosa creatura enigmatica dai lunghi capelli neri e dagli occhi scuri. A 15 anni sposò il Conte Ferencz Nádasdy e andò a vivere con lui nel tetro castello di Csejthe. Conservò il nome perché la sua famiglia era più potente di quella del marito.

    Il Conte era sempre lontano, impegnato in nuove battaglie. Per cacciare la noia e la malinconia la giovane Erszébet cominciò a tradire il marito e a interessarsi di occultismo. La scoperta di numerosi strumenti di tortura custoditi nelle segrete del castello fece affiorare il lato più oscuro della sua personalità. Tra lo studio delle scienze occulte e il maneggio di fruste, la follia cominciò a germogliare dentro di lei.
    Erszébet si trastullava con decine di amanti e torturava le serve adolescenti. Tra le sevizie che prediligeva c’era quella di dare fuoco a pezzi di carta infilati tra le dita dei piedi delle ragazze. Oppure scaldava delle monete fino a farle diventare incandescenti e costringeva le vittime a prenderle in mano e a stringerle nel pugno. O ancora sfregiava i volti delle cameriere con ferri roventi, se queste stiravano male gli abiti costosi. Cuciva con del filo la bocca di chi (secondo lei) aveva mentito, conficcava aghi sotto le unghie, o spalmava di miele il corpo delle presunte ladre per poi abbandonarle nel bosco, legate a un albero, alla mercé di insetti e altri animali. La più mostruosa pratica rimase quella di bruciare il sesso delle giovani con una candela.
    Erszébet ebbe quattro figli: Anna, Orsolya, Katá e Pál. L’istinto materno non faceva parte della sua natura, quindi la Contessa non si curò mai di loro e preferì affidarli alla balia Ilona Jó per dedicarsi ai maltrattamenti di damigelle e servette.
    Procurare dolore divenne il suo passatempo preferito. Di frequente faceva svestire le ragazze davanti ai servi per il puro piacere di umiliarle. Molte volte le violenze sfociavano nell’omicidio. Tra le numerose dicerie che si sono aggiunte alla macabra lista c’è quella che racconta di come la carne di alcune ragazze uccise fu servita più di una volta agli ignari soldati tornati dalla guerra al seguito del Conte.
    Scegliendo tra le anime più maligne, Erszébet mise insieme una corte formata da individui uniti dallo stesso comune interesse: la tortura. Tra essi spiccavano la già nominata Ilona Jó, le dame di compagnia Dorottya Szentes e Kateline Beniezky, e il valletto nano Ficzkó, l’elemento più terribile del gruppo, perché mosso dal furioso rancore verso le donne che l’avevano sempre respinto e deriso. La Contessa seviziava le ragazzine ovunque: nei suoi numerosi castelli e nella sua carrozza, durante gli spostamenti, quando si annoiava o quando il mal di testa la rendeva collerica.
    Nel 1604 il Conte morì e l’incubo vero e proprio ebbe inizio.

    Erszébet era una bella donna, ma gli uomini che le si accalcavano attorno erano più che altro attratti dalla sua ricchezza e dalla possibilità di arrivare al trono sposandola. Ossessionata dalla propria immagine nello specchio e atterrita all’idea di veder sfiorire il suo fascino, la Contessa trovò il modo di fermare il tempo. Dopo aver provato e scartato unguenti e cosmetici a base di erbe, ideò una terapia che avrebbe avuto il duplice scopo di placare le sue fobie e soddisfare la sua indole crudele.
    Nessuno sa con esattezza quando e come escogitò la cura per assicurarsi l’eterna giovinezza. Si dice che, un giorno, mentre stava picchiando selvaggiamente una serva, una goccia di sangue della malcapitata le cadde sulla mano. Forse fu un gioco di luci o soltanto uno stato mentale alterato a farle credere che, nel punto bagnato dal sangue, la pelle fosse più liscia e quindi più giovane. Decise che un’immersione completa nel plasma di ragazzine poteva darle ciò che desiderava. Il castello di Csejthe divenne un’immensa camera delle torture. Le sprovvedute contadinelle del villaggio vi entravano in cerca di lavoro e non ne uscivano più. Le vittime erano appese a testa in giù sopra una vasca e sgozzate, oppure rinchiuse in minuscole gabbie con punte di ferro nelle quali, dopo ore passate a resistere al sonno e alla debolezza, si lasciavano andare e finivano impalate.
    Gli abitanti del villaggio non potevano fare nulla contro il potere della famiglia Báthory. Quelli erano tempi in cui i ricchi possidenti potevano disporre a loro piacimento della vita di ogni membro della servitù. I maltrattamenti erano all’ordine del giorno in ogni castello, ma non esistono altri casi simili a quello della Contessa Bathóry. La pazzia di Erszébet crebbe fino al punto in cui cominciò a bere il sangue, facendo nascere la leggenda secondo la quale, oltre a essere una strega, fosse anche una vampira. Visto che la terapia non la soddisfaceva pienamente pensò di passare dalle miserabili contadine a ragazze di rango superiore. Arrivò a ucciderne una quarantina. Con tali rapimenti e omicidi attirò l’attenzione su di sé anche da parte di chi, fino a quel momento, pur essendo a conoscenza delle sue raccapriccianti attività, aveva taciuto.
    Il declino era cominciato. I problemi finanziari e i debiti accumulatisi durante anni di cattiva gestione dei beni di famiglia vennero a galla e la resero oggetto di ulteriori e accurate indagini. I suoi bagni scarlatti erano finiti.
    Alcuni uomini furono incaricati di esplorare il castello di Csejthe in cerca di prove. Quello che videro é documentato da alcune testimonianze scritte arrivate fino a noi. Dire che le segrete erano intrise di sangue non è un’esagerazione. In una cella furono trovate alcune giovani che aspettavano di cadere tra le grinfie della Contessa. La metà di esse erano morte di fame, e le restanti, ormai impazzite, avevano dovuto mangiare la carne delle compagne per sopravvivere. Una vergine di ferro stava in un angolo, completamente incrostata di sangue rappreso. Tavoli di legno, fruste, catene, cumuli di attrezzi di metallo, ogni cosa era color marrone-rossiccio. Un mattatoio dal quale gli investigatori uscirono pallidi e incapaci di proferire parola per parecchie settimane.

    Erszébet non si presentò mai al suo processo, perché appartenente a una nobile famiglia. Le sue dame fedeli, considerate streghe, furono condannate al rogo, mentre il nano fu decapitato. La ricca signora subì forse una punizione peggiore della morte. Murata viva in una delle torri del castello, con una piccola apertura a fare da tramite tra lei e il mondo esterno, aspettò la fine nel buio e nel tormento di non poter continuare la sua ‘cura di bellezza’. Aria e cibo passarono attraverso quel buco nel muro finché, nel 1614, dopo quattro anni di segregazione, la prigioniera fu trovata morta. Aveva 54 anni. Un’età notevolmente avanzata, per quei tempi.

    La scia di cadaveri che Erszébet si lasciò dietro non ha eguali nella storia dei crimini seriali. È oltremodo impressionante soprattutto perché è uno dei pochi casi in cui una donna si è accanita con incredibile ferocia solo e esclusivamente su altre donne. Un odio folle verso le fanciulle ancora vergini che la spinse a sopprimere la nuova generazione femminile sbocciata nei paesi circostanti il castello. Come si diceva all’inizio, si parla di circa 600 adolescenti, chi dice 612 chi 650. Un numero che fa rabbrividire nel profondo, se si pensa che ciascuna delle vittime patì un martirio infernale fatto di spilloni, ferri roventi, coltelli, candele, fruste, martelli e qualsiasi altro strumento che potesse causare sofferenza fisica. Un martirio che continuava per ore tra le urla e le suppliche, nei sotterranei tenebrosi del castello, lontano da occhi indiscreti. Il trionfo della follia allo stato puro, senza pietà né rimorsi.
    Qualcuno sostiene che lo scrittore Bram Stoker si sia ispirato a lei per il suo Dracula, piuttosto che alla figura di Vlad l’Impalatore. A parte le disquisizioni letterarie, rimane il fatto che ci furono particolari legami tra i Báthory e i Dracula. Alcuni esempi? Il principe Stefano Báthory aiutò Dracula a riconquistare il suo trono nel 1476. Uno dei castelli di Dracula fu ceduto alla famiglia Báthory durante il periodo in cui visse Erszébet. Dunque i Báthory e i Dracula, nel corso degli anni, vissero sempre abbastanza vicini. Inoltre, un inquietante particolare salta subito agli occhi: negli stemmi di entrambe le famiglie appare un drago.
    Il tempo ha ridotto a desolate rovine le mura del castello di Csejthe che furono testimoni di inconcepibili efferatezze. Se solo quelle spoglie rocciose potessero parlare… Ma non possono. È un bene, non credete?

    www.latelanera.com
  8. .
    image
    Se fosse il 21 marzo e voi vi trovaste a Elmore, in Ohio, allora ci sarebbe una cosa molto interessante da fare. Quale amante del mistero si rifiuterebbe di assistere al passaggio di un centauro che arriva dall'Aldilà a tutto gas?

    La storia è presto narrata: allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale un baldo giovane si vide costretto a imbracciare il fucile e a dire addio alla sua bella. Aiutato da una buona dose di fortuna, riuscì a non finire lungo disteso nel fango di qualche trincea e a ritornare a casa sano e salvo. Prima di correre dalla sua ragazza per abbracciarla dopo tanto tempo, corse in un negozio e comprò una moto. Felice di essere ancora vivo, viaggiò veloce sulle due ruote fino all'abitazione di colei che intendeva sposare. Era il 21 marzo. La vita era bella e c'erano ancora tanti progetti da realizzare. La donzella del suo cuore, molto pessimista e poco paziente, si era aspettata di vederlo tornare in una bara dal momento stesso in cui era partito per la guerra. Ragion per cui si era fidanzata con un altro uomo. Possiamo immaginare la reazione di un ragazzo che vede i suoi sogni d'amore andare in frantumi.
    Sconvolto e furibondo, l'innamorato monta sulla moto e parte a tutta velocità. Ha bisogno di sfogare la delusione con una lunga e sfrenata corsa in sella al suo nuovo acquisto, ma finisce col mettere la parola fine alla propria vita. Poco lontano dalla casa della sua ex ragazza, la strada svolta bruscamente e quindi si trasforma in un ponte che oltrepassa un fiume in secca. Su quella curva il ragazzo perde in controllo del mezzo, urta il guardrail e vola nel greto sottostante, pieno di rocce aguzze. Le persone che accorrono sul posto vedono il suo corpo decapitato e la relativa testa poco più in là. La moto, ovviamente, è ridotta a un ammasso di metallo contorto.
    Un brutto incidente, destinato ad apparire per un giorno sul giornale locale e a venir dimenticato in fretta.
    Ma il giovane centauro sembra non aver preso atto del proprio decesso e continua a filare su quel tratto di strada il 21 marzo di ogni anno. Sono tante le testimonianze di persone che, nel corso degli anni, hanno visto una bizzarra luce apparire davanti alla casa della ragazza, spostarsi lungo la strada e scomparire a metà del ponte.

    Chi studia il fenomeno delle apparizioni sa che lo spirito di una persona morta in modo violento (omicidio o incidente) tende a tornare sul luogo in cui è avvenuto il distacco dell'anima dal corpo. Più spesso sono le vittime di brutali assassini quelle che non riescono a trovare pace, ma il rifiuto di trasferirsi a un diverso piano d'esistenza coglie anche coloro che, al momento di tale distacco, sono saturi di energia negativa, vale a dire di un'immensa disperazione. È il caso dell'ex militare, già traumatizzato dalla guerra, che subisce un ulteriore choc per poi morire subito dopo. Non c'è da stupirsi se il suo spirito è rimasto, come dire, incastrato a mezza via tra il mondo dei vivi e quello dei morti. La cosa interessante è che non vi è rimasto a piedi. La sua nuova moto, schiantatasi con lui sul fondo pietroso del fiume in secca, lo ha seguito nella morte.
    A ogni modo, il fenomeno della luce fantasma è diventato un'attrazione per tutti gli acchiappafantasmi, di professione e non. Sono persone coraggiose e, bisogna dirlo, fornite di una cospicua dose di follia. Perché mettersi sulla strada di un motociclista fantasma non è precisamente un'azione da sani di mente.

    Richard Gill, nel lontano 1968, era uno studente della Green Bowling University e aveva un morboso interesse per una materia che non era compresa nel piano di studio del suo corso: il paranormale. Convinse un amico ad accompagnarlo, in piena notte, sul ponte incriminato. Inutile dire che era il 21 marzo. I due, armati di telecamera, macchina fotografica e registratore, parcheggiarono l'auto nei pressi del ponte e attesero. Secondo una leggenda nata nel tempo, per stuzzicare lo spettro del centauro bisognava accendere e spegnere i fari per tre volte e suonare il clacson per tre volte. Richard eseguì la procedura e subito la luce fantasma apparve e seguì il solito percorso fino a svanire. La mossa successiva di Richard fu di legare una corda da un capo all'altro del ponte. La luce si fece beffe della corda e ci passò attraverso. Incoraggiato dal risultato, Richard si piazzò in mezzo alla strada, senza tenere conto di un piccolo particolare: un essere umano non è una corda. Ha in sé un'energia vitale che può cozzare con l'energia di un essere soprannaturale. Appena Richard vide la luce avvicinarsi, qualcosa lo urtò con tale violenza da scagliarlo vari metri più in là. Un po' acciaccato ma vivo, Richard controllò il materiale raccolto dalla telecamera e dagli altri due apparati. La prima non aveva registrato nulla. La macchina fotografica aveva scattato l'immagine di una luce nel buio che poteva essere qualsiasi cosa, e sul nastro del registratore c'era un rumore sordo che sembrava quello di una moto parecchio lontana. Tanto lontana da poter essere, in realtà, il fruscio del nastro.

    Non è il caso di emulare Richard Gill mettendosi tra lo spettro-centauro e il suo abituale percorso stradale. Forse non sarebbe nemmeno il caso di tormentarlo facendogli i fari e strombazzando col clacson. Molto meglio una breve preghiera, nella speranza che possa trovare pace... o che finisca la benzina.

    www.latelanera.com
  9. .
    image
    Nella top ten dei nomi che fanno subito pensare al lato più oscuro della natura umana quello di Rasputin occupa sicuramente uno dei primi posti. È un nome indissolubilmente legato a un altro: Romanov. Tra coloro che gravitarono attorno alle corti imperiali di ogni tempo e nazione mai nessuno fu tanto abile nell’ammaliare uomini e donne di potere senza l’aiuto un titolo nobiliare e con una limitatissima istruzione. Grigorij Efimevič Rasputin nacque il 10 gennaio 1869 a Prokovskoe, un piccolo villaggio della Siberia, sulle rive del fiume Tara, presso Tobolsk, vicino ai Monti Urali. Crebbe nella cultura contadina e rimase fondamentalmente un semianalfabeta per tutta la vita. Si narra che da piccolo cadde nel fiume gelido con suo fratello e che riuscì a guarire da una grave polmonite, dopo giorni di deliri e strane visioni. Suo fratello, invece, morì, lasciando un vuoto incolmabile nella sua esistenza. Da bimbo turbolento si trasformò in fretta in un giovane uomo irrequieto che infilava un guaio dopo l’altro. Si ubriacava, rubava e correva dietro alle donne per soddisfare un appetito sessuale che sembrava non placarsi mai (Rasputin è il soprannome che si guadagnò proprio in quegli anni e, in russo, significa depravato). Durante una delle tante scorribande, finì al monastero di Verhoturje dove si imbatté nella setta Khlysty rinnegata dalla Chiesa ufficiale ortodossa. Gli adepti di tale setta sostenevano che per comprendere appieno l’essenza di Dio era necessario peccare. Tramite l’intima conoscenza del male il peccatore poteva pentirsi, confessare e infine ottenere il perdono. Un circolo vizioso, che aveva come obiettivo la catarsi, in cui l’uomo si macchiava di ogni tipo di colpa per continuare a godere della grazia divina.
    Rasputin, allora diciottenne, abbracciò con entusiasmo la nuova religione: cominciò a vestirsi come un monaco, si attenne con costanza ai dogmi della setta, adattandoli però a suo piacimento a seconda delle occasioni, e si proclamò veggente e guaritore. Diceva di aver avuto delle visioni e di essere guidato dal volere di Dio. Ebbero inizio i suoi pellegrinaggi attraverso il paese, durante i quali attirò l’attenzione di chi vedeva in lui una piacevole novità in un impero incatenato ad antiche regole ferree.

    A diciannove anni sposò Pra škovia Ferodovna Duborvina ed ebbe tre figli: Dimitrij, Maria e Varvara. La creazione di una famiglia non interruppe il suo vagabondare. Arrivò fino in Grecia e a Gerusalemme. Alto, vestito di una lunga tonaca, lo sguardo penetrante, quasi da folle, un particolare carisma da santone in possesso di conoscenze da rivelare solo a pochi eletti, Rasputin riuscì a guadagnarsi la simpatia di molte persone, inclusi i religiosi della città di Kazan, vicino al fiume Volga, e fu da essi invitato a visitare la capitale di allora, San Pietroburgo.

    Era il 1902, aveva poco più di trent’anni e con i suoi pellegrinaggi aveva coperto gran parte dell’impero. Con il suo aspetto e la parlantina sciolta non faticò molto a conquistare anche gli ecclesiastici che occupavano posti di prestigio nella Russia di Nicola II. Il giovane imperatore era salito al trono alla fine del 1894, dopo la morte improvvisa di suo padre, morto il 20 ottobre, a quarantanove anni. La prematura dipartita del sovrano aveva costretto un ragazzo di ventisei anni a prendere in mano le redini di un immenso paese. Sentendosi schiacciato dal peso di una corona che non si sentiva pronto a indossare, Nicola pregava da tempo affinché Dio inviasse una guida per aiutarlo ad affrontare tutte le responsabilità che stavano ricadendo sulle sue fragili spalle. Suo padre, Nicola III, lo aveva tenuto lontano dagli affari di stato, negandogli così la possibilità di imparare come pensa e agisce un imperatore. La consorte di Nicola III, Maria-Feodorovna era la tipica madre castrante e perciò ugualmente responsabile dell’immaturità del giovane sovrano. Il ragazzo aveva scelto di sposare la principessa di origini tedesche Alessandra di Hesse, cugina di terzo grado, contro il volere dei genitori. Le nozze erano state celebrate mentre l’intero paese piangeva ancora la scomparsa del vecchio sovrano. La coppia si allontanò sempre più dal resto della famiglia, isolandosi nel palazzo di Csarskoe Selo (l’attuale Puškin). Di lì a breve nacque una bambina, la Gran Duchessa Olga Nikolajevna. Seguirono altre tre figlie: Tatiana, Maria e Anastasia.

    I due sovrani erano preoccupati dal mancato arrivo di un erede maschio e per sconfiggere quella che pensavano fosse una maledizione chiamarono a palazzo ogni sorta di guaritori, maghi e sensitivi, gente di dubbia fama ansiosa di ingraziarsi gli imperatori con ogni mezzo. Finalmente, il 30 luglio 1904, nacque Alessio. I genitori erano al settimo cielo e così il resto dei parenti, ma la felicità diventò ben presto disperazione quando si scoprì che il bimbo era emofiliaco. A un anno di vita rischiò di morire per un banale incidente. Alessandra incolpava se stessa e il sangue malato che scorreva nelle vene di molti membri della sua famiglia, afflitti dalla stessa malattia.
    Nicola sfogava il suo dolore scrivendo nel diario: “È una cosa terribile dover vivere con questa ansia continua.”

    Rasputin apparve nella vita dei Romanov nel 1907 e li colse in un momento di estrema fragilità psicologica ed emotiva. Terreno fertile per uno scaltro manipolatore d’anime come lui. A San Pietroburgo, in pochi mesi, aveva creato attorno a sé una rete di amicizie e conoscenze destinate a portarlo molto in alto. Si racconta di come il suo carisma riuscisse a conquistare il cuore di molte donne aristocratiche con le quali intratteneva relazioni non proprio platoniche. Tra coloro che si dichiaravano sue ammiratrici c’era anche Anna Vyrubova, una cara amica della Zarina. La strada era spianata e il palazzo imperiale aprì le porte al monaco misterioso. Gli affranti sovrani videro in lui il miracolo tanto invocato quando riuscì a bloccare l’ennesima emorragia del piccolo Alessio. Alcuni suppongono che ipnotizzò il bambino e lo guidò verso una sorta di autoguarigione (oggi è assodato che una forte emozione può dare un temporaneo sollievo a un emofiliaco) altri che utilizzò i suoi poteri soprannaturali per far coagulare il sangue. In ogni caso l’episodio fu sufficiente a trasformare un semplice ex contadino e pseudoprete in un membro della famiglia reale. Rasputin continuò la sua attività di guaritore e consigliere spirituale anche all’esterno della corte. Riceveva quotidianamente tutti coloro che chiedevano il suo aiuto. La Russia intera non sapeva spiegarsi come fosse possibile che gli imperatori accettassero un individuo così ambiguo a palazzo. Nessuno sapeva della malattia del piccolo Alessio e questo portò molte persone a dubitare dell’integrità morale dello Zar e della Zarina.

    La famiglia reale aveva scelto il silenzio per non distruggere l’ottimismo che si era diffuso tra la popolazione dopo la tanto sospirata nascita di un erede al trono. Questo fu il motivo principale della profonda incomprensione tra i regnanti e i sudditi che fomentò maldicenze, dubbi, odi, e portò alle tragiche conseguenze storiche che tutti conosciamo. Dal canto suo, Rasputin non si adoperò certo per mettere a tacere i pettegolezzi, anzi. Tra le varie testimonianze dell’epoca ci sono quelle di chi parla di banchetti durante i quali il monaco si ubriacava regolarmente, mangiava con le mani e poi si faceva leccare le dita dalle sue devote commensali. È leggendaria la sua avversione per l’acqua e il modo in cui si svolgevano i suoi rari bagni. Preferiva quelli collettivi, ovvero amava immergersi in grandi vasche con altre donne per farsi lavare in una sorta di cerimonia di purificazione molto alternativa. Questo comportamento, giudicato immorale, trascinò nel fango la reputazione di numerose nobili signore e della Zarina, una donna che, fino ad allora, aveva mantenuto una condotta irreprensibile. Le malignità investirono anche le quattro figlie che si pensava fossero ben disposte a soddisfare le perversioni del monaco. Sembra che fosse lui stesso, ubriaco fradicio a ogni festa, ad affermare che lo Zar era un fantoccio nelle sue mani e a raccontare degli incontri a sfondo sessuale tra lui, la Zarina e le figlie. Le maldicenze arrivarono all’orecchio dell’imperatore che, in preda all’ira, lo allontanò dalla corte. Quando il piccolo Alessio fu sull’orlo di un altro dissanguamento, Rasputin fu richiamato a palazzo e arrestò l’emorragia. Il ritorno del monaco convinse una volta per tutte gli ex sostenitori dello Zar che la Russia non aveva più bisogno di un imperatore che stimava un uomo così discutibile. Nicola II aveva firmato la propria condanna a morte. Rasputin occupava adesso una posizione di prestigio e molti dei suoi simpatizzanti si erano trasformati in acerrimi nemici. I monaci e i vescovi che si opponevano a lui o discutevano il suo operato presso la famiglia dello Zar venivano prontamente spediti in qualche remoto monastero.

    Il 28 giugno 1914 l’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo fu assassinato a Sarajevo e la prima guerra mondiale ebbe inizio. Lo Zar dichiarò guerra alla Germania e all’Austria, spalleggiato dagli alleati francesi, inglesi, italiani e statunitensi. Il conflitto trovò completamente impreparato l’esercito russo. Nicola continuava a essere un sovrano pieno di insicurezze e spesso si appoggiava alla Zarina per un consiglio. Sapendo che Alessandra a sua volta si appoggiava all’onnipresente Rasputin, tutti pensarono che il monaco fosse arrivato ad avere il controllo totale su ogni questione concernente l’impero. Le ingenti perdite umane tra le truppe russe si dovevano alla scarsità di armi e addirittura all’inadeguatezza dei vestiti per i soldati, due gravissime carenze alle quali Nicola non riusciva a porre rimedio per la sua incapacità decisionale. Aveva paura di allontanare Rasputin e di mettere a repentaglio la vita di Alessio. Rifiutò di ascoltare i consigli dei parenti che continuavano a ripetergli di cacciare il monaco. Chi cacciò fu il capitano dell’esercito russo, Nicola Nikolajevič, perché aveva dimostrato
    image
    una profonda avversione per Rasputin e di conseguenza per la stessa Zarina. Si narra che il monaco si fosse offerto di benedire i militari e che il capitano gli avesse risposto con il seguente messaggio: “Vieni pure. Ti farò impiccare”. L’imperatore fece un altro passo fatale verso la fine: lasciò la capitale per prendere il comando dell’esercito e, in pratica, abbandonò l’impero in balia della sua consorte e di Rasputin. Alessandra era ormai morbosamente legata al monaco e seguì alla lettera ogni suo consiglio. I licenziamenti all’interno del governo si susseguirono copiosi e le cariche, ovviamente, furono ricoperte da fedeli sostenitori di Rasputin. Chi già da tempo non vedeva di buon occhio la Zarina di origini tedesche pensò che la sovrana stesse facendo gli interessi della Germania. Bisogna ammetterlo: i veri responsabili della tragica fine dei Romanov sono i Romanov stessi. Rasputin fu solo molto abile ad approfittare di persone deboli e di una situazione già di per sé traballante.
    Dopo questa veloce analisi dei fatti storici è facile comprendere perché i membri della famiglia reale vicini alla coppia Alessandra-Nicola decisero che il monaco doveva essere eliminato. Ancora oggi non è chiaro chi effettivamente progettò e prese parte al complotto, ma si conoscono con certezza gli esecutori materiali. La morte di Rasputin è celebre perché è una delle più cruente e macchinose che la storia ricordi. Infatti il monaco, protetto da forze oscure o semplicemente dotato di una fibra molto forte, mise in seria difficoltà i suoi assassini.

    Nel 1916, in una fredda notte di dicembre, il principe Felix Felixovič Jusupov lo invitò a cena nel suo palazzo per fargli incontrare la bellissima moglie Irina, nipote dello Zar. Rasputin accettò con entusiasmo, anche se era già stato vittima di un paio di attentati e più di una persona gli aveva consigliato di uscire il meno possibile. Irina era una delle poche donne che ancora mancavano alla sua personale collezione di dongiovanni impenitente e non poteva lasciarsi sfuggire una simile occasione. Non sapeva che Irina si era rifiutata di prendere parte al complotto e si trovava molto lontano dal suo palazzo. Felix spiegò in seguito che aveva ucciso Rasputin per salvare la Russia, ma il fatto che non si fosse mai dichiarato apertamente un fanatico sostenitore della famiglia reale e che fosse un bisessuale ci porta a concludere che i motivi furono ben altri. La paura che il monaco potesse rivelare particolari piccanti sugli incontri avvenuti tra loro si unì all’invidia per un sempliciotto che era entrato nelle grazie dei sovrani. Il gruppo formatosi per portare a termine l’operazione comprendeva, oltre a Felix, il cugino dello Zar Gran Duca Dimitrij Pavlovič Romanov, Vladimir Mitrofanovič Puriškevič, il luogotenente Sukotin e il dottor Lazavert. Il piano era semplice: l’avrebbero avvelenato. Per essere sicuro del risultato Felix aggiunse cianuro ai dolci, al tè e al vino (il madera che il monaco adorava). Rasputin arrivò verso le undici e si tuffò sull’alcol e sul cibo, ingurgitando abbastanza veleno da uccidere sei uomini. Felix mentì dicendo che Irina sarebbe arrivata molto presto e attese accanto a lui che il cianuro facesse effetto, mentre i suoi complici aspettavano al piano di sopra. Accadde invece che Rasputin, mezzo ubriaco, chiese a Felix di suonare la chitarra per lui fino alle due del mattino, ora in cui propose di andare a fare un giro in città. Sgomento, Felix si scusò e salì al piano di sopra dove trovò Dimitrij e Vladimir con gli occhi fuori dalle orbite per lo stupore e soprattutto per il terrore di trovarsi di fronte a un essere soprannaturale capace di cenare a base di veleno e accusare poi un semplice bruciore di stomaco. I tre decisero di passare alle maniere forti. Felix scese con una pistola e (si dice) vide il monaco che pregava ai piedi di un crocefisso. Gli sparò nella schiena. Arrivarono i due complici che aiutarono Felix a spostare il monaco dal prezioso tappeto di pelliccia sul quale era caduto. Rasputin era ancora vivo, ma pensarono che sarebbe morto per dissanguamento entro pochi minuti. Spensero la luce, chiusero la porta e salirono al piano di sopra per discutere su come liberarsi del corpo. Un’ora dopo Felix scese a controllare. Sembrava che Rasputin fosse morto, ma quando tentò di muoverlo il monaco aprì gli occhi e cominciò a chiamarlo per nome: “Felix… Felix… Felix…”. Rasputin era stato avvelenato, trafitto da una pallottola, lasciato a dissanguarsi per un’ora, eppure il suo cuore continuava a battere. Il principe terrorizzato scappò di sopra e riferì ai complici che il monaco era ancora vivo. Vladimir capì che Felix era fuori di sé e ormai incapace di gestire la situazione, perciò prese il revolver e si accinse a occuparsi personalmente della cosa. Mentre scendeva le scale fu costretto a soffocare un urlo di orrore. Rasputin stava barcollando verso la porta, tra
    image
    gemiti e parole sconnesse. Riuscì ad arrivare in giardino e quindi nei pressi del cancello prima che Vladimir gli sparasse quattro volte. Uno proiettile lo colpì alla spalla e un altro alla testa. Cadde a terra dove continuò a gemere e a strisciare verso il cancello. Vladimir lo raggiunse e prese a sferrare calci furiosi alla testa del monaco con i robusti stivali finché non smise di muoversi. Non è chiaro se sia stato anche ripetutamente pugnalato e preso a randellate, ma sta di fatto che a quel punto respirava ancora. Fu avvolto in una coperta pesante, legato con una corda e quindi gettato in uno dei pochi punti non congelati del fiume Neva nel quale infine morì annegato.

    Si pensa che fosse sopravvissuto all’avvelenamento per via della gastrite cronica causata dall’alcolismo. I succhi gastrici avrebbero attenuato gli effetti del veleno. I sicari avevano dimenticato di appesantire il cadavere con delle pietre, perciò fu presto ripescato (o meglio, tirato fuori dal ghiaccio) il 19 dicembre. Già poche ore dopo Felix e Vladimir venivano interrogati dalla polizia. Gli inesperti assassini avevano lasciato tracce evidenti del loro crimine dappertutto, sia nel palazzo sia nel giardino. Prima dell’incontro fatale avevano ordinato al monaco di non rivelare a nessuno la sua destinazione, ma questi aveva invece avvertito parecchie persone, incluse le due figlie che da qualche tempo vivevano con lui. Furono proprio queste a guidare la polizia alla casa di Felix. Il principe aveva nel frattempo sparato al suo cane per deporlo in giardino e confondere le tracce di sangue lasciate da Rasputin. Gli investigatori non si lasciarono ingannare: c’era troppo sangue per un cane e molte persone avevano udito gli spari. Nicola II fece ritorno nella capitale e decise di mandare in esilio i due colpevoli. Ironia della sorte, questo li salvò dalla rivoluzione bolscevica che di lì a poco avrebbe rovesciato il trono e mietuto un mare di vittime. La nobiltà vedeva in Felix e Vladimir due eroi che li avevano liberati dall’ingombrante presenza di Rasputin. Invece i contadini considerarono l’omicidio del monaco come l’ennesimo sopruso ai danni del popolo da parte degli aristocratici. La sua morte fu quindi la goccia che fece traboccare il vaso. Come scrisse più tardi la Grand Duchessa Maria Pavlova: “… I partecipanti al complotto compresero in seguito che agendo con l’intento di preservare l’antico regime gli avevano invece dato il colpo di grazia.”

    A soli tre mesi dalla morte di Rasputin, la famiglia reale fu imprigionata, molti membri furono arrestati e almeno venti fucilati sul posto. Meno di due anni dopo la morte del monaco pazzo, la famiglia reale veniva annientata nel più barbaro dei modi. Nelle foto scattate all’epoca la stanza in cui avvenne il massacro si presenta come un mattatoio. Nicola, Alessandra, Maria, Olga, Tatiana, Anastasia e Alessio furono crivellati dai proiettili che devastarono un’intera parete. Il sangue finì praticamente ovunque. Poi i corpi furono infilzati con le baionette, portati all’aperto, denudati, fatti a pezzi con seghe e asce, e infine bruciati. Le ossa che sopravvissero alle fiamme furono gettate in una miniera che fu poi fatta saltare in aria. In seguito a questo inumano trattamento inflitto ai cadaveri nacque il mistero di Anastasia. I resti recuperati non permettono di stabilire se effettivamente tutti i membri della famiglia fossero presenti il giorno del massacro.

    Di Rasputin non è rimasto nulla se non l’indelebile ricordo. Durante le sommosse bolsceviche la sua tomba fu violata, il corpo bruciato e le ceneri disperse. C’è un museo russo che si vanta di conservare in un barattolo il suo pene, ma non ci sono prove che si tratti di un reperto genuino.
    image
    Il monaco aveva previsto la sua morte con largo anticipo. Lo scrisse chiaramente nei suoi diari, ricchi, tra l’altro, di profezie alla Nostradamus che prospettano per l’umanità un futuro di morte e disperazione. Ecco cosa scrive riguardo la propria fine e quella dei Romanov: “... Sento che devo morire prima dell’anno nuovo. Voglio fare presente però al popolo russo, al Babbo, alla Madre della Russia ed ai Ragazzi, che se io sarò ucciso da comuni assassini, e specialmente dai miei fratelli contadini russi, tu, Zar di Russia, non avere paura, resta sul tuo trono e governa e non avere paura per i tuoi Figli perché regneranno per altri cento e più anni. Ma se io verrò ucciso dai nobili, le loro mani resteranno macchiate del mio sangue e per venticinque anni non potranno togliersi dalla pelle questo sangue. Essi dovranno lasciare la Russia. I fratelli uccideranno i fratelli, ed essi si uccideranno l'un l'altro. E per venticinque anni non ci saranno nobili nel Paese. Zar della terra di Russia, se tu odi il suono delle campane che ti dice che Grigorij è stato ucciso, devi sapere questo. Se sono stati i tuoi parenti che hanno provocato la mia morte, allora nessuno della tua famiglia, cioè nessuno dei tuoi figli o dei tuoi parenti rimarrà vivo per più di due anni. Essi saranno uccisi dal popolo russo... Pregate, pregate, siate forti, pensate alla vostra benedetta famiglia.”

    In un altro punto dei suoi scritti dichiara: “… Ogni qual volta abbraccio lo Zar e la Mamma (Rasputin chiamava così la Zarina) e le ragazze e lo Zarevič (il piccolo Alessio) la mia schiena è percorsa da un brivido di terrore. È come se tra le braccia stringessi dei cadaveri... E allora prego per questa gente perché sento che in questa nostra Russia è quella che ne ha più bisogno. E prego per tutta la famiglia Romanov perché su di lei sta calando l’ombra di una lunga eclissi.”
    Leggendo le sue parole non possiamo fare a meno di rabbrividire quando predice il futuro inquinamento delle acque: “... I veleni abbracceranno la Terra come un focoso amante. E nel mortale abbraccio, i cieli avranno l’alito della morte e le fonti non daranno più che acque amare e molte di queste acque saranno più tossiche del sangue marcio del serpente. Gli uomini moriranno di acqua e di aria, ma si dirà che sono morti di cuore e di reni...”
    Parla anche dell’inquinamento atmosferico: “... L’aria che oggi scende nei nostri polmoni per portare la vita, porterà un giorno la Morte. E verrà giorno in cui non ci sarà monte e non ci sarà colle; non ci sarà mare e non ci sarà lago che non siano avvolti dall’alito fetido della Morte. E tutti gli uomini respireranno la Morte, e tutti gli uomini moriranno per i veleni sospesi nell’aria.”
    Delle piogge acide: “... Si ammaleranno le piante e moriranno una ad una. Le foreste diventeranno un enorme cimitero e tra gli alberi secchi vagheranno senza meta uomini storditi e avvelenati dalle piogge velenose.” Di profezie agghiaccianti come questa: “... Quando Sodoma e Gomorra saranno riportate sulla terra e gli uomini vestiranno da donna e le donne vestiranno da uomini vedrete passare la Morte cavalcando la peste bianca. E le antiche pestilenze saranno come un goccia d’acqua nel mare, rispetto alla peste bianca. Montagne di cadaveri verranno ammassate nelle piazze e milioni di uomini porteranno la morte senza volto... Città con milioni di abitanti non troveranno le braccia sufficienti per seppellire i morti e molti paesi di campagna saranno cancellati con un’unica croce... Nessuna medicina riuscirà a frenare la peste bianca perché questa è l’anticamera della purificazione. E quando nove uomini su dieci avranno il sangue marcio verrà gettata sulla terra la falce perché sarà giunto il tempo di ritornare a casa.”
    Non molto incoraggiante, eh?

    Siamo giunti alla fine e ancora le nebbie non si sono diradate. La nera figura del monaco aleggia come uno spettro sugli eventi, ricca di contraddizioni. Eccessivamente mitizzato o ingiustamente demonizzato? Consumato attore lussurioso pieno di ambizioni o convinto sostenitore del binomio peccato-redenzione? Abile manipolatore o vittima egli stesso del proprio carisma? Travolto dagli eventi storici o potente mago capace di scatenare volutamente l’inferno in terra e di lanciare maledizioni che sarebbero perdurate anche dopo la sua morte? Qualsiasi etichetta si voglia applicare è destinata a scolorire in breve tempo. Parole di storia e di leggenda scorrono sotto gli occhi del lettore, indubbiamente unite da un filo di anomala attrazione per un uomo che seppe muoversi disinvolto tra i suoi simili, sbandierando il vessillo di una religione tutta particolare, con l’aureola sulla testa e luciferino rumor di zoccoli.

    www.latelanera.com
  10. .
    image
    Misteriose mutilazioni di animali (dall’acronimo inglese M.A.M.= Misterious Animal Mutilation), soprattutto da allevamento, sono state spesso associate al fenomeno Ufo. Nonostante che, le prime denunce ufficiali risalgano alla fine degli anni ’60 del XX secolo, il fenomeno in realtà ha inizio, secondo l’autorevole testimonianza del defunto colonnello dell’esercito degli Stati Uniti Philip J. Corso, verso la metà degli anni ’50. Ricordiamo a tal proposito che Corso operò con compiti di alta responsabilità nell’Intelligence militare, e fu membro del National Security Council, massimo organo per la sicurezza nazionale. Corso evidenziò come gli autori delle spaventose mutilazioni, sembravano interessati particolarmente agli organi mammari, riproduttivi, e a quelli preposti alle funzioni digestive.

    image
    L’ex colonnello osservò anche che i vari organi, erano stati prelevati tramite una tecnica chirurgica estremamente avanzata e praticamente sconosciuta ai terrestri, per quell’epoca. I tagli erano eseguiti con estrema precisione, e i corpi degli animali risultavano completamente dissanguati, perciò non si era riscontrato alcun danno al tessuto circostante; in particolare il tessuto intorno ai vari sezionamenti, mostrava che l’incisione si era rapidamente surriscaldata, annerita ed infine raffreddata, dando a tutt’oggi l’idea che lo strumento utilizzato fosse una sorte di Laser. Il primo caso, ufficialmente documentato, avvenne nello stato del Colorado (USA), il 15 settembre 1967. Si trattava del ritrovamento di una carcassa di puledra di razza Appaloosa, nei pressi della cittadina di Alamosa nella St. Louis Valley. La testa ed il collo dell’animale erano completamente scarnificati, e le ossa risultavano perciò perfettamente visibili. Il teschio della cavalla, il cui nome era Lady, sembrava essere stato esposto per molto tempo, ad una forte luce solare, tanto era bianco e lucente.


    image
    Questo particolare, risultava alquanto strano ed inspiegabile se consideriamo che, l’animale secondo la dichiarazione del proprietario, il giorno prima godesse di buona salute, era quindi plausibile che la sua morte risalisse, solamente, a poche ore prima. Nel terreno attorno non c’erano tracce di sangue, e neanche di pneumatici od eventuali impronte, tali da far presagire un’eventuale attività attorno al corpo della puledra. Furono invece rilevate misteriose tracce circolari, 15 per l’esattezza, ed un cerchio della larghezza di 3 piedi ( 92 cm. circa), formato da 6 od 8 buchi, ognuno di circa 4 pollici di diametro (10 cm circa), e di ¾ di pollice di profondità (2 cm circa); tutto questo a 40 piedi di distanza (1220 m. circa) dal corpo della cavalla, accanto ad un cespuglio. Una guardia forestale rilevò con un contatore Geiger la presenza di radioattività che, in maniera anomala, andava aumentando man mano che ci si allontanava dal punto dove giaceva la carcassa; mentre radioattività si registrava intorno alle tracce vicino al cespuglio.

    Il dott. John Altshuler, allora patologo presso il Rose Medical Center di Denver, effettuando l’autopsia sul corpo dell’animale due settimane dopo il ritrovamento, rilevò una precisa incisione alla base del collo i cui bordi anneriti segnalavano una cauterizzazione immediata dopo la lacerazione. Ulteriori analisi confermarono un probabile utilizzo, quale strumento per il taglio, di una specie di laser chirurgico. A quell’epoca il Laser era ancora sconosciuto e quindi non poteva essere utilizzato in ambito medico-chirurgico. Il dott. Altshuler, durante l’autopsia scoprì che alla puledra erano stati asportati diversi organi: il cuore, l’intestino, e infine la tiroide, senza riscontrare la benché minima traccia di sangue all’interno del corpo
    image
    dell’animale. Ci furono in quei giorni, diverse curiose testimonianze che ci riportano al collegamento tra le Mam e gli avvistamenti Ufo, ad esempio quella della signora Duane Martin, la quale dichiarò di aver avvistato, il giorno precedente la scoperta del corpo di Lady, diversi oggetti volanti simili a piccoli jet, evoluire ad alta velocità e a bassissima quota nella zona circostante. Anche la madre di Harry King, il rancher che custodiva la puledra, disse di aver osservato il giorno successivo il ritrovamento della carcassa, un grande oggetto volante molto luminoso. Dunque il caso di Lady passò alla storia come il primo caso ufficiale di Mam. Da allora i ritrovamenti di animali mutilati negli Stati Uniti e in Canada, si sono susseguiti a ritmo continuo; raggiungendo dei picchi molto elevati in sei diverse ondate tra il 1967 e il 1989.

    I casi registrati riguardavano per il 90 % capi di bestiame, ma furono ritrovate anche carcasse di animali quali: cavalli, pecore, capre e diverse altre specie domestiche. Le scene delle orrende mutilazioni presentavano sempre le medesime caratteristiche:
    1) asportazioni di organi e parti molli;
    2) assenza di sangue sia all’interno del corpo dell’animale, che nel terreno circostante;
    3) assenza di impronte umane intorno alle carcasse;
    4) rilevamento di enigmatiche tracce di natura non identificabile.
    Il fenomeno delle Mam, non coinvolse solo il nord America, ma si riscontrarono casi del genere anche in Europa. In Francia furono ritrovati duemila montoni mutilati e spellati, presso le grotte di Verdon nella regione del Var. In Inghilterra poi, il 15 luglio 1977, furono individuati i resti di quindici cavalli letteralmente fatti a pezzi, e ritrovati nell’arco di centinaia di metri nella regione della Cornovaglia. Dopo il caso della cavalla Lady, a causa del crescente numero di animali trovati brutalmente mutilati, il problema per gli allevatori di tutti gli Stati dell’Unione, stava assumendo toni alquanto drammatici e preoccupanti. Nel tentativo di trovare una soluzione al problema delle Mam, le autorità federali diedero l’incarico al F.B.I. di indagare sul fenomeno. Dopo lunghe ricerche effettuate presso attrezzatissimi laboratori, in cui furono prese in esame le più svariate ipotesi sulle cause del fenomeno, l’F.B.I. giunse alla conclusione che i responsabili delle orribili mutilazioni fossero gli animali predatori, i quali in preda alla fame assalivano il bestiame. Inutile dire che la soluzione prospettata dal F.B.I. non convinse l’opinione pubblica dell’epoca, infatti, era veramente difficile poter credere che, animali predatori potessero essere in grado di effettuare dei tagli di alta precisione come quelli riscontrati sui corpi delle vittime, o di poter risucchiare il sangue dalle carcasse senza lasciarne la minima traccia, neanche nel terreno circostante. Le ipotesi avanzate dai ricercatori, che si occupano da anni del fenomeno, sono di diverso tipo.

    Fenomeni naturali
    Il fenomeno mam può essere causato da fenomeni di origine naturale come: tornado, fulmini, fulmini globulari, animali predatori. Questa ipotesi è quanto mai poco credibile, in quanto questi elementi non hanno la capacità di operare tagli dalla simmetrica precisione, o di prelevare campioni di tessuto da particolari zone del corpo degli animali.

    Sette sataniche
    Alcuni ricercatori hanno pensato di poter spiegare le mam, riconducendole ad una sorta di rituali magici - esoterici da parte di sette dedite al satanismo. In base a studi effettuati però, si è appurato come queste sette usino asportare unicamente il cuore e gli occhi delle vittime sacrificate. Questi organi, rappresentano per queste sette elementi atti ad una crescita interiore e spirituale dell’adepto, quindi non è spiegabile l’asportazione degli altri organi riscontrati nei csi di mam (intestino, utero, tiroide ecc.). L’altro punto controverso riguarda, invece, l’abbondante spargimento di sangue che caratterizza i riti delle sette demoniache, mentre nel fenomeno mam, notiamo l’assenza del sangue dai corpi delle povere bestie mutilate.

    Progetti segreti del governo U.S.A.
    Il ricercatore inglese Thimoty Good, ha notato come sia frequente la presenza di strani elicotteri, di colore nero, e privi di contrassegno, nelle zone di ritrovamento di cadaveri mutilati. In alcuni casi, questi elicotteri avrebbero anche disturbato gli allevatori, che esasperati, avrebbero sparato al loro indirizzo. Le domande che sorgono spontanee, rispetto a quest’ipotesi sono diverse. Per quale motivo da decenni, i governi USA continuerebbero ad effettuare centinaia e centinaia di assurde ed orribili mutilazioni, ai danni di tanti indifesi animali? A quale scopo? E comunque, pur ritenendo queste orribili operazioni una sorta di male necessario, non sarebbe più saggio da parte dei vari governi terrestri, acquistare direttamente dagli allevatori un certo numero di capi di bestiame, sui quali poter eseguire poi eventuali analisi o esperimenti? Si eviterebbe così di generare il panico tra gli allevatori, e di causare danni ingenti alle aziende di allevamento.

    image
    Esperimenti extraterrestri
    Molti studiosi, la ritengono come l’ipotesi più plausibile, centinaia di persone che vivono nei ranch o nelle fattorie degli U.S.A., asseriscono di aver visto strani oggetti volanti di forma discoidale, sorvolare le zone interessate dalla macabra manifestazione o di aver visto piccole creature, di colore grigio portare via i loro animali. Quest’ipotesi è rafforzata dalla presenza di misteriose tracce circolari, rilevate sui terreni interessati, ed anche dal fatto che alcuni animali presentavano le ossa di un fianco completamente fracassate; come se fossero state scagliate a terra da una grande altezza.
    Linda Moulton Howe è una giornalista americana che da oltre trent’anni si occupa del fenomeno, ed è riconosciuta per questo, come una delle ricercatrici più qualificate. La Howe ritiene che, d’accordo con studiosi di vari settori, non ci siano al momento attuale prove e dati certi, per poter dare una soluzione precisa alle inquietanti mam. E la ricerca……………….continua!

    www.ilportaledelmistero.net
  11. .
    image
    Bruciare vivi. Una morte orribile. Non stiamo parlando di Medioevo, Santa inquisizione e streghe condannate al rogo, ma di un raccapricciante fenomeno che lascia perplessi medici e scienziati.
    Con la definizione combustione umana spontanea, conosciuta con l’abbreviazione SHC (dall’inglese Spontaneous Human Combustion), si indica il fenomeno per cui una persona brucia in modo repentino, senza apparenti cause esterne, lasciando il resto dell’ambiente pressoché inalterato.

    Sfortunata protagonista del primo caso documentato fu Nicole Millet, nel 1725. Il marito fu accusato di averla uccisa e di aver tentato di bruciarne il corpo nel caminetto di casa. La donna aveva fama di alcolista senza speranza e tutti erano convinti che questo fosse il movente dell’omicida, un uomo esasperato da anni di litigi che alla fine aveva perso la pazienza.

    Nel 1731 ecco un altro celebre caso di SHC. La Contessa Cornelia Bandi di Cesena, sessantadue anni, morì nella sua stanza. La cameriera trovò i suoi resti poco lontano dal letto, le gambe intatte, il resto ridotto in cenere, tranne una piccola porzione annerita del cranio. Sembrava proprio che l’incendio fosse partito dal centro del suo petto. Le pareti della stanza erano coperte di una sostanza grassa e i mobili di fuliggine.

    Nel 1763 Jonas Dupont pubblicò De Incendiis Corporis Humani Spontaneis, ricca collezione di casi di SHC, partendo dalla vicenda giudiziaria di Millet. A lui va il merito di aver intrapreso la lunga e faticosa strada della seria ricerca e di aver portato all’attenzione dell’opinione pubblica un argomento fino ad allora considerato parte del folclore popolare. In seguito altri scrittori si ispirarono ai casi di SHC per rendere le proprie opere più inquietanti, tra questi Charles Dickens.
    Più tardi anche il mondo dei fumetti ne sarebbe stato influenzato dando vita al personaggio La Torcia Umana dei Fantastici Quattro.

    Il 2 luglio 1951, a St. Petersburg, in Florida, la sessantaseienne Mary Hardy Reeser diventò tristemente famosa morendo in circostanze poco chiare.
    La padrona di casa era passata a farle visita. Dopo aver bussato più volte senza ricevere risposta, aveva deciso di entrare per accertarsi che Mary stesse bene. Appena varcata la soglia aveva capito che qualcosa non andava. Si era diretta in salotto e aveva visto ciò che restava della mite vecchina: un mucchio di cenere, parte del cranio e il piede sinistro, intatto. Il soffitto e le pareti erano ricoperti da una sostanza oleosa. Alcuni oggetti si erano liquefatti. Per la polizia Mary era morta a causa di un banale incidente domestico: si era addormentata con la sigaretta accesa che, una volta caduta sulla sua camicia da notte di tessuto sintetico, aveva innescato la combustione. La donna era stordita dai sonniferi che aveva preso e quindi incapace di reagire in alcun modo. Il grasso del suo corpo, l’imbottitura della poltrona e il pavimento di legno avevano fatto il resto. Uno dei medici che esaminò i resti di Mary si disse sorpreso che il forte calore che aveva incenerito la donna non avesse distrutto anche l’intero appartamento.

    Nel 1964 Helen Conway, un’abitante di Delaware County, Pennsylvania, si aggiunse alla lista. L’8 novembre i suoi resti furono rinvenuti nella camera da letto. Il fatto che fosse una fumatrice con la pessima abitudine di spegnere le sigarette dove capitava (la stanza era piena di piccole bruciature) portò la polizia a chiudere velocemente il caso. La nipote della donna era sicura che non si trattasse di un incidente. La ragazza era entrata nella stanza per salutare la nonna, quindi era uscita per poi tornare subito indietro, incuriosita da uno strano rumore. Riaperta la porta aveva visto la signora Conway che bruciava. Tra la sua telefonata ai pompieri e il loro intervento erano passati non meno di sei minuti e non più di venti. Troppo pochi perché potesse ridursi in cenere.

    Nel 1966, a Coudersport, in Pennsylvania, il Dottor Irving Bentley, 92 anni, entrò in bagno per l’ultima volta. Il giorno dopo i suoi resti furono ritrovati accanto alla tazza del water. La zona dell’incendio era ben circoscritta, il fuoco non aveva danneggiato la tazza che si trovava a poca distanza. Un piede dell’uomo era ancora intatto.

    Nel 1980 a Gwent, nel Galles, John Heymer, agente della scientifica, fu chiamato a investigare su uno strano caso. La vittima si chiamava Henry Thomas, settantadue anni, e di lui erano rimasti i due piedi coperti dai calzini e un cranio parzialmente distrutto dal fuoco. Il resto era cenere. La poltrona era bruciata e il tappeto era carbonizzato solo nella parte superiore. Finestre e porte della casa avevano guarnizioni contro il freddo che in pratica sigillavano l’ambiente. Una volta consumato l’ossigeno presente, il fuoco avrebbe dovuto spegnersi. Heymer si domandava come mai il corpo avesse continuato a bruciare fino a consumarsi quasi interamente.

    Le antiche teorie vedevano in stretta relazione alcol e incendio. In pratica, un ubriaco rischiava di prendere fuoco in ogni momento, evenienza non del tutto improbabile, a patto che il soggetto avesse ingerito una quantità esorbitante di alcol. Ma in quel caso sarebbe finito in coma etilico molto prima di incendiarsi. Oggi si sa che l’unica vera colpa dell’alcol è di alterare la mente: chi beve è meno attento nel maneggiare il fuoco (accendini, sigarette ecc.) e più lento a reagire quando perde il controllo su di esso. Ecco l’unico modo in cui si possono mettere in relazione ubriachezza e fiamme.
    Scartato l’alcol, si pensò che tutto dipendesse dal grasso corporeo. E’ vero che molte delle vittime erano sovrappeso, ma tante altre erano magre.
    Fu tirata in ballo anche una forma particolarmente cruda di intervento divino per punire i peccatori. Inutile commentare. Ugualmente inaccettabili le congetture su regimi alimentari carenti in grado di spingere l’apparato digerente a ribellarsi tramite reazioni chimiche mortali. Le cellule del corpo impazziscono e attivano una reazione a catena. Possibile? I medici dicono di no: il fisico può dare delle noie, se trattato male, ma non è in grado di autodistruggersi con quelle modalità.
    E che dire dei vestiti? Colpa loro? Le fibre di alcuni tessuti, a contatto con la pelle, agirebbero da miccia a specifici cocktail chimici del corpo. Se pensiamo alle scintille che sprigionano certi capi d’abbigliamento quando ce li sfiliamo (la fastidiosissima elettricità statica), non è difficile pensare che questa potrebbe essere una spiegazione plausibile. Esistono persone che invece di scaricare l’elettricità statica sarebbero in grado di trattenerla e accumularla fino a esplodere? Oppure la carica elettrica è da imputare a fulmini globulari? Questo tipo di fulmine (ancora poco conosciuto) si presenta come una massa di energia luminosa dal comportamento imprevedibile. Può attraversare una casa entrando da una finestra e uscendo dall’altra senza ferire gli esseri umani, ma può anche scaricarsi sulla prima massa solida che incontra. Se tale massa solida fosse un uomo già sovraccarico di elettricità statica, potrebbe svilupparsi un intenso calore e lo sventurato si ritroverebbe avvolto dalle fiamme. Nessuno sa per certo se questo possa avvenire, l’unica cosa sicura è che i fulmini globulari celano ancora molti segreti.

    Un corpo, per bruciare interamente, ha bisogno di 1.300 gradi centigradi. Questa è la temperatura degli odierni forni crematori per distruggere un cadavere nel giro di un’ora. E anche in quel caso non si riesce mai a incenerirlo del tutto. Le ossa vengono raccolte e frantumate per poi finire nell’urna funebre. Un normale incendio domestico raggiunge, in media, i 300 gradi. Bisogna quindi pensare che nei casi fin qui esposti le vittime siano state avvolte da un calore enormemente superiore a quello dei forni crematori. Se così fosse, anche le abitazioni sarebbero andate in fumo. Molti addetti ai forni crematori sono stati chiamati ad analizzare le macabre foto. Tutti hanno ammesso che anche per loro sarebbe difficile ridurre un corpo in cenere in così breve tempo e che la temperatura necessaria a completare tale procedura non può svilupparsi in comuni spazi come il salotto o il bagno.

    Molti studiosi che negano l’esistenza della SHC, parlano del cosiddetto Effetto stoppino. Strati di vestiti facilmente infiammabili potrebbero, nel caso di un uomo obeso, fare appunto da stoppino e favorire il bruciare del grasso corporeo, proprio come fosse cera di candela. Le gambe, provviste di una quantità inferiore di grasso, sono più lente a bruciare. Ecco perché, la maggior parte delle volte, non vengono toccate dalle fiamme.

    Per illustrare il concetto al pubblico, nel 1999 la BBC si occupò del mistero di Helen Conway, catalogandolo come un caso dovuto proprio all’effetto stoppino. I pochi minuti trascorsi tra l’inizio dell’incendio e l’arrivo dei pompieri non erano sufficienti perché un corpo finisse carbonizzato, ma nessuno prese in considerazione questo particolare. Oltre al caso Conway il documentario comprendeva un filmato molto particolare: vi si vedeva un maiale morto che bruciava. Si trattava dell’esperimento ideato e condotto dal Dottor John de Haan dell’istituto di Criminologia della California. De Haan avvolse il suino in una coperta a simulare un essere umano vestito, versò una piccola quantità di benzina sul tessuto e diede fuoco al fagotto. Assieme al Dottor de Haan c’erano scienziati, studiosi, medici, vigili del fuoco e sostenitori della SHC. Era stato scelto un maiale perché il suo grasso è simile a quello degli esseri umani. Dopo sette ore di costante bruciare il maiale non era ancora distrutto completamente. Il test servì per dimostrare che un uomo poteva consumarsi a poco a poco e ridursi nelle condizioni in cui molte delle vittime erano state trovate. In sostanza era solo una questione di tempo. Occorreva un agente scatenante (sigaretta, candela) e un po’ di carburante per portare avanti l’incendio. Anche del profumo, che sappiamo contenere una certa quantità d’alcol, poteva servire a quello scopo.
    Interessante l’esperimento, un po’ meno le conclusioni. Difficile immaginare le vittime che rimangono ferme come pezzi di legno. Dobbiamo forse dedurre che quelle persone fossero già morte prima dell’incendio? Tutte quante? Impossibile. E che dire di Helen Conway, ridotta in polvere non in sette ore, ma in pochi minuti?

    La scienza dice che non si prende fuoco senza ragione e noi dovremmo crederle. Ma i neuroni cerebrali di chi si occupa di fatti insoliti rifiutano di stazionare nei recinti costruiti dagli scettici, soprattutto quando salta fuori la loro parola preferita: testimoni.

    Parliamo di ciò che accadde il 13 settembre 1967 a Lambeth, nel sud di Londra. Alcune persone videro una luce strana provenire dall’interno di una casa diroccata e chiamarono i vigili del fuoco. Il comandante John Stacey entrò nell’edificio con i suoi uomini e scoprì che la luce strana altro non era che il cadavere in fiamme del vagabondo Robert Bailey, conosciuto in tutta la cittadina. Si dovette scaricare più di un estintore per spegnere la caparbia fiamma blu che fuoriusciva dallo squarcio in mezzo all’addome dell’uomo. Sembrava essersi trasformato in una lampada a gas. Aveva i denti conficcati nella balaustra della scala e questo fece pensare che fosse vivo quando le fiamme si erano sprigionate dal suo stesso corpo. I suoi vestiti erano integri, a eccezione della zona attorno all’addome. L’edificio, che stava per essere demolito, non era dotato né di gas né di elettricità. Attorno al cadavere di Robert non c’erano altri materiali che potessero giustificarne la morte. La competente squadra di pompieri aveva dovuto faticare parecchio per avere ragione di quel tipo di fiamma. John rimase molto impressionato dall’episodio. La testimonianza di un vigile del fuoco è preziosa, perché nessuno come un esperto di roghi può confermare o meno la singolarità di un incendio. Sulla base di ciò che videro i suoi occhi, John Stacey escluse all’istante l’effetto stoppino. La fiamma era di un blu brillante, ben visibile dall’esterno e quindi diversa da quella meno vistosa dell’effetto stoppino.

    Nel 1982 a Edmonton, una località nei pressi di Londra, Jeannie Saffin, una donna di sessanta anni con problemi mentali, prese fuoco davanti agli occhi del padre mentre sedeva al tavolo della cucina. Le fiamme le avvolgevano testa e mani, ma lei non sembrava soffrirne. Atterrito, l’uomo la spinse verso il lavandino e tentò disperatamente di spegnere le fiamme, gridando il nome del genero che arrivò giusto in tempo per assistere a una scena da incubo. La testa e il torace dell’anziana ardevano come legna. In seguito disse di aver sentito provenire dalla bocca aperta della povera Jeannie una specie di basso ruggito, lo stesso rumore che fa il camino quando lavora a pieno regime. Nonostante l’intervento dei due parenti, Jeannie morì e sul certificato di morte fu scritto che il decesso era dovuto a un incidente domestico. Seppur perplesso, il coroner preferì archiviare il caso in questo modo per non mettere a repentaglio la propria reputazione esponendo teorie giudicate assurde dalla medicina moderna. Il padre e il genero di Jeannie continuarono a sostenere che non si era trattato di incidente, ma di qualcosa che li aveva spaventati a morte entrambi e che mai avrebbero dimenticato.

    Nel 1998 si registrò un altro decesso misterioso. Lo senario era Sidney, in Australia. Mentre sedeva nell’auto di sua figlia, lato passeggero, Agnes Phillips, ottantadue anni, prese fuoco. La figlia, Jackie Park, l’aveva appena prelevata dalla casa di riposo per portarla a fare un giro. Parcheggiata la macchina, Jackie si era allontanata per entrare in un negozio. Pochi istanti dopo vide del fumo uscire dai finestrini. Lei e altri passanti estrassero l’anziana dall’auto e riuscirono a soffocare le fiamme dopo alcuni interminabili minuti. Agnes venne ricoverata con ustioni gravi su gran parte del corpo e morì una settimana dopo. Perché la signora Phillis si incendiò come se qualcuno le avesse gettato addosso della benzina? Nessuno riuscì a stabilirlo, nemmeno l’ispettore dei vigili del fuoco, Donald Walshe, che si occupò del caso. L’auto non era in moto, non c’erano liquidi infiammabili nell’abitacolo, non c’erano fili mal collegati che avrebbero potuto causare un corto circuito, né lei né sua figlia erano fumatrici e la temperatura esterna, il giorno della tragedia, era mite.
    Prima di lei altre due donne, Olga Worth Stephen (1964, Dallas, Texas) e Jeanna Winchester (1980, Jacksonville, Florida) avevano preso fuoco in circostanze analoghe. La seconda era sopravvissuta, con il venti per cento del corpo ustionato. L’incidente le aveva lasciato fastidiosi problemi di motilità riguardanti braccia, collo e spalle, ma nonostante ciò Jeanna si diceva felice di essere ancora viva. Non ricordava nulla dell’incidente.

    Ci sono altri casi, altre vittime, e naturalmente altri studiosi troppo sicuri di sé pronti a sciorinare le loro teorie giudicate inattaccabili. La verità è che nessuno può dire di sapere esattamente quali forze piroettano invisibili attorno a noi, pronte a manifestarsi nelle forme più disparate. Senza inoltrarsi troppo nel campo del paranormale si potrebbe suggerire l’ipotesi di un Poltergeist che non si accontenta di muovere gli oggetti. Un’idea che fa rabbrividire.
    Nei nostri discorsi quotidiani divampiamo, metaforicamente, in tanti modi. Bruciamo le tappe, bruciamo i ponti, bruciamo gli avversari, bruciamo di passione. Fare la fine di Giovanna d’Arco non rientra sicuramente nei programmi di nessuno. Eppure, là fuori, qualcuno brucia di fuoco vero e nessuno sa ancora perché.

    La combustione umana spontanea
    Articolo inserito da Laura Cherri e pubblicato il 27/07/2006
    www.latelanera.com
  12. .
    image
    È una meraviglia della natura. Rientra nella cortissima lista dei diamanti più famosi del mondo, e anche in quella più lunga degli oggetti che portano sfortuna. È bellissimo e letale. Chiunque abbia avuto la cattiva idea di comprarlo per rigirarselo soddisfatto tra le mani si è visto arrivare addosso un carico di sfortuna e morte. “I diamanti sono i migliori amici delle donne”, cantava Marilyn Monroe. Sembra che questo diamante non abbia mai voluto essere amico di nessuno, uomo o donna che fosse.

    La storia del diamante Hope comincia in India, tra le ondulazioni di pietra del viso di un idolo. Nelle varie storie si parla del tempio di Rama-Sita, vicino Mandalay, come luogo in cui avvenne il furto. La gemma fu strappata da uno degli occhi dell’idolo e la divinità fu trasformata in una miseranda statua guercia. Sembra che il gioielliere Jean-Baptiste Tavernier sia stato l’autore del sacrilegio. Chi crede al potere delle maledizioni sostiene che l’idolo violato riversò sul gioiello tutta la sua ira e tale energia negativa lo rese un PortaSfortuna d’eccezione.

    Viaggiò fino alla Francia e fu acquistato, nel 1688, da Luigi XIV che lo fece intagliare a forma di cuore, riducendo così i suoi carati dagli originali 112 ai 67,5 del nuovo taglio. Che fine fece Tavernier? La sua attività fallì e il bisogno di denaro lo costrinse a ripartire per l’india alla ricerca di altri tesori. Morì prima di raggiungere la terra dei diamanti.

    Sia Luigi XIV che Luigi XV sfoggiarono il diamante in varie occasioni. Quando Maria Antonietta lo ricevette in regalo volle unire la gemma ad altre pietre preziose. Non c’è bisogno di ricordare la triste fine cui andarono incontro il re e la regina. Nel pandemonio della rivoluzione francese molti dei gioielli reali scomparvero, forse rubati dalle stesse persone che avevano giurato eterna fedeltà alla corona. Tra i vari tesori provenienti dalle regge imperiali, c’era naturalmente anche il diamante. Fu sottratto a un gioielliere che ebbe un infarto quando seppe che il ladro era suo figlio. Il ragazzo si suicidò quando si rese conto di aver indirettamente ucciso suo padre. Un amico del giovane trovò il diamante tra i beni del suicida e morì di lì a poco.

    Passando di mano in mano, la gemma arrivò a Londra nel 1830, dove cambiò di nuovo forma (e dimensioni) perdendo altri carati lungo la strada fino a giungere ai 44,5 attuali. Il banchiere Hope si innamorò all’istante della pietra preziosa e pagò una cifra astronomica per averla e per poterla battezzare con il suo nome. I membri della famiglia lo tennero, a turno, per brevi periodi.
    La coppia formata da Lord Francis Hope e da Mary Yohe si divise dopo aver accolto in casa la pietra, e Mary stessa, che prima di toccare il diamante aveva avviato una discreta carriera come cantante, finì i suoi giorni in completa povertà.

    Jacques Colot fu il proprietario successivo. Impazzì e si uccise dopo averlo venduto al principe russo Kanitovsky che, reso cieco dalla gelosia, strangolò la ballerina delle Folies Bergère alla quale l’aveva regalato. Pensate che il principe si sia salvato? No. Fu linciato dai rivoluzionari.

    Il gioielliere greco Simon Matharides non fece neanche in tempo a godere appieno del suo nuovo acquisto, perché si sfracellò sul fondo di un burrone. Suicidio? Omicidio? Non si saprà mai.

    Il malefico Hope non risparmiò neppure il sultano Abdul Hamid che, a un anno dall’acquisto, impazzì dopo essere stato deposto. Habib Bey si impossessò del gioiello e morì annegato. Il famoso Cartier mise quindi le mani sull’Hope per rivenderlo al proprietario del Washington Post, Edward Beale Mc Lean che lo volle regalare alla moglie, Evelyn Walsh. La disgrazia si abbatté sulla famiglia americana.
    Sembra un lungo elenco di morti in battaglia, quello che segue, ma è tutto documentato dagli archivi storici. Dapprima morì la madre di Mc Lean. Seguirono le due cameriere. Il primogenito di Mc Lean, dieci anni, un giorno sfuggì alla sorveglianza delle guardie del corpo e finì investito da un’auto. Mc Lean, distrutto dal dolore, divorziò dalla moglie, cominciò a bere e fu vittima di uno scandalo che distrusse definitivamente la sua reputazione di uomo onesto. Evelyn volle sfidare la malasorte e tenne il diamante, continuando a sfoggiarlo con orgoglio. Nel 1946 sua figlia ingerì un’overdose di barbiturici ponendo fine alla sua esistenza. Tempo prima, al suo matrimonio, aveva indossato il gioiello della madre. Evelyn lo tenne fino al giorno in cui morì.

    Hanry Winston fu l’ultimo proprietario privato che ebbe l’onore di ospitarlo per alcuni anni, trascorsi i quali lo donò alla Smithsonian Institution di Washington che lo custodisce ancora oggi.

    Se è vero che i cristalli e altre pietre sono in grado di assorbire le energie negative, allora l’Hope è una prova inconfutabile di questa teoria. La sua prima proprietaria morì decapitata e forse da lì è partita la maledizione. Oppure bisogna tornare all’inizio della storia e pensare a quell’idolo indiano profanato dall’avidità umana.
    È tanto tempo che il diamante non viene più sballottato da un paese all’altro. Continua a brillare di magnifici e sinistri riflessi blu zaffiro, sul suo vassoio di velluto, protetto da sofisticati sistemi di allarme. Non sarebbe poi una cattiva idea aggiungere una targhetta con scritto: “Guardare e (per carità) non toccare.”

    Il diamante maledetto
    Articolo inserito da Laura Cherri e pubblicato il 23/07/2006

    www.latelanera.com
  13. .
    Sembra che sotto questo pseudonimo si nascondesse " un monaco bavarese nato ai confini del Palatinato Superiore intorno al 1588.
    In ancor giovane età abbandonò ogni cosa per ritirarsi in una grotta e qui il veggente ebbe "chiare visioni dei tempi futuri".

    Segnalo alcune date della storia:
    1789 Turbine di sangue (Rivoluzione Francese)
    1821 Morte di una speranza (morte di Napoleone)
    1914 Pianura di croci (prima guerra mondiale)
    1924 Sulle orme di Cesare (Mussolini)
    1946 Germoglio dell'ulivo (Fine II guerra mondiale)
    1963 Necrologio sull'altare (morte di Papa Giovanni XXIII)

    1984 UN NUOVO PAPA - " Sangue nel torrente".
    Ovunque ci sarà confusione e disordine. Qualcosa di nuovo anche nel Vaticano,ad esempio alcuni particolari del messaggio profetico lasciano scorgere addirittura " un nuovo pontefice",magari straniero.

    1985 LA CINA IN ARMI - La Cina, per difendere le sue frontiere, dovrà ricorrere alle armi. Gravi crisi in europa e nei Paesi socialisti.

    1988 NUOVO RE INGLESE - "Ribellione nel sole". In molti messaggi profetici il
    sole è simbolo di energia atomica. "Fuoco, luce e cenere", queste saranno le
    risultanti. Molte novità. La Gran Bretagna "cambierà trono".

    1990 PERICOLO DAL MARE - Il pericolo, ricorda il veggente, "viene dal mare". La
    lotta di classe sposerà, probabilmente, il profitto.
    Nascera' un'alleanza "ibrida", che porterà in seguito a tensione aspra.

    1991 ARRIVANO GLI UFO - Siamo al "delirio della luca". Il veggente dice che "due raggi di sole sono sprigionati da una montagna di cristallo". Ci troviamo dinanzi a nuovi esperimenti atomici,e l' uomo non è più in grado di controllare l'energia atomica. Si parla anche di "uomini-gufo",forse extraterrestri?

    1993 SPERANZA DI PACE - Un anno di pace, di speranza. Dopo ansia
    dell'ultimo tempo, sembra spuntare "un sole nuovo".

    1994 IL SOLE SI OSCURA - Forse un'eclissi di sole?Gli eventi internazionali stanno precipitando,che sia intervenuto qualcosa che ha provocato una frattura? Il veggente dice
    che un uomo lancera' la sua sfida al sole e il sole si offuscherà".

    1996 IL PRINCIPE NERO -L'Anticristo. Il veggente lo chiama il "Principe Nero". Questo personaggio verrà a rivoluzionare tutti gli ordini sociali. Porterà la guerra nei cuori e nelle menti. Un tempo di grande confusione "e di grande disagio per le persone capaci ancora di vedere la realtà".Che alluda al principe del terrorismo?

    1997 TERREMOTI SCONVOLGENTI -L'anno viene definito "cavalcata sulle nubi". E
    questo lascia intendere ai "cavalli dell'Apocalisse". "Il coltello taglierà la terra come il contadino taglia il pane". Si avranno dei terremoti che cambieranno la Terra. Alcune regioni scompariranno, altre invece emergeranno.


    1998 SENZA PAPA - Viene demolito "il tempio" della vecchia civiltà. Il veggente parla di una "inutile carneficina". E dice ancora che "sulla piazza del tempio stanno germogliando le ortiche". La "piazza " potrebbe essere "S. Pietro" di Roma. In questo periodo, infatti, il trono di Pietro sarà vuoto. Il pontefice sarà lontano da Roma e quando ritornerà "Roma sarà modificata".


    1999 TORNA CAINO- L'anno della resurrezione di Caino. Segni notevoli si avranno sulla terra (terremoti?) e nel cielo. Il veggente dice: "vedrete passare l'arcangelo". Si dice ancora che "le terre dei profeti" (Israele?) non daranno più grano.

    2000 CAMBIA L'EUROPA - "la gloria del fuoco",la trasformazione delle cose attraverso il fuoco",una possibile allusione all'energia atomica. Il veggente, rifacendosi al messaggio biblico, "piange e prega per un terzo dell'umanità". E poi dice che il " volto dell'Europa assumerà un aspetto completamente nuovo".

    2001 DIECI ANNI DI TERRORE Con quest'anno si entra nel "decennio della paura". Molte terre non daranno più grano e le poche spighe che continueranno a mutare saranno avvelenate(possibili avvelenamenti biologici?). Molte sorgenti non daranno più acqua. E quando la daranno sarà veleno.(guerra chimica).


    2002 ARRIVA LA "DEMONATURALCRAZIA - La "notte è passata". Gli uomini ritornano
    a sperare. Il veggente dice che "verrà un prodigio dal mare"che portera' a sperare. Ancora "prodigi" si avranno nel cielo. E una nuova legge guiderà gli uomini verso la felicità. Il socialismo e il capitalismo, a questo punto, appaiono superati. Alcuni profetologi hanno parlato di "demonaturalcrazia", che affonderebbe la sua filosofia nei rapporti che esistono in natura tra gli esseri viventi.

    2007 UN DUCE DAL CIELO - "L'uomo getterà la semente e la piaga rosicchierà le radici". Si annuncia l'evento di "un duce colore del cielo", capace di riorganizzare la vita e guidare gli uomini verso una serenità duratura.

    2012 ARRIVA UN SUPERUOMO - "I rami della pianta avranno un'unica ombra, ma le piante saranno sostanzialmente diverse ,le foglie saranno diverse". Alcuni profetologi lasciano intendere una nuova teoria sul superuomo. Le masse non avranno più un grande peso. Sarà il migliore a guidare chi"vede poco lontano". L'Europa sarà ancora una volta al timone. Ma "la terra della piena felicità" sarà nel continente africano.

    Termina la storia dell'"uomo carne" e inizia la storia dell'"uomo spirito". L'umanità volta pagina e, dopo una parentesi di purificazione chè durerà mezzo secolo, vivrà una nuova parabola: l'ultima. Questa fase vedrà l'uomo in armonia con la natura, ma solo fino al 2500; egli
    ripiomberà infatti negli errori di sempre, cioè nell'egoismo, nel materialismo e nella violenza.

    Le profezie di questo monaco concludono dicendo che "l'umanità è stata segnata da tre diluvi: il primo è stato di acqua, il secondo sarà di fuoco e il terzo sarà di stelle".

    Al terzo diluvio - che dovrebbe coincidere con il periodo che va dal 2500 al 3000 - il cielo si spegnerà per sempre.

    www.ilportaledelmistero.net
  14. .
    Brava. Veramente carini =)
  15. .
    Normale! Assolutamente =)
2826 replies since 24/1/2008
.