The Days of Love

l'ultimo capitolo della Trilogia

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    Nella Terra beata, illuminata dal sole,
    il Bianco demone prende la sua decisione:
    per il bene di molti, sacrifica la sua felicità.
    La storia della sua più nobile azione
    ora si conferma come realtà.

    Ma dove lo porterà questo viaggio?
    Alla vittoria o alla rovina?

    Così nel cuore della notte ha inizio,
    prima che sorga la lieta mattina;

    Per quanto ciò vi sembri strano, e alquanto fittizio,
    cari lettori, v'assicuro che ne conviene parlare.
    Così dunque, alla fine si dia inizio!


    THE LION KING
    DAYS OF LOVE

    O "Lo scontro profetico" - L'ultimo Atto della Trilogia dell'Eremita



    ATTENZIONE: La seguente Fan-fiction contiene materiale fittizio dell'universo Disney.

    PARTE PRIMA: I GIORNI DI NAIROBI



    Capitolo 01: La scelta più importante
    Rupe dei Re, Tanzania
    Domenica, 5 luglio 1998, 17:32


    Il sole brillava di rosso sulla Rupe dei Re, e ogni cosa in quella luce pareva immersa in un lago di sangue; le ombre si distendevano sotto l'immensa rocca di pietra, e la Cunabula Mundi era sprofondata in un silenzio sovrumano, rotto soltanto dai lontani richiami degli uccelli e delle bestie.
    I leoni tutti e gli abitanti della Rupe erano raccolti in quieto cerchio attorno a noi: io, Ralph e Leona, terminata la storia delle nostre tristi vicende, abbiamo mantenuto un silenzio dignitoso, per consentire al Re e al suo popolo di elucubrare. D'altronde, loro lo avevano capito: ero io, e soltanto io la causa di tutti i loro guai; i demoni del mio passato, tornati a tormentarmi dopo tanti anni, nel darmi la caccia, avevano portato un'ombra oscura su quelle terre, e come conseguenza il padre della Regina, Ni, era stato trucidato, e il male minacciava di tornare a regnare sulle loro vite, come durante la tirannia di Scar. La mia presenza in quel luogo di pace, fino ad allora rimasto al di fuori della presa dell'uomo, aveva causato una quasi catastrofe, e altri guai sarebbero giunti in seguito. Da parte mia, sapevo già quale era la soluzione, e per quanto l'idea non mi piacesse, dovetti ricordare a me stesso che era la sola e unica via per proteggere i leoni e la loro casa.
    Dopo quella che parve un'eternità di quiete, Simba sospirò: "Molto bene, Abraham." disse con un filo di voce. "Prima di tutto..." aggiunse, cercando di sembrare formale, "voglio ringraziare te e i tuoi amici per aver condiviso con noi questa storia. So che non è stato piacevole..."
    "E sul serio, non è stato piacevole!" esclamò Timon, che ancora era scosso dai brividi: Pumbaa, dal canto suo era svenuto da un pezzo.
    "... ma comprendiamo il vostro dolore." continuò il Re, la cui angoscia era visibilissima sul muso villoso. L'anello magico permetteva a me e ai miei amici umani di vederlo chiaramente.
    "Avete affrontato una dura lotta, e gli orrori di quei giorni sono rimasti vivi. Lo comprendiamo" aggiunse con un tono che non ammetteva dubbi. "Non c'è bisogno di giurare e scongiurare, perché anch'io ho vissuto un dolore simile."
    Compresi che alludeva al tradimento di Scar e alla morte del Re Mufasa: da un certo punto di vista lo si poteva capire, ma quel leone non era niente in confronto alla causa della mia collera e di tutte le mie sofferenze: Clark Thrive, distruttore di Praga, sfidante della vita, mio nemico giurato per questa e per tutte le età future. Lui non meritava alcuna clemenza, come invece avevo dimostrato con il leone decaduto.
    "Tuttavia, abbiamo anche compreso," continuò Simba, alzando la voce in modo che tutti sentissero, "che tutto quello che credevamo di sapere su di te, Abraham, non era altro che una minuscola parte. Hai fatto cose orribili, tu come i tuoi compagni!" Non c'era clemenza nella sua voce: una cosa che Simba non tollera è la vendetta. Di fatto, lui non aveva ucciso Scar - quell'onore era spettato a me -e gli aveva dato una possibilità di salvare la pelle. Per lui, uccidere per vendetta era il più alto crimine.
    "Tu più di tutti, Abraham, hai ucciso e mentito, distrutto e versato sangue per arrivare fin qui. Vuoi tu negarlo?"
    Gli occhi di tutti furono su di me; non potendo resistere, sostenni lo sguardo di tutti, inclusi Ralph e Leona: loro avevano saputo da poco gli avvenimenti della mia vita con i leoni, e quindi erano i più sbalorditi di tutti. Sapevano che avevo detto la verità, ma per loro era comunque difficile crederci.

    Guardando in cerchio, fissai gli occhi di tutti: Chumvi e Kula; Tama, Tojo, Nala, la piccola Kiara, Kima e Kora, Rafiki, Zazu e Diana, Mirana, Sarabi, Sarafina... e infine Meethu: i suoi occhi azzurri erano luminosi di lacrime, e la sua bocca era chiusa, come se avesse perso l'uso della parola. Deglutii a stento, e rimangiandomi un'imprecazione, sollevai la testa e parlai a voce abbastanza alta da essere udito da tutti.
    "No, Vostra Maestà: io non nego nulla di ciò che ho detto! Dal primo all'ultimo respiro di questo racconto, ho detto la verità - e di essa non vado fiero - ma non posso cambiare il passato, per quanto lo vorrei." Un singhiozzo, interruppe le mie parole per un istante. "Tu stesso hai confermato di conoscere il mio dolore, o Re! Sai cosa vuol dire perdere coloro a cui teniamo di più! Se io assomiglio a Zira per aver perso tutto, tu ed io ci assomigliamo per aver perso la persona più cara." Fissai Simba con intensità negli occhi, che mandavano lampi e lacrime allo stesso tempo. "Tu sai meglio di me, cosa voglia dire. Io non ho potuto fare nulla per impedirlo, e come te, ho vissuto con questa colpa per anni. In questo, noi due siamo più simili di quanto tu possa credere."
    Un sonoro consenso venne dall'assemblea di leoni, e Ralph fece un piccolo applauso addirittura, prima che Simba ruggisse, chiedendo silenzio.
    Il Re Leone si mosse per la prima volta dal termine del racconto, e si avvicinò a me, portandosi a un palmo dal mio volto, e ringhiò di frustrazione.
    "Per quanto io assomigli a te, Abraham, non posso pensare a una soluzione: noi tutti teniamo a te, tutti coloro che sono qui hanno motivo di amarti e di non volere che ciò avvenga. Io più di tutti non voglio farlo, e non lo farò, a meno che non sia tu a volerlo!" Con un sospiro immenso, mi guardò negli occhi, ormai lacrimante.
    "Che cosa devo farne di te, Abraham?!"
    Di fronte a quel leone sinceramente commosso, non potei trattenermi: con uno slancio improvviso, gli gettai le braccia al collo, e credeteci o meno, piansi; piansi copiosamente, inzuppando di lacrime quella criniera stupenda; piansi fino a che i miei occhi non furono asciutti, e roca la voce. Anche la dignità del Re cedette, e pianse a sua volta, anche se con meno fragore di me – e certo che stavo piangendo in maniera alquanto sommessa; le leonesse ruggirono al cielo con macabri lamenti, mentre Ralph singhiozzava sommesso, e Leona e Rafiki tacevano, incapaci di sfogarsi, ma consci a loro volta della sofferenza che ci accomunava. Timon era quello che frignava con maggior fragore, sciogliendosi in lacrime come una fontana.
    Quando quel pianto immenso fu finito, quando per dirla bene, ci fummo sfogati tutti, guardai Simba e il branco; sorridendo, con loro gran stupore, dissi quello che pensavo: non avrei voluto farlo, ma sapevo, che non c'era altra strada.
    Doveva accadere, punto e basta.
    "Già più volte te lo dissi, e ancora una volta te lo ripeterò: io e io solo, sono la causa di tutti i vostri guai. Avevo ben ragione di non voler tornare qui. Sapevo che un giorno, coloro che segnarono la mia vita sarebbero tornati a torturarmi, e che nulla, se non la morte, li avrebbe fermati." Tutti pendevano dalle mie labbra, con le orecchie tese e gli occhi sgranati.
    "Finché io sarò in queste terre, non vi potrà mai essere pace per voi, lo capite? Io devo andarmene, e Ralph e Leona con me! Loro sono coinvolti non più di quanto lo sia io! E per questo motivo, né io né loro dobbiamo indugiare. Faremo ciò che dobbiamo: partiremo per Nairobi il prima possibile, lasceremo questo continente e non torneremo mai più in Africa!"
    Il gemito delle leonesse risuonò terribile a quella notizia: ci vollero svariati minuti per placare la loro protesta, e svariati interventi di Rafiki e Simba per calmare la ressa.
    Quando tutti si ripresero, e la calma tornò nell'aria carica di elettricità, potei continuare: "Potreste dire che vi sto rinnegando, e avreste ragione: ma è per il vostro benessere; l'ultima cosa che voglio è che una nuova sventura vi colpisca di nuovo per causa mia. Sarebbe peggio della morte per me, non lo capite?" La commozione si stava di nuovo insinuando in me, minacciando di farmi scoppiare in un nuovo pianto. Ma riuscii a trattenermi.
    "Io non sono un membro di questo branco! Mai lo sono stato, e mai lo sarò! Sono un assassino nell'anima! Sono nato consacrato alla morte! E quindi, il male alberga da sempre in me! A me non è consentito restare qui un secondo di più!"
    Simba sgranò gli occhi: aveva già capito cosa volevo.
    Non gli detti il tempo di reagire, ed esclamai con forza, fino a farmi sentire dalle nuvole più alte nella volta del cielo, dove le prime stelle della sera facevano capolino.
    "Per questo motivo, Simba, figlio di Mufasa, Re della Rupe dei Re, non sarai tu condannarmici, ma sarò io stesso a chiederti, anzi a comandarti di condannarmi, assieme a Ralph e Leona, come fossimo i peggiori di tutti i traditori! E non uscirtene con la storia della nostra amicizia! Sai che è necessario più di quanto lo sappia io stesso!"
    Un gemito percorse la Rupe: tutti avevano capito.
    "Simba!" esclamai, conscio di aver superato la soglia finale, e di non poter tornare indietro.

    "Io ti comando di condannarci all'esilio!!!"



    TO BE CONTINUED

    E così, ha avuto finalmente inizio la mia sesta Fan-fiction, e con essa la conclusione di una - perdonatemi la mancanza di modestia - saga leggendaria. Avrei voluto aumentare la suspense, e a lungo ho riflettuto, ma alla fine ho capito che non valeva la pena aspettare, e cominciare con il botto. Lasciate qui i vostri commenti. E dopo questo inizio me ne aspetto molti, stavolta, marraccumanne! ;)


    Edited by Gaoh - 22/6/2014, 14:54
     
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  2. Pridelands98
     
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    Ed eccoci all'ultimo capitolo della saga dell'Eremita, eccoci arrivati Gaoh. Caspita, non riesco a credere che siamo già all'ultimo atto della saga di Abraham. L'inizio è stato (ovviamente) spettacolare, ma caspita non riesco a credere che Abe abbia chiesto a Simba di essere esiliato, perché, che senso avrebbe? Non può andarsene semplicemente senza essere esiliato?! Comunque bravissimo come sempre Gaoh, aspetto il prossimo capitolo. ;)
     
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    Sento che il mio personaggio non è apprezzato; ho soltanto due commentatori, ormai... avevo in mente di fare uno Spin-off non canonico con il secondo film.
    Ma forse dopo questa dovrei fermarmi e basta.
     
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  4. Somoya
     
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    calmo Gaoh, è solo un momento di crisi mistica, tra esami, professori, chiavette che esplodono, i tuoi lettori sono scomparsi, ma sono sicuro che ritorneranno, intanto dacci dentro con questa FF che si preannuncia uno spettacolo! poi vedendo facendo ;)


    ordunque, Simba è stato parecchio comprensivo, ha trattato Abe da fratello, anche se gli ha fatto notare (giustamente) che gli aveva nascosto il fatto che aveva steso millanta nemici (secondo me non è imputabile ù.ù)
    ora... forse non ho capito ma!? ESILIO!??!?!
    bè si ci sta, dove non c'è Abraham non c'è pericolo, ma chissa come la prendono i leoni?
    sono curioso, parecchio, ti prego posta presto
    fino a che riesco a scroccare connessioni ^^"


    continua cosi Gaoh!!!
     
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    Grazie, Somoya.
    Mi fa bene, sentire queste cose.

    E ora, dopo aver alzato la suspense con il primo capitolo, è tempo di darsi da fare, e mostrare che razza di capitolo si crea, mescolando insieme la tenerezza, combinata alla concretezza e a una buona dose di sana rassegnazione.

    Capitolo 02: Per il bene di molti
    Terre del Branco, Tanzania
    Lunedì, 6 luglio 1998, 21:03


    Quella notte, la luna era più grande della terra; aveva divorato tutto...
    parole di fratellanza e di odio... preghiere... struggenti momenti di pace, e pericolosi silenzi di conflitto.
    Corpi e respiri, aveva risucchiato dalle caverne, e mangiato gli angoli bui sotto l'ombra imponente della Rupe dei Re.
    La reazione dei leoni e delle leonesse era stata formidabile: si erano scagliati contro di me con forza, mi hanno urlato mostrando le bianche zanne, pregandomi, implorandomi con i loro occhi che mandavano lacrime di rabbia e di tristezza. L'ultima cosa che avrei voluto fare, era infliggere nuovo dolore a tutti loro. La mia partenza li avrebbe afflitti enormemente, forse per il resto dei loro giorni, ma io non potevo evitarlo: dovevo partire, e non tornare mai più in quelle contrade. Sentivo che se fossi rimasto a lungo, mi ci sarei perduto per sempre, dimenticando chi ero e dovevo rimanere.
    Per quanto sia forte il legame che mi ha vincolato all'Africa e alle sue bestie, non ho voluto prendere altra scelta.
    Simba richiese tuttavia, una notte per pensarci su. Da quel che ne so, nel silenzio della Rupe dei Re, il sovrano non aveva chiuso occhio - o almeno così mi è sembrato quando si presentò a me quella mattina.
    La sua voce era straordinariamente pacata, quando mi parlò davanti a tutto il popolo riunito: aveva fatto le cose in grande, e voleva - naturalmente - che tutti vedessero, sentissero e sapessero cosa sarebbe accaduto. Con grande dolore da parte sua e di tutti i membri della Rupe, mi disse che avevo tempo fino alla mattina seguente, quella di martedì, per recuperare quanto era in mio possesso e presentarmi con i miei compagni per la solenne cerimonia dell'esilio. Era tipico di Simba, pensai, il fare le cose in grande. Se faceva qualcosa di estremamente importante, dal dare una festa, al marciare in battaglia, aveva bisogno che tutti lo sapessero: era un sovrano assennato e prudente, e non faceva mai nulla senza essere doppiamente sicuro che tutto andasse come diceva lui, ma la sua indole più profonda era segnata dagli orrori di una vita difficile, e a meno che quelle ferite non guariscano, egli morrà come un leone tremendamente paranoico.
    Quando la notizia fu resa ufficiale, egli lanciò al cielo un ruggito come mai ne aveva lanciato uno: potente, assordante e colmo di rabbia, ma al tempo stesso, simile a un macabro gemito di cordoglio, al quale echeggiarono i lamenti di tutta la Rupe e le urla di ogni bestia che è sotto il cielo delle Terre del Branco, dai barriti fragorosi degli elefanti, alle acute strilla delle scimmie, ai muggiti degli gnu e degli ungulati vari della Cunabula Mundi; era così che doveva andare.
    Nessun'uomo mai più, dopo di me, avrebbe dovuto turbare la pace serena di quel mondo incantato e remoto.
    L'unico gemito che non riuscii a sentire era Meethu, anche perché egli, nel suo silenzio terribile, non riusciva a parlarmi.
    Tuttavia, egli non aveva perduto del tutto l'uso della parola. Quella notte, la notte prima dell'esilio, io, Ralph e Leona ci salutammo per andare a prepararci: loro si diressero verso la Jeep a raccattare tutti gli attrezzi che si erano portati dietro, imballarli, e stiparli nell'immenso bagagliaio, grande abbastanza da poterci nascondere un leone, e anche di più; in quanto a me, mi ritirai a sud, verso la mia vecchia caverna, laddove a lungo mi presi cura del leoncino salvato dalle iene; non entrai, onde evitare di farmi prendere dai ricordi e dal rimorso. Passai in rassegna le mie armi, ripulite di recente: la corda dell'arco era stata riparata, l'ascia e Murasame brillavano alla luce della luna, talmente intensa in quella notte, da rivaleggiare con il sole del mattino.
    Rimasi da solo per almeno due ore sotto la luna, silenzioso, incapace di pensare ad altro che a quello che dovevo fare, e che andava fatto il prima possibile, quando un fruscio nell'erba risvegliò i miei sensi.
    Sentii il passo felpato sul florido suolo, e il suo respiro farsi più forte: una testa grossa e villosa si aprì la strada sotto il mio braccio, e gli occhi Meethu brillarono su di me dal riflesso della spada che tenevo tra le mani.
    Lentamente, mi voltai a guardarlo: i suoi occhi davano segno di aver sparso lacrime in quantità.
    Sapevo che non l'avrei scampata: dovevo confessare tutto.
    "Tu più di tutti hai il diritto di odiarmi." sussurrai. "Io non ti odio." rispose quello con voce rotta dal lungo pianto.
    "Per tutta la tua vita, Meethu," continuai, "sei cresciuto nelle mani di un essere spregevole, che nulla più ha di naturale in sé."
    "Abe..."
    "Hai sentito cosa è successo a Praga?" ripresi con maggiore forza. "Io sono un mostro! Un demone! Ho rinunciato alla mia umanità per vendicare Mina, facendo qualcosa che l'avrebbe inorridita, e che mi avrebbe provocato vergogna infinita se lei avesse visto cosa sono diventato! Al solo pensiero il mio cuore sanguina, e il mio astio si fomenta tutto su di me, poiché non posso altro! Tu sai cosa sono, Meethu!" conclusi con rabbia soffocata. "Tu lo sai! E sei libero di odiarmi così come io odio me stesso!"
    "Io non ti odio, Abe!" esclamò lui, scandalizzato.
    "E invece dovresti!" ribattei subito. "Shenzi aveva ragione, quando disse che non sapevi nulla di me. Io ti ho mentito fin dall'inizio, senza dirti nulla, facendoti credere che io fossi una brava persona, e permettendoti di chiamare me, un mostro, il tuo amico! Ti ho reso un torto imperdonabile, e per questo hai il diritto di odiarmi, anzi no" realizzai con una vena di follia, "Tu devi odiarmi!"
    "Io NON ti odio!!" esclamò Meethu con forza, spingendomi fino a farmi cadere: mi inchiodò al suolo con la zampa, e mi soffiò in faccia.
    "Io non potrei mai odiarti, Abraham! Sei mio amico, e lo sono anche Ralph e Leona! Tu ti sei preso cura di me fin da quando ero un cucciolo! Mi hai insegnato a cacciare, a combattere, a leggere e a scrivere! Come potrei mai odiarti? Solo perché il tuo passato è colmo di cose orribili e tu non me ne hai parlato, io non ti odio!"
    I miei occhi si spalancarono a sentirlo parlare così: la sua devozione nei miei riguardi, era qualcosa di sbalorditivo: ma dovevo disilluderlo.
    Tuttavia, non mi diede il tempo di rispondere.
    "So che credi che sia colpa tua e del tuo orgoglio se Mina è morta, ma non è così! Sono stati quegli uomini malvagi che l'hanno uccisa, per indurti a fare il loro gioco! Non è forse così che fanno i cattivi? Ma tu li hai fermati! Li hai sconfitti, e anche se non sei un eroe, io ti vorrò sempre bene!" Notai con grande sgomento che piangeva a dirotto, facendo piovere a catinelle sul mio volto. Con un gemito inarticolato, si abbandonò sul mio petto, singhiozzando e piangendo come il cucciolo di un tempo.
    "Quindi ti prego! Non andartene, Abe!"
    "Lo sai che devo, Meethu" mormorai triste. "Ho fatto troppe cose orribili per restare qui; è giusto che domani io lasci queste terre, una volta e per sempre."
    Al sentirmi dire queste cose, Meethu piagnucolò e si strinse con forza maggiore, segnando lievemente il mio petto con gli artigli. Quasi involontariamente, cinsi la forte schiena con le braccia e lo strinsi a me per calmarlo.
    Che cosa mi stava succedendo?

    --------------------------------------------

    Lentamente, Meethu si riprese: sollevandosi da me, mi guardò con sguardo implorante.
    "Non mi importa che cosa tu abbia fatto, Abe! Tu sei mio amico, e lo sarai sempre! Qualunque cosa accada!"
    "L'irreparabile accadrà domani, Meethu!" risposi freddo e inesorabile. "Quando sarò esiliato, andrò a Nairobi, e da lì prenderò l'aereo che mi riporterà in patria, a Londra! Laddove tu non potrai seguirmi!"
    "E così" fece lui sordamente, "avrai la tua vita, lontano da noi, lontano da me, in terre oscure e rovinate, ma assieme ai tuoi amici? Vorresti dunque rinnegarmi?"
    I suoi occhi minacciavano un nuovo pianto. Era esasperante.
    Possibile che quel piccolo sciocco non avesse ancora capito?
    "E' per il vostro benessere, Meethu." dissi asciutto, e con voce assai più dolce di quanto volessi. I suoi occhi azzurri si spalancarono e brillarono sotto l'intensa luce lunare.
    "Il... nostro benessere?"
    "Te l'ho già detto. L'ho detto a tutti! Coloro che mi tormentarono in passato sono ancora vivi, e se resto qui sarà la fine per voi tutti! Mi daranno la caccia fino alla morte, e con me, distruggeranno chiunque cercherà di proteggermi. Tuo padre è stato solo il primo!" conclusi, fissandolo con intensità e con tono che non ammetteva repliche. "Fa in modo che sia anche l'ultimo! Ti prego!"
    Meethu tacque, paralizzato dalle mie parole. Convinto di averlo placato definitivamente, tornai a lustrare le mie armi; tuttavia, la sua voce tornò, debole e fioca.
    "Ma perché l'esilio?? Se proprio devi andartene, non puoi salutarci, andartene e basta? Perché vuoi essere trattato come un traditore e un assassino?"
    Sospirai ancora una volta, mi feci coraggio, e ripresi a parlare.
    "Perché traditore e assassino sono termini giusti per me. Ho mentito e imbrogliato, ucciso e sviato innumerevoli per sopravvivere con lo scopo più disonorevole - la vendetta! Tu non saresti mai capace di una cosa del genere: perfino quando hai sbranato Mizuki, lei era già morta." aggiunsi riferendomi alla mia vecchia maestra, trucidata per mia mano lo stesso giorno della morte di Ni. "Tu non saresti mai capace di uccidere qualcuno spinto dalla rabbia, Meethu. Così come nemmeno Simba o qualcun altro della Rupe. Voi leoni siete troppo innocenti per capire."
    Meethu rimase in silenzio a guardarmi.
    Non so cosa mi spinse a farlo, ma volli rincarare ulteriormente la dose.
    "Io voglio essere esiliato perché non sarei mai dovuto tornare; la colpa è unicamente mia, l'ho già detto più volte, e lo farò altre mille volte se sarà necessario. Fintanto che io vivo, i miei nemici non si fermeranno di fronte a nulla. Sento in me che quanto mi ha profetizzato Rafiki sta per avverarsi, ma se voglio sopravvivere ed evitare la guerra devo scappare e nascondermi! Non credere che non mi senta un vigliacco!" aggiunsi prontamente, prima che il giovane leone potesse replicare. "Fuggire è una scelta disonorevole, ma troppi hanno già sofferto per i miei errori. Non voglio che altri muoiano a causa mia. Se un giorno dovrò combattere, voglio essere sicuro che nessuno al di fuori di me e dei miei nemici venga coinvolto. Deve andare così. Devo essere solo!"
    Il silenzio della notte sembrò tremare per la potenza delle mie parole.
    Meethu mi guardò in silenzio, e venne a strusciarsi contro la mia schiena.
    "Mi mancherai, Abe."
    Il mio istinto più debole minacciò di cedere: rimangiandomi le lacrime e una sonora imprecazione, gli carezzai il muso, evitando di guardarlo direttamente.
    "Vai ora, e dormi tranquillo" mormorai, quasi senza voce. "Da domani, tutti i tuoi guai, e tutti i pericoli in queste terre se ne andranno con me."
    Meethu fece le fusa malinconico, ma si ritirò quando terminai la frase. "Va bene."
    Lo sentii allontanarsi da me: lentamente richiusi la mia fidata Murasame nella sua cassa, infagottai scure e strumenti nello zaino, e mentre le nubi più nere sporcavano la luna, mi coricai per dormire.
    Non feci in tempo a chiudere gli occhi, che sentii Meethu esclamare da lontano: era tornato indietro di qualche passo per un'ultima domanda.
    "Ma almeno ci permetterai di salutarti per l'ultima volta, vero?"
    Non riuscivo a crederci: quel leone era incorreggibile.
    Esclamai a voce abbastanza forte da essere udito, mentre l'immenso astro si nascondeva dietro la nuvolaglia:
    "Torna alla Rupe, torna alla tua famiglia! E non volgerti mai più verso di me, Meethu!"
    Mentre il leone correva verso la sua giusta casa, la sua ultima domanda mi rimbombò a lungo nel cervello.
    Non potei fare a meno di rispondere tra me e me, prima di cedere al sonno:
    "Se la cosa non si potrà evitare..."
    Il mio cervello fu traversato da una miriade di immagini, la luce dell'eternità mi travolse, e il mio cervello sprofondò in un lungo sonno senza luce.

    TO BE CONTINUED

    Lasciate qui i vostri commenti.


    Edited by Gaoh - 22/6/2014, 14:58
     
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  6. Pridelands98
     
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    Fantastico, meraviglioso! Dio mio Gaoh, quasi stavo per mettermi a piangere. :cry: Abraham con Mheetu è stato duro ma giusto, è per il bene stesso dei leoni che l'Eremita e i suoi compagni devono andarsene. Bravissimo come sempre Gaoh, continua così.
     
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  7. Platero
     
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    Bellisimo Gaoh, bravissimo.
    Continua cosi.
     
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  8.  
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    Amico mio, se non ti spiace, potresti leggere le mie altre FF legate a questa Tetralogia... a meno che, di certo, tu non commenti per il gusto di farlo, ma va bene anche così.
     
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    OK. Odio dover metterci tanto, ma aspettare commenti è dura, soprattutto in un Fan Fiction che, lo so, c'entra ben poco con il Re Leone.
    Con ogni probabilità, lo spin-off renderà meglio in futuro.

    WARNING: Questo capitolo contiene molti avvenimenti, e quindi sarà di lunghezza considerevole

    Capitolo 03: Ultimo addio
    Terre del Branco, Tanzania
    Lunedì, 7 luglio 1998, 15:22


    Al sorgere del sole, cosa alquanto strana, mi sentii straordinariamente a mio agio. Il primo sole brillò su di me come non aveva brillato per molto tempo: riconobbi i segni di un mondo che stava cambiando, libero dalla mia presenza, finalmente scevro da ogni sofferenza. Dopo quelle poche ore che mi separavano dal momento sublime, avrei lasciato le Terre del Branco per non tornare mai più.
    Ripensare a tutto ciò che avevo passato in quelle terre, tuttavia, fu insostenibile anche per me: i musi che sarebbero stati inespressivi senza la magia dell’Anello, sorridevano nitidi nei miei ricordi; la potenza del loro abbraccio immenso, il tuonare dei ruggiti armoniosi e il brivido intenso di cento e più battute di caccia sotto il sole africano…
    Non potei impedire a me stesso di lacrimare.
    Ma non sarebbe durata a lungo: come prima cosa, pensai alla colazione. Consumai in silenzio le gallette e il formaggio che Leona mi aveva dato, e mi misi in cammino verso la piana che sta di fronte alla Rupe, laddove avrei passato le ultime ore in attesa della condanna. Quando, a metà strada, incontrai Ralph e Leona, rimasi interdetto: lei pareva ben composta, con il suo poncho mimetico sulle spalle e i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle e lungo la schiena, ma Ralph…
    Le cosa che subito mi saltò agli occhi, non fu il suo volto rasato di fresco, né tantomeno la sua camicia hawaiana o il cappello bianco con visiera e gli occhiali da sole… ma la cospicua caffettiera da campeggio che teneva in mano, e la tazzina di porcellana che teneva nell’altra. Quando mi avvicinai di più per parlargli, Leona mi salutò, ma io mi rivolsi a Ralph: che cosa stava combinando quell’idiota? Non riusciva neanche a trovare serietà in una situazione come quella?
    “Ralph! Che cosa significa questa pagliacciata?” Lui si limitò a mugolare, facendomi presupporre che non avesse dormito. Ma Leona smentì il mio sospetto.
    “Hai sentito cosa ha detto Simba: la cerimonia si svolgerà stasera alle prime luci del tramonto, quando tutti i sudditi saranno riuniti. Se vogliamo arrivare a Nairobi il prima possibile, dovremo viaggiare per tutta la notte, e anche alla massima velocità, non la raggiungeremmo prima del mattino.
    “E quindi bisogna che stia sveglio!” Fece sordamente Ralph, che con la sinistra faceva oscillare la caffettiera, fortunatamente chiusa e sigillata. “Non vorresti mai che mi addormentassi mentre sono alla guida, giusto Abe?” Mi rivolse quell’ultima domanda con un sorriso, al quale non seppi replicare, se non dicendo questo avvertimento alquanto egoista:
    “Bere troppo caffè rende nervosi…”
    Prima che fossero le nove del mattino, eravamo giunti a destinazione: laggiù trovammo tutti i musi della Rupe ad attenderci. Meethu, seduto in disparte, volse la testa verso di me, non appena cominciammo a salire; ma ci fermammo a debita distanza, onde evitare di restare coinvolti in una conversazione. Lo stesso Ralph, che è più impiccione di una comare pettegola, se ne stette zitto ed immobile con la sua attrezzatura, la sua moka e il suo caffè. Kula e Tojo ci rivolsero uno sguardo triste, mentre Tama e Chumvi chiacchieravano sottovoce in disparte, i loro figlioletti angosciati tra le loro zampe. Diana, Kima e Kora stavano ancora sonnecchiando sul pianoro sotto la Rupe, mentre Simba, Nala, Sarabi e Sarafina erano seduti in semicerchio, e quando ci videro arrivati, distolsero lo sguardo, l’uno corrucciato, e le altre addolorate.
    Non sapendo che fare, ci sedemmo sul ciglio della Rupe, a scrutare quelle terre meravigliose, che di lì a poco avremmo dovuto lasciare per sempre. A lungo allietammo i nostri sguardi sulla savana rigogliosa, in piena stagione secca. La bellezza singolare della Culla del Mondo ci fece sprofondare nella contemplazione di una creazione perfetta, e il tempo si fece gioco di noi, tanto che il momento dell’esecuzione della sentenza reale giunse prima che ce ne potessimo rendere conto.
    Ricordo bene che, a un certo punto, Simba mi chiamò con un rauco ringhio, e mi prese in disparte. Mi disse solo di seguirlo, e io lo feci, financo in cima alla Rupe dei Re. Lassù, ci sedemmo uno di fianco all’altro, mentre il sole del meriggio, toccato lo zenit, cominciava la sua parabola discendente.
    “Guarda, Abraham!” Disse il Re, con voce malinconica, tuttavia straordinariamente dolce. “Tutto ciò che è illuminato dal sole è il nostro Regno. A lungo ho meditato, e so, che ovunque andrai, una parte di te sarà sempre in questo Regno.”
    Non ebbi tempo di protestare, e comunque, non lo nego, non avevo voglia di lagnarmi. Egli proseguì:
    “Tu giuri e scongiuri di essere la causa dei nostri guai, mostrando a cuore aperto il male che è in te, e questo ti fa onore. Ma ti assicuro” aggiunse facendosi ad un tratto feroce e solenne, “che per quanto tu ti confessi uno spergiuro e un assassino, nulla potrà mai cancellare il ricordo di quello che tu hai fatto per questa terra.” Lentamente, volse la testa verso di me, e con intensità struggente, mi fissò negli occhi, occhi che sembravano volermi stringere in un laccio di infinita solidarietà. “Tu avrai sempre la mia fiducia, Abraham, ed è per questo che sei mio amico.”
    “Perché… Noi siamo amici, non è vero?"
    Non potei resistere: ancora una volta, per quella che sarebbe stata l’ultima volta, gettai le braccia attorno al collo del Re Leone, e lo strinsi a me con tutte le forze. Simba rispose al mio abbraccio con insolito vigore, e il mio Anello brillò come non mai: benché fosse in pieno giorno, la luce dell’Anello era visibile da svariate miglia di distanza, come un faro nella notte, e in quel momento, fu come se il mio Dono delle Lingue fosse impazzito: sentivo quella frase meravigliosa e terribile echeggiare in ogni fibra del mio corpo e della mia mente, in un milione di lingue diverse, umane e disumane, concrete e astratte, fisiche e mentali: e ogni sfumatura di quella frase divenne una sensazione psicofisica che mi fece fremere, e i miei occhi zampillarono in lacrime ancora una volta, ma la mia bocca si stirava in un sorriso, come non ne appariva uno sul mio volto da anni. Sentii il rimbombante suono delle fusa del leone scuotere le mie membra, mentre carezzava la mia schiena con la robusta zampa, e i miei capelli con la testa villosa, dandomi talvolta dei morsi scherzosi alle ispide ciocche.
    Quel nostro ultimo abbraccio, fu il più grande e il più importante: mi separai da lui solo dopo pochi lunghi minuti, e fissandolo negli occhi, risposi alla domanda: “Lo sai che è così. Amici per sempre, anche se distanti, anche se lontani mille mila miglia, Simba. Amici per tutta la vita.”
    “Abraham…” mormorò quegli intenerito, e con la calda lingua, cominciò a lambirmi il viso e le mani, facendomi ridere e tossire. L’Anello sembrò brillare di gioia estatica per quella sensazione, e io, segretamente, ringraziai al cielo che fosse avvenuto subito, dandoci la possibilità di sfogarci, prima che fosse giunta l’ora, in cui avremmo dovuto risparmiarci simili frivolezze.
    Quando tornammo giù, ci imponemmo di mantenere decoro, onde evitare situazioni di grave imbarazzo. E finalmente, dopo essere rimasto da solo con i miei compagni umani, finalmente giunse l’ora. L’ora in cui Simba ci richiamò con un ruggito immenso. Le mandrie si mossero: tutta la Rupe di radunò, inclusi Rafiki, Timon e Pumbaa. Le bestie, dai ghepardi alle zebre, dagli okapi alle scimmie, agli elefanti ai buceri – primo fra tutti, Zazu – alle gazzelle, financo alle alte giraffe e ai rinoceronti, si ammassarono sotto l’alta rocca di pietra, per udire l’ultimo verdetto reale.
    Il tutto si svolse nella più assoluta formalità; nessuna emozione doveva trasparire, e doveva andare così, senza fronzoli o infiorettature; per il loro bene, mi ricordai, doveva essere fatto.
    La perorazione di Simba fu notevole, e richiese non meno di un quarto d’ora abbondante; riporterò solo le ultime battute, non meno importanti delle prime:
    “… e di fronte alla luce di queste rivelazioni, è stata presa la decisione per gli umani Abraham, Ralph e Leona. La loro colpa è ricaduta in disgrazia su di noi, e ora, per la legge, essi mi hanno chiesto di essere giudicati…” Sentivo la sua angoscia, anche se era bravissimo nel mascherarla. Ralph, durante la perorazione aveva già trangugiato non meno di tre tazzine di caffè, e aveva dei lievi tremori al ginocchio.
    “Quel giorno, è arrivato!” Concluse Simba, e con un ruggito alto, chiaro e limpido, affinché tutti potessero sentire, urlò al cielo la parola fatale.

    “ESILIO!”


    Ed il branco lanciò un immenso richiamo che echeggiò come il più fragoroso dei terremoti.

    --------------------------------------------

    Simba da solo osservava dalla sua posizione di Re: tutte le altre leonesse e i leoni erano di fronte a noi, e sebbene fossimo appena stati esiliati, non poterono mancare di venire a salutarci: Tojo e Tama abbracciarono Leona con tenerezza, strofinando a lungo le teste villose contro il petto e le forti spalle della soldatessa; i figli di Tama e Chumvi si strofinarono contro le sue ginocchia, mentre Chumvi e Kula correvano da Ralph per abbracciarlo: lui si era ben preparato, mettendo da parte tazzina e moka. A stento riuscì a non piangere come una fontana. Singhiozzò fragorosamente, sibilò un paio di imprecazioni tra i denti, una lacrima sfuggì nell’ombra della visiera e degli occhiali da sole, ma nulla di più.
    In quanto a me, Sarabi e Sarafina si fecero avanti insieme: Sarafina poggiò la testa contro il mio cuore e ronfò tristemente. “Puoi dire quello che vuoi, ma sentirò la tua mancanza. Sei stato un padre per Meethu, e come un secondo compagno per me, Abraham. Perdere te ora,” aggiunse piangente, guardandomi negli occhi, “è come perdere Ni un’altra volta…”
    “Lo sai che deve andare così.” Mormorai, dandole un bacio in fronte, e lasciando che lei desse spazio al commiato di Sarabi, la prima che incontrai in quelle terre.
    “Mi disprezzi per quello che sono, Sarabi?” domandai a stento. Lei scosse la testa con un sorriso. “Non ha importanza chi tu sia o cosa tu sia diventato, Kijana.” Riconobbi il mio nomignolo africano e sorrisi. “Ci sarà sempre un posto per te, nel Branco, e nei nostri cuori.” Concluse lambendomi a sua volta il viso con la calda lingua. Le carezzai le soffici orecchie e il muso, facendola ronfare serenamente.
    Ultima, ma non ultima, giunse Nala, con la piccola Kiara: la principessina, subito si lanciò verso di me, e abbracciò le mie ginocchia – per quanto possibile – e Nala mi fissò: gli occhi della Regina trasudavano dolore.
    “Sii forte, Nala” mormorai. “Per il bene di tua figlia e della Rupe tutta.”
    “Non ti dimenticherò mai, Abraham Colin Mist” disse lei con un fil di voce, e tuttavia, con tono tale da non ammettere repliche. “Voglio che tu lo sappia e lo ricordi per sempre!”
    Prima che potessi aggiungere altro, ella fece scattare la testa in avanti e mi posò un piccolo bacio sul labbro inferiore e mi leccò a sua volta il viso.
    “Oh, Nala…”
    Piangente, la strinsi a me, baciandole la testa più volte. Finalmente mi separai anche da lei, come i miei compagni dai loro amici leoni, mentre le leonesse si scioglievano su di loro in effusioni e lamenti. Meethu poteva essere lieto: almeno li avevamo salutati.
    Parlando di lui, quando Nala si separò da me, mi si avvicinò, e mi guardò con intensità maggiore rispetto a chiunque altro. La mia bocca rimase chiusa: se voleva dirmi qualcosa, io non l’avrei interrotto.
    Si scosse prima che il pianto gli sfuggisse. Le sue due parole, le ultime che avrei dovuto udire da lui, mi colpirono come nient’altro: “Addio, Abraham!”
    Per un secondo rimasi interdetto, ma dovetti dare di nuovo quella crudele speranza di una possibilità: dopo tutto, il mondo è vasto, e ci sono sempre possibilità di rincontrarsi in futuro: non è così che pensano tutti gli eremiti?
    E per questo gli risposi, con un sorriso: “Arrivederci, Meethu. Arrivederci.

    E con questo, scendemmo verso la jeep.

    Non restava altro da fare che mettersi in moto per Nairobi, procurarsi i biglietti per una qualsiasi classe, e tornare in Inghilterra, dove avrei potuto dedicarmi a una vita normale, e chissà, alla disfatta in gran segreto, dei miei avversari.
    Gli animali del Branco si spartirono in due ali separate per lasciarci passare: non era un esilio come gli altri avvenuti in passato, di questo ero sicuro: fino alla fine, Simba non voleva trattarmi da vile quale io ero e sono. Ma non potevo evitarlo: l’affetto che mi univa a quel leone, a Meethu e a tutti gli altri della Rupe, era qualcosa di insormontabile come l’eternità.
    Tuttavia, non avevamo raggiunto neanche le colline, che un suono familiare giunse alle mie orecchie, e non solo alle mie: ci voltammo tutti e tre… ma si immagini il mio stupore e la mia commozione, quando sentii cosa stessero cantando.

    Tama & Kula: La la, la la, la la, la la…
    Chumvi & Tojo: La la, la la, la la, la la…
    Simba: La gaia canzone fa l’eco languir…
    Sarabi & Sarafina: E l’ilare suono si muta in sospir.
    Timon: Con vago miraggio, riflette la luna, l’argenteo suo raggio sull’ampia laguna…
    Nala: E in quel si sublima il riverbero pio…
    Timon & Pumbaa: Patetica rima creata da Dio…
    Leoni e Leonesse: La la, la la, la la, la la… La la, la la, la la, la la…
    Rafiki, Zazu, Timon & Pumbaa: Udite le blande canzoni vagar…
    Leoni e Leonesse: Il remo ci scande gli accordi sul mar.
    Sarabi, Sarafina, Tama & Kula: Ten va, serenata per l’aere sereno, per l’aere sereno…
    Ten va serenata, per l’onda incantata, per l’onda, per l’onda incantata…
    Simba & Nala: Udite le blande, le blande canzoni vagar.


    Non potevo credere che tutto ciò stesse accadendo davvero, al punto che ancora oggi mi domando se sia avvenuto davvero, o se sia stato solo il più meraviglioso dei sogni: in ogni caso, io mi sentivo delirante, febbricitante, istupidito di fronte al fatto che stessero intonando la serenata, quella serenata a me tanto cara, per me, e in un momento simile: i miei occhi minacciarono nuove lacrime, ma riuscii a trattenerle, finché non udii lui, il più sublime cantore.

    Meethu: Se il cielo s’oscura, tu non t’intrisitir…
    Chumvi: La notte serena non ti può ferir…
    Meethu & Tojo: La luna risplende serena sul mare, nel vuoto si stende, è l’ora di andare…
    Meethu: Ten'va serenata, per l’aere sereno…
    Ten'va serenata, per l’onda incantata.
    Il canto è la vita, di sogni si pasce, di sogni si pasce…
    Ai sogni ci invita, nei sogni rinasce e rinasce…
    Udite le blande canzoni vagar.
    Simba: D’un’anima ignota è l’eco fedel:
    Nala, Sarabi & Sarafina: L’estrema sua nota si perde nel ciel.
    Rafiki, Zazu, Timon & Pumbaa: Si perde nel ciel.
    Leoni e leonesse: Si perde nel ciel.
    Meethu: Si perde nel ciel.



    Come finì il canto, non potei reggere: con gemito strozzato, mi voltai, dando definitivamente le spalle alla Rupe, e parandomi il volto con le mani per non guardare più tanta magnificenza, lo spettacolo sublime cui avevo appena assistito e di cui ero indegno. Leona stessa versò lacrime sul sorriso che le sbocciò in viso, sebbene riuscisse a mascherarlo bene, tirando il cappuccio sulla fronte, e Ralph, dopo aver trangugiato la sua settima tazza di caffè, vuotando così la moka, riuscì solo a borbottare, tirando su col naso. “Magnifico… davvero magnifico.”

    E, riprendendo la nostra marcia, consci del fatto che, non li avremmo mai più rivisti né sentiti, oltre che non avremmo mai e poi mai potuto dimenticare quel canto, neanche provandoci per mille anni, finalmente, ci dirigemmo verso la nostra jeep.

    TO BE CONTINUED

    … ho messo anima e corpo in questo capitolo. Un addio come nessun’altro.
    Non aggiungerò di più.
    Lasciate qui i vostri commenti. Fatemi capire che non ho scritto invano questo capitolo.


    Edited by Gaoh - 28/10/2014, 12:15
     
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  10. Pridelands98
     
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    Oh mamma mia,stupendo, meraviglioso! :cry: L'esilio più commuovente che io abbia mai visto o letto, fantastico davvero. Che dolci Simba ed Abe quando si sono abbracciati (a proposito, bellissimo anche il disegno Gaoh ;) ). il canto poi è stato qualcosa di unico. Adesso chissà cosa faranno Abraham, Ralph e Leona; ma sappiamo benissimo che questo non è affatto un addio definitivo...
    Complimenti come sempre Gaoh, continua così! ;)
     
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    Dato che oggi è sabato, e il sabato ha significati importanti per me - in quanto giornata di vera transizione - posterò il quarto capitolo adesso.
    In questo capitoletto non succede molto, ma è una transizione a sua volta. Lasciamoci alle spalle la Rupe dei Re.
    Quindi... buona lettura.

    Capitolo 04: Diamanti nella notte
    Terre del Branco, Tanzania
    Lunedì, 7 luglio 1998, 20:45


    Ancora non potevo crederci: stava accadendo davvero. Ancora pochi minuti e sarei partito per non tornare mai più. Dopo tutti quegli anni lontano dalla mia patria, sarei tornato in Inghilterra per vivere la mia vita; nonostante Rafiki mi avesse avvertito in passato di una guerra imminente, la guerra che nel bene o nel male, io avrei dovuto affrontare da solo, non potevo fare a meno di provare una sorta di euforica esultanza: la sola cosa che mi tormentava, era il fatto di aver dovuto dire arrivederci, quando in realtà era un'addio, e quella volta, doveva essere per sempre. Una parte di me non voleva andarsene: come avevano detto Simba e tutti gli altri, ci sarebbe sempre stato un posto per me nel Branco, e chissà se da quella notte in avanti mi avrebbero cercato nel cielo? Questo non lo so, e non lo saprò mai, ma sapevo che se avessi esitato ancora a partire, non sarei partito mai più.
    Il sole era appena tramontato, e la jeep, illuminata dalle ultime luci del crepuscolo, era ferma ed immobile, esattamente dove era rimasta per quell'ultima settimana, fin da quando ero tornato nella gola in cui era morto Mufasa, e dove avevo lasciato e in seguito recuperato il ciondolo di Mina. Gli sportelli erano rimasti aperti, e il bagagliaio era spalancato, visto e considerando che Ralph e Leona avevano preso molte cose da lì dentro. Non volendo aspettare oltre, mi tolsi l'anello e lo misi in tasca; poi, entrai automaticamente nell'abitacolo, e mi sedetti subito sul sedile posteriore: pensavo che saremmo partiti subito, ma Ralph e Leona non salirono subito con me.
    Li sentii sferruzzare e lavorare di fuori. Fu con un pizzico di esasperazione che scesi a vedere: notai che Leona stava controllando le sospensioni.
    "Che cosa combini, Leona?"
    "Se dobbiamo viaggiare per tutta la notte, il minimo che possiamo fare, è assicurarci di arrivare a Nairobi tutti d'un pezzo. Sarà un viaggio lungo e faticoso" Detto ciò, strinse le ultime viti e mi passò in mano una tanica rossa in plastica che - a giudicare dall'odore nauseante - era piena di benzina senza piombo.
    "Ti spiacerebbe riempire il carburatore?"
    "Affatto" le risposi, e fatto scattare il lucchetto del cofano, versai il contenuto nell'imboccatura del carburatore. All'accensione, la spia luminosa del carburante sarebbe diventata verde. Come ebbi chiuso, mi diressi nel retro della vettura, che era straordinariamente grande, perfino per un fuoristrada. Ralph stava svuotando e riempiendo il bagagliaio a tutta forza.
    "Controlla il bagagliaio, controllo sempre il bagagliaio!" borbottava a mezza voce, muovendosi con lena febbrile, gli occhi sgranati visibili anche da dietro gli occhiali da sole.
    "Tipico degli eccessi di caffeina" mi dissi, e lo aiutai a riempire il bagagliaio.
    Come fummo arrivati a circa metà strada, quando - in sintesi - avevamo sistemato il lungo telone da tenda ripiegato, Ralph tirò su col naso e mi prese in disparte per parlarmi.
    Per alcuni lunghi momenti, inspirammo l'aria imbalsamata della notte, prima che lui rompesse il silenzio: "E' stata dura, vero?"
    "Già" ammisi a malincuore.
    "Ricordare quei momenti difficili farebbe passare il buonumore a un giullare... e ora, come se non bastasse...!"
    "Sul serio!" replicai, lievemente stizzito, "Non avresti dovuto bere tutto quel caffé: cominci a sparlare a sproposito, sembri ubriaco come un carrettiere!"
    "Scusa..." fece lui, tornando a guardare il cielo; dopo alcuni brevi istanti, in cui sentimmo Leona armeggiare da sotto la Jeep, Ralph mi rivolse una nuova domanda:
    "Dimmi un po' Abe... ma ti mancherà questo posto?"
    Mi chiesi come mai mi aveva fatto quella domanda, ma volendo evitare di prolungare quella discussione, gli risposi meccanicamente. "No" come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Forse lo dissi in modo troppo ovvio, perché lui rispose subito: "Bugiardo. Se ti sei affezionato a quel Meethu, non esiste che te ne vai senza sentire la mancanza!"
    "Senti, Ralph" cominciai, già abbastanza stanco ed esasperato. "Ho fatto quello che era necessario, ed è per il loro bene! Né io né nessun'altro di noi può restare qui, e so che lo capisci!"
    Lui fece l'aria abbattuta. "Già... è vero, come sempre hai ragione tu..." Mi parve depresso, e perciò mi parve giusto tirarlo su. Gli diedi una pacca sulla spalla.
    "Dai, dai... finiamo di mettere a posto questa roba."
    Con un sorrisone rinnovato, il massiccio Yankee riprese la sua lena e stipammo il resto degli oggetti nel bagagliaio: per un secondo mi parve che il telone fosse un po' troppo grande, ma conoscendo Ralph, mi dissi, con una tenda grande si sta comodi. Lui si agita sempre nel sonno.
    Eppure, avevo una strana sensazione. Non era avvenuto nulla di strano fino ad allora. Tutto sarebbe andato a buon fine da lì a poche ore. Per l'ultima volta guardai a sud, la Rupe dei Re, la cui sagoma spariva nel buio della notte, e finalmente, quando Ralph chiuse con aria soddisfatta il bagagliaio, presi un gran respiro dell'aria notturna, e mi issai sul sedile posteriore, mentre Ralph prendeva il posto di guida e Leona si sedeva accanto a lui.
    Quando li sentii montare alle mie spalle, mi sfuggì un sospiro di sollievo: ormai era cosa fatta. Allacciammo tutti e tre le cinture di sicurezza, e io inclinai il mio schienale per dormire: una pace improvvisa prese posto in me, ma durò solo per pochi secondi, perché Ralph doveva per forza chiedere, come faceva sempre.
    "In quale direzione, Abe?"
    Avevo già gli occhi chiusi, ma risposi: "A Nairobi, rotta nord-nordest, ragazzo: macchine a tutta forza."
    "Signorsì!" esclamò lui, tutto contento: la prospettiva di correre non allarma certo un ragazzone di Chicago, anzi, lo elettrizza. La chiave dal manicotto in pelliccia sintetica entrò con uno scatto nel cruscotto, e con una torsione, il motore partì, lanciando un rombo selvaggio, simile al ruggito di una tigre in gabbia.
    "Oh sì, piccola mia!" mormorò Ralph con dolcezza rabbiosa: non potevo vederlo, ma i suoi occhi erano rossi per l'afflusso di sangue. "Adesso balliamo!"
    Con mano sicura accese gli abbaglianti, inserì la retromarcia, e premette sull'acceleratore.
    Con uno strappo incredibile, la vettura scattò all'indietro, e con una spettacolare curva a U si mise in posizione: dovevamo aver fatto anche un giro su noi stessi, prima di metterci in posizione, perché Leona protestò. "Fa attenzione, Ralph! Questa è una macchina, non un carrarmato!" Ma lui, in tutta risposta, lanciò il suo urlo di guerra:
    "A TUTTO SPIANO, CAPITANO!!!"
    E inserendo la seconda, partì come un missile nella notte: nel giro di pochi istanti, era già scalato alla quinta marcia, e con le quattro ruote motrici, la Jeep superò la velocità dei 120km/h, addentando il duro terreno della Savana come un leone azzanna la preda per finirla in fretta. Prima che me ne rendessi conto, la Rupe dei Re svaniva dalla mia vista, come io sparivo una volta per sempre da quelle terre.

    --------------------------------------------

    Con il passare dei minuti, la mia mente si placò, e i musi dei leoni e delle leonesse, di Timon e Pumbaa, di Zazu e Rafiki, lentamente sparirono: i miei pensieri si concentrarono su quello che dovevo fare di lì a poco; se le cose fossero andate bene, avrei trovato un aereo per tornare a Londra in settimana. Il tutto se non ci fossero stati imprevisti. Ma io confidavo per il meglio: presto sarei tornato a casa, la mia vera casa, per quanto distante, nonostante i brutti ricordi e gli avvenimenti dolorosi; una volta arrivato lì, avrei dato inizio alla mia nuova vita - una vita dedita a mettere fine all'opera dei malvagi che mi avevano segnato tanto tempo prima. Con ogni probabilità mi sarei potuto nascondere nelle campagne al dì fuori di Londra e lontano dalla giurisdizione di Sua Maestà la Regina Elisabetta. O forse mi sarei potuto nascondere a Luxor: avevo tanti bei ricordi della cara Luxor, dove avevo passato i miei primi due anni da eremita.
    Lentamente, mi sfuggì dalle labbra il nostro inno: nonostante le varie esperienze per l'Europa e l'Africa, ero comunque un Britannico di Madrepatria.
    God save our gracious Queen/Long live to our noble Queen...
    Mentre pensavo al futuro che mi aspettava, la mia mano scivolò nella tasca del mio pastrano, e lì sentii qualcosa di duro e spigoloso. Lo tirai fuori quasi dandomi dello stupido: era il diamante che avevo trovato a Johannesburg. Incredibile che mi fossi dimenticato di averlo con me. Mi ero detto che non valeva nulla per me, ma ora potevo rivenderlo per guadagnarmi qualche soldo...
    In quella, mentre ammiravo i riflessi della pietra, la voce di Leona mi interruppe.
    "Dove hai trovato quel brillante?"
    Quasi sobbalzai per la sorpresa: anche se stavamo andando a 120 l'ora, Leona si stava sporgendo dal suo sedile come se si fosse sporta da una delle terrazze di Genova. Lentamente, mi ripresi e sorrisi:
    "L'ho trovato a Johannesburg, al vecchio scavo... sai, prima di tornare alla Rupe dei Re."
    "Posso?" Chiese lei, allungando appena la mano. Glielo passai senza fare tante storie.
    L'occhio di una donna è occhio da intenditore per quel che concerne gioielli e preziosi. E subito ella stabilì: "18 carati netti, un diamante nativo, formatosi nel giro di milioni di anni, dalla stazza di trenta grammi, forma a goccia con sfaccettature irregolari."
    "Io lo chiamo zircone, quello là!" borbottò Ralph, scettico come al suo solito. "Il modo più sicuro per gabbare i babbei; lo fanno passare per un diamante, e così lo rivendono a caro prezzo. Lo sanno tutti!"
    "E poi," aggiunse, come se fosse risaputo, "Il vecchio scavo a Johannesburg è esaurito da più di cent'anni..."
    Leona ridacchiò: era la prima volta che la sentivo ridere di gusto. "Eh no, Ralph... questo è proprio un diamante vero, di quelli che si usano per la bigiotteria di valore: uno di questi basta a farti diventare un riccone, o a far cadere una donna danarosa e/o amante dei gioielli tra le tue braccia!"
    Interessato dalla discussione, anche se non capitalista, Ralph rallentò: "E quanto potrebbe valere una pietruzza del genere?"
    Leona soppesò il diamante con la mano. Parve rifletterci per un po' e poi declamò: "Per un gioielliere che sa riconoscere una pietra vera, questo sarebbe un colpaccio, una volta comprato a poco da un cliente poco accorto. Al giorno d'oggi, ci sono collezionisti che pagherebbero solo per gemme di valore, vale a dire rare oltre ogni misura, o che meglio ancora, hanno una storia particolare, e questo sarebbe più adatto ai collezionisti: per loro una gemma ancora poco raffinata come questa, varrebbe non più di settemila dollari." I suoi occhi brillarono. "Ma una volta tagliata come brillante vero e proprio, e montata come pendente per una donna di classe, si potrebbe arrivare anche ai ventimila."
    Ralph mandò un fischio, e tornò a concentrarsi sulla guida, riprendendo la sua folle velocità: anche se andavamo a tutta forza, non potevamo certo andare in linea retta; dovevamo seguire le piste per poi arrivare al confine, superando il Parco Nazionale e la Rift Valley. Sarebbe stato un viaggio ancora lungo, e per questo, dopo che Leona mi ridiede il diamante, e decretato che l'avremmo rivenduto a una gioielleria del centro di Nairobi, potei tornare a cercare di recuperare un po' di sonno perduto.
    Non ci furono altre interruzioni durante il viaggio, e finalmente, dopo essermi rigirato un paio di volte, riuscii ad addormentarmi.

    TO BE CONTINUED



    Lasciate qui i vostri commenti, grazie.

    Edited by Gaoh - 15/3/2015, 11:43
     
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  12. Pridelands98
     
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    Ottimo lavoro come sempre Gaoh, non succede nulla di che ma come sempre sai descrivere ogni, e dico OGNI, cosa in maniera meravigliosa. Ed ora ha inizio il viaggio per Londra, vediamo che succedere d'ora in poi ad Abe, Ralph e Leona. Posta presto. ;)
     
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  13.  
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    Oggi, capitolo di transizione, un po' come il precedente...
    Ma vi darò di che rallegrarvi. E' il mio personale tributo alle Six New Adventures.

    Capitolo 05: Un membro del branco
    In viaggio per Nairobi
    Martedì, 8 luglio 1998, 02:07


    E' strano, come il mondo intorno alla nostra mente prenda vita, e ci guidi verso luoghi meravigliosi. Per quel che mi riguardava, era come se fossi morto per quelle terre benedette... scivolai nel sonno senza comprendere il perché, come se morissi, e sentii il mio spirito vagare, nonostante il mio corpo, ancora vivo e ricco di energia tremasse per gli scossoni all'interno della Jeep. Non sarebbero bastati quelli a svegliarmi, e anzi: crederei ben volentieri se si dicesse che quel tremolio sul terreno non lastricato della savana mi cullasse come s'io fossi stato in culla. Il mio sonno fu placido come non lo era stato da moltissime notti. Ero morto ed ero vivo: rimasto adulto, ero tornato bambino, e il mio spirito mirò in alto, verso le stelle, dove la luce mi abbracciò.
    Non seppi mai se quel posto che vidi nel sonno fosse vero, o se fosse realmente esistito, dacché è facile dimenticare in un sogno, dove è altrettanto facile fingere, e vedere cose inverosimili; ma quantomeno, lo so, con tutto me stesso, non dimenticherò mai quel sogno finché vivo.
    Mi sognai di librarmi senza ali nel cielo, sopra la Jeep, più veloce di essa, ma non seguivo la sua rotta verso est: andavo in alto, sempre più in alto, fino a quando non mi lasciai la terra nera alle spalle; vidi la luce delle città e lo splendore della luna riflessa sugli oceani che brillava alle mie spalle. Il sole sorgeva in lontananza, ma la Jeep era troppo distante per vederlo... Ralph e Leona erano ancora immersi nella notte, l'uno che guidava come un pazzo, e chissà se l'altra dormiva a sua volta...
    Ma non pensai a loro: un qualcosa di arcano mi traeva sempre più in alto, dove il cielo azzurro finisce, e le stelle dominano lo spazio senza fine. Lassù, mi sentii mancare, e la bianca luce dell'eternità mi investì con il fragore del vento... Ma non mi svegliai... sentivo l'aria fresca e selvaggia sulla mia pelle eterea, più reale che in ogni altro momento.
    Quando mi adattai alla luce, vidi che camminavo sull'erba, fitta e fragrante come in nessun'altro posto, tra alte rocce, dove una bruma gentile si dissipava nei colori dell'aurora e nella chiarezza di un fiume limpido.
    Ammaliato com'ero da quello spettacolo, quasi sobbalzai al sentire il suono di un ruggito distante: ombre luminose si avvicinarono a me, lanciando alti richiami, ombre di bestie su quattro zampe, dai corpi solidi e dal pelo liscio come velluto.
    Riconobbi subito la fisionomia di un branco di leoni: mi circondarono, lanciando in alto il loro richiamo, accogliendomi come se fossi stato uno di loro.
    Non mi ero mai sentito così emozionato, felice e spaventato prima d'allora; neanche la morte di Mina mi aveva mai fatto provare emozioni così forti. Camminai con loro, che continuavano a starmi appresso; cominciavo allora a distinguerne i lineamenti: alcuni erano maschi dalle fulve criniere e dal biondo pelo, mentre altri avevano tinte che variavano dal beige al castano chiaro; tuttavia, la maggior parte di loro erano leonesse, di forme robuste ma aggraziate, leggiadre e formidabili, con occhi intelligenti e artigli affilati. Tra di esse, riconobbi con mia grande sorpresa, una giovane leonessa dal pelo color nocciola: la riconobbi in particolare, perché l'avevo veduta morire con i miei stessi occhi. Ora sembrava sana e in salute, e il suo sorriso era il più largo di tutti. Quando notò che la stavo osservando, giuro, rise e mi fece l’occhiolino.
    Allietato da questa presenza, cominciai a realizzare dove fossi, anche se non potevo crederci… ero davvero morto? Forse sì, forse no, ma che mi importava saperlo? Mi sentivo a casa, come non mi ero mai sentito prima di allora in un qualunque altro paese della terra.
    Guardandomi intorno, all'improvviso, vidi in lontananza un paio di occhi blu che mi folgorarono: lo riconobbi subito, e per poco non ebbi un mancamento; e sebbene avessi voluto raggiungerlo per dirgli quanto mi dispiaceva per il suo destino, lo vidi sorridere, come se ormai non gliene importasse, perché sapeva che la mia promessa era stata mantenuta, e così anche lui si unì alla nostra compagnia.
    Non so per quanto camminammo insieme, seguendo il corso del fiume, ma so che a un certo punto ci fermammo: davanti ai miei occhi, vidi una pietra simile a un tronco di albero mozzato nel mezzo, coperta di fitto muschio, del diametro di circa trenta piedi a occhio e croce, dal quale spuntavano fronde simili a nessun'altro tipo di pianta che avessi mai visto, con lunghe foglie lanceolate di un verde cupo tendente verso il blu e screziate di nero. I leoni e le leonesse si inchinarono al cospetto della pietra, e lanciarono un richiamo. Lentamente, dalle fitte fronde, uscì una solenne e selvaggia procella: vidi un leone di forme maestose, dal pelo dorato e dall'opulenta criniera nera: i suoi occhi verdi, solenni e severi, tuttavia dolci, mi atterrarono. Caddi in ginocchi quasi senza rendermene conto, e senza essere in grado di levare gli occhi dal suo sguardo, finché una seconda figura non si affiancò a quel leone: una leonessa bruna di straordinaria bellezza, con un sorriso materno e innocente al tempo stesso, con uno sguardo colmo di saggezza e fanciullesca allegria; mi paralizzai dalla paura nel mirare quello sguardo. Chinandosi su di me, ella sfiorò la mia fronte con il naso. Il mio corpo tremò, e caddi prostrato di fronte a loro.
    Fu il tocco di una terza zampa sulla testa a sollevarmi: riconobbi all'istante il muso del leone davanti a me, perché lo avevo già visto tempo prima. Gli occhi rossi e la criniera di identico colore, le forme sviluppatissime, e l'aria benevolente, così simile a suo figlio, e tuttavia maggiore di lui. Solo a stento, riuscii ad alzarmi sulle ginocchia e ad afferrare quelle spalle possenti. Egli ricambiò il mio sguardo stupefatto con un'aria dolce e amichevole, come a volermi dire: "Non devi temere. Tu non sei solo"
    Un quarto leone uscì dalle fronde, e quasi mi sentii mancare: quasi non lo avevo riconosciuto, forse perché era più muscoloso e avvenente di quanto lo ricordassi, o forse per il fatto che la cicatrice non c'era più, come l'ultima volta che l'avevo visto... ma il colore del suo pelo e della sua criniera, e soprattutto, il lampo degli occhi verdi non lasciavano dubbi.
    Quando mi strinse a sé con paterna tenerezza, sussurrando la sua gratitudine, non potei trattenermi: piansi sulla sua spalla, e i leoni lanciarono alti richiami, che si perdettero nella bianca luce di quel sogno beato...
    ma era davvero un sogno? Se era così, volevo che quel sogno non finisse mai.
    In quell'istante, quando il leone bruno si sciolse da me, i leoni tutti si scostarono, lasciandomi nel mezzo di fronte alla roccia, e le fronde sembrarono bipartirsi in due ali distinte, quando un'ulteriore figura, più maestosa delle altre, uscì dalle fronde, scortata da una nobile schiera di leoni e leonesse dall'aria solenne.
    Senza pensare, chinai la testa in segno di sommo rispetto di fronte a quella figura, ma quello con la zampa mi sollevò lo sguardo, e lo vidi: i lineamenti fieri e superbi, l'espressione benevole, la pelliccia color della terra, la criniera color del mogano, con sfumature di ruggine rossa, e gli occhi azzurri di una bellezza incomparabile, insomma, tutto in quel leone, mi dava l'idea di trovarmi di fronte ad una creatura celeste, un essere mandato per volere del cielo, e consacrato come un vero Re.

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    Quando cercai di alzarmi in piedi per guardarlo meglio – poiché per le sue dimensioni immani, egli torreggiava su di me – curiosamente, mi resi conto che non lo potevo: era come se una forza sovrumana mi tenesse fermo su quattro gambe. Fu una sensazione opprimente, ma non durò che per pochi secondi, e si mutò in meraviglia, quando finalmente i miei occhi caddero sulle mie mani, inchiodate al suolo.
    Ma erano mani, quelle? Parevano più che altro zampe bianche a vederle così... sì, zampe leonine... e la zampa destra era priva del mio anello... e chi ne aveva bisogno. Avevano ragione loro... io ero come loro... ero uno di loro.
    L'emozione mi travolse, e i leoni mi acclamarono come uno del branco; mi sentii pervadere da un’energia antica come la vita stessa, e lanciai al cielo il mio richiamo: il nostro grido si disperse nel cielo e rimase ad echeggiare nel bianco dell’eternità. Guardai fisso negli occhi il grande Re, e lui sorrise compiaciuto: assieme agli altri leoni e leonesse mi inchinai alla famiglia reale, e le nostre parole divennero tutto quello che c’era di importante.
    In quell’istante, la mia attenzione fu catturata dall’apparizione di una nuova figura: a vederla così sembrava una piccola leonessa, molto giovane a vederla – anche se la luce che irradiava era più intensa – e il mio cuore si riempì di commozione e rabbia, all’idea che qualcuno fosse morto così giovane. Allargai le narici e inspirai a fondo per cogliere la sua traccia, e riconobbi le fragranze della neve a primavera, dell’affetto e dell’innocenza. I miei occhi brillarono di commozione.
    Quando ella fu vicina al gruppo, con un balzo mi raggiunse e fissò il suo sguardo nel mio. Solo allora vidi chiaramente i suoi occhi, di una bellezza sconvolgente, occhi neri e scintillanti di una galassia di stelle, occhi colmi di innocenza, in contrasto con la sua splendida pelliccia bianca simile alla mia. Rise di un riso argentino che mi fece percorrere la schiena da una scarica di elettricità: amai quel riso in un’istante, e quella giovine si strinse a me, sussurrando le parole che più di tutte mi colpirono.

    “Tu sei quanto di più importante possa esistere nella mia vita, fratellone.”

    In quell’istante la riconobbi: non piansi, ma sorrisi scioccamente – lo potei sentire chiaramente sul mio muso – e la strinsi a me con maggiore vigore: insieme a lei, al Grande Re, ai suoi discendenti e a tutti i valorosi del Passato che ci circondavano, lanciai un ultimo ruggito, il più potente, il più grande: un richiamo per il cielo e la terra, un richiamo mai udito nelle Terre del Branco se non una volta sola, agli albori di quel mondo selvaggio e meraviglioso che era la Terra in origine.
    Il nostro ruggito echeggiò da quel momento in avanti nella luce bianca, che si faceva sempre più splendente, e mentre la figura della piccola leonessa svaniva lasciando posto all'immagine di una giovane donna, alla fine, tutto fu avvolto dalla nebbia che mi abbagliò: strinsi le palpebre con forza, sentii i miei sensi venire meno, come se stessi morendo di nuovo, e un’istante dopo era tutto finito. Niente più luce, o almeno, non così splendente.
    Attraverso i miei occhi spalancati all'improvviso, offuscati dal risveglio, vidi chiaramente le prime luci dell’alba dal finestrino della Jeep: in lontananza, vedevo una città. Il tremore del viaggio destava le mie membra: lo spirito del sognatore tornava al mondo mortale; ero di nuovo Abraham Colin Mist.
    Mi tirai su con un sonoro sbadiglio, stirandomi le ossa: il sogno perdurava ancora nella mia testa, anche se era già svanito come fumo, e la mia testa era colma di domande.
    Non era avvenuto veramente, o sì? Nella mia mente, sentivo che era così, e mi sentii in pace: le Terre del Branco mi avevano lasciato un ultimo dono, affinché non mi dimenticassi di loro, e nel silenzio, ringraziai le stelle per quel meraviglioso regalo.
    Dovetti essermi stiracchiato con insolito vigore, perché Leona doveva avermi udito. Prova ne sia, che mi salutò quasi subito; senza dubbio, lei era già sveglia da molto tempo.
    “Buongiorno, Abe. Dormito bene?”
    Bene? Non c’erano parole per descriverlo, perciò mi limitai a dire: “Come un bambino.”
    La soldatessa di sporse verso di me, e sul suo volto, vidi – per quanto la foschia del sonno inibisse la mia vista – la stupefazione.
    “Ma tu stai lacrimando!”
    Mi resi conto che aveva ragione: le emozioni del sogno dovevano avermi afflitto anche a livello fisico, fino a farmi piangere dalla commozione. Lesto mi asciugai gli occhi, e buttai lì: “Ho dormito proprio bene.”
    “Se lo dici tu, ti credo” rispose lei con un sorriso, e tornò a godersi il viaggio.
    Ralph, dal canto suo, preso com'era dalla guida, aveva un’aria da vero diavolo, con gli occhi rossi, insanguinati per la lunga veglia. Poco ma sicuro, la prima cosa che avrebbe fatto, sarebbe stato farsi quarantamila russate, o forse addirittura centomila. ma a me cosa importava? I miei leoni adorati mi stavano nel cuore: pensai a Simba, a Nala, a Sarabi e a Sarfina, a Taka, a Meethu e a tutti gli altri… non li avrei mai più rivisti, ma li avrei ricordati per sempre, così come loro e i Grandi Re si sarebbero ricordati del mio volto e del mio nome.
    La vista cominciò a tornare, e con essa la lucidità; così domandai a Leona: “Che ore sono?”
    Ella guardò sull’orologio da polso e pronunciò chiaramente: “Sono le quattro e cinque minuti antimeridiani, secondo il meridiano di Greenwich, ma noi siamo un po’ più a est, e perciò ci può essere una differenza di un paio d’ore. Saranno le sei del mattino, secondo l’ora locale. E quella laggiù” continuò accennando con un sorriso la città in lontananza, “è Nairobi. Siamo quasi arrivati.”
    Di fatto, gli scossoni erano terminati, perché la Jeep era entrata sulla strada principale, e filava liscia come l’olio: naturalmente su queste strade, Ralph doveva mantenere una certa rapidità, altrimenti avrebbe rischiato la patente, ma potevo aspettare anche un giorno o due in più rispetto al programma, prima di prendere l’aereo. La nostra destinazione era la periferia, dove avremmo trovato un alloggio per rifocillarci e recuperare le forze: sapevo che nel giro di pochi giorni sarei tornato a Londra, e allora, la parte più difficile della mia avventura sarebbe cominciata… ma non ci davo troppo pensiero: in quel momento, mi sentivo come se fossi stato in grado di sollevare il mondo a mani nude. Con un sorriso sereno, mi sdraiai sul mio sedile: non mi riaddormentai – non ce ne era bisogno – e mi godetti beatamente il resto del viaggio.

    TO BE CONTINUED



    Lasciate qui i vostri commenti, grazie. Ho fatto del mio meglio: questo potrebbe essere il mio migliore capitolo finora.

    Edited by Gaoh - 30/6/2016, 01:28
     
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  14. Pridelands98
     
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    User deleted


    Bellissimo capitolo, il sogno di Abraham è stato meraviglioso, rivedere nella mente Anadi, Uru, Mufasa e Taka è stato fantastico, ma non ricordo or... chi è la leoncina che è saltata in braccio ad Abraham nel suo sogno?
    Comunque ottimo lavoro come sempre Gaoh, continua così. ;)
     
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    Se leggi la sua battuta riconoscerai chi è...
    Comunque, in questo spoiler ti elenco tutti i leoni che ha visto in sogno...

    Tra i menzionati in questa saga...
    Shentani, Ni, Ahadi, Uru, Mufasa, Taka e Mohatu.
    L'ultima è Mina.


    Edited by Gaoh - 7/5/2015, 12:11
     
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