The Days of Love

l'ultimo capitolo della Trilogia

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  1. Gaoh
     
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    Re Saggio

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    Ho perso il capitolo che dovevo postare.
    Sono un pochino alterato.
    Ora ci riprovo dal fisso.

    Con l'ultimo capitolo mi sono esaltato da solo.
    Posso solo sperare di replicare il miracolo.

    Capitolo 44: La bestia dei cieli
    Costa d'avorio
    Domenica, 17 agosto 1999, 15:00


    Il mio sonno era durato - come scoprii in seguito - per tutto il giorno, tutta la notte e metà del giorno seguente. Fu Leona a notificarmelo quando giungemmo a destinazione.
    Avevo sognato di correre senza tregua su di uno sconfinato deserto di cenere nera, sotto a un nero cielo senza luna e senza stelle, in una oscurità rischiarata soltanto da rade torce che si accendevano man mano che avanzavo nell'oscurità, come a volermi portare verso chissà cosa; il suono dei miei passi sulla rena facevano eco ai battiti del mio cuore, mentre il gelido sudore che colava sul mio corpo incandescente, privo di qualsiasi indumento o difesa evaporava in fumo.
    Non seppi mai verso cosa stavo correndo, se verso la Rupe dei Re, o Londra, o incontro alla morte stessa, ma so solo che quando fui svegliato, la sensazione fu come andare a sbattere contro un muro di mattoni. Cercai convulsamente Luxor, la strinsi e, con quella che mi parve una straordinaria lentezza, mi alzai e mi issai fuori dalla vettura. Mi sentivo straordinariamente intirizzito, e mi ci vollero parecchi minuti per riprendere il controllo dei miei muscoli; avevo dormito per quasi trenta ore.

    Un cielo mai più visto salutò il mio sguardo: nuvole tempestose si ammassavano su di noi, rollando rabbiosamente da nordovest, ruggendo sopra l'Atlantico - perché sul Golfo di Guinea ci trovavamo - e rumoreggiando fragorosamente il preludio di un temporale. Quella massa gassosa era tinta delle più lugubri e minacciose sfumature di blu, rosso, viola e nero, come se i cieli e l'inferno stessero andando in guerra, e a giudicare dal campo allestito vicino alle onde, non c'era quasi da dubitare.

    Eppure, era ben poco spettacolo da ciò che stava accadendo al largo.

    "Dio onnipotente!"

    Non so da quale bocca sia uscito questo improprio, se dalla mia, da quella di Ralph, o addirittura da quella di Leona, che è la più coscienziosa tra di noi, tanto fu il nostro sbalordimento, e ci può essere perdonato, perché quello che vedevamo aveva di più che dell'incredibile.
    Pareva una piattaforma petrolifera a prima vista, ma non poteva esserlo: era più simile a un incrocio tra un cantiere navale costruito a pelo sull'acqua e una voragine grande come una portaerei, costellata da macchinari di fattura ignota e dallo scopo sconosciuto, tanto aliena era la loro forma; nel suo abisso si fucinava qualcosa di grandioso e terribile; era il punto di attracco per un veliero straordinario, mai costruito prima, e conoscendo il mio atavico avversario, egli non si sarebbe accontentato di meno per la sua conquista del mondo. Una conquista che ormai appariva praticamente assicurata, a meno che non si fosse fatto qualcosa per impedirlo.

    E a quel qualcosa avremmo dovuto provvedere noi tre.

    Non ci si può incolpare se per un breve, tremendo istante i nostri cuori e i nostri spiriti tentennarono e dubitarono nella riuscita di una simile impresa. Cosa avremmo potuto, noi soli, armati di spade e lance, contro la scienza diabolica dell'Anello del Nibelungo? Noi, miseri tra gli uomini, sebbene capaci di tenere testa a un esercito, cosa avremmo potuto fare contro la forza che vince il mondo?
    Ciononostante, in pochi attimi il dubbio passò: non aveva importanza cosa avremmo potuto fare, bastava che lo facessimo, e anche se ci avremmo rimesso la vita, non dovevamo esitare a colpire. Avevamo troppo lottato, troppo sofferto, a troppo rinunciato, troppo sacrificato, svenduto e abbandonato per rinunciare al primo segno di un ostacolo all'apparenza insormontabile. Non avremmo più avuto il coraggio di guardarci in faccia se avessimo scelto di fuggire proprio ora, a un passo dalla resa dei conti. Saremmo stati peggio che vili, meno che vigliacchi.
    Saremmo stati veramente sconfitti.

    Con lo spirito rinnovato ci issammo lentamente giù per le scogliere, e senza farci vedere, scivolammo nell'accampamento.
    Tuttavia, il nostro sbalordimento si rinnovò quando non trovammo anima viva in giro: il campo era allestito, e le luminarie accese, ma non si vedeva uomo o soldato in circolazione. All'inizio dovemmo temere una nuova imboscata, ma il sospetto mutò in orrore quando, ai nostri nasi, fin troppo avvezzi, arrivò l'odore metallico, nauseante e inconfondibile del sangue, e quell'orrore centuplicò quando ne rintracciammo la fonte nelle baracche dalle porte sprangate.
    Leona ringhiò per il raccapriccio. "Li ha uccisi tutti!"
    "Indegni come erano di servirlo" le fece eco Ralph, stringendo i pugni. "Questi erano soltanto i primi. Non si fermerà finché non avrà ammazzato fino all'ultimo s****** che cercherà di sbarrargli la strada, dovesse anche voler dire restare il solo essere vivente sulla faccia della terra!"
    "Almeno" dissi, "qui ce ne sono tre pronti a fargli il solletico a morte!" Sfoderai Luxor e puntai verso la struttura lontana. "Noi gliela sbarreremo, una volta per tutte!!"
    "Sì" sibilò Leona, sfoderando lo spadone.
    "Sì!" ringhiò Ralph, brandendo mazza e scudo.
    Sollevando le armi, lanciammo in coro il nostro grido di sfida.

    "A MORTE!! A MORTE IL TRADITORE!!!"


    E ruggendo come pazzi ci lanciammo verso i moli, con la speranza di trovare un gommone con cui assaltare il nostro nemico.


    --------------------------------------------

    Fummo assai più fortunati di quanto mi piaccia ammettere: avevo temuto che ci sarebbe stato bisogno di mettere insieme qualcosa per fare un gommone, ma frugando nella rimessa sulla sponda, avevamo trovato un piccolo battello a motore, ideale per quel che avevamo in mente.
    Di lì a poco eravamo in alto mare, e sebbene l'uragano timoneggiasse contro di noi, minacciando con ogni onda di farci colare a picco, non ce ne curammo: con Leona a governare e me a respingere l'assalto delle onde assieme a Ralph, nulla ci avrebbe ostacolati; avremmo lasciato le potenze della natura a mordere la sua stessa aria, a bocca asciutta, prima di rifilarle in gola il boccone più grande e prelibato che le si potesse offrire: una vita di male puro, degna di finire seppellita nel più profondo abisso!

    Noi tre lo avremmo fatto, noi! Gli infimi, con la forza degli antichi eroi! Perché in quel momento supremo eravamo più che noi tre singolarmente: eravamo un tutt'uno inscindibile, e anche se uno dei tre fosse caduto, gli altri due avrebbero seguitato, ereditandone forza e furore. Volente o nolente, consenziente o incosciente, Clark Thrive avrebbe affrontato la rivalsa di tre che non desideravano altro che fargliela scontare per tutti i suoi crimini.

    La piattaforma, come la base era priva di vita, ma sapevamo che, di lì a poco, sarebbe stata percorsa da un grande fremito; districandoci per quegli stretti corridoi di cavi, gru, ascensori e pannelli, giungemmo sull'orlo della voragine, vasta abbastanza da farci passare tutti i treni di Londra con la macchina accesa, tutti in una volta.
    Non dovemmo aspettare a lungo.
    Come l'uragano aumentò di forza, la struttura, dalla sommità alle fondamenta fu scossa, e noi sapemmo, consci sia del come che del perché, che l'ora era giunta.
    Dagli abissi neri sorse, immane, gloriosa, terribile, una nave volante di forme grottesche e orribili; fu come se un groviglio di gargoyles e dragoni fosse emerso dalle sanguinose voragini dell'inferno, sollevati da un nugolo di enormi eliche.
    Spaventosamente si innalzò, e noi, senza capire perché, sapemmo che non potevamo permetterci di indugiare: saltammo, allora o mai più, per aggrapparci all'immenso mostro di ferro, e ci issammo sulla sua facciata con mani e piedi, Fu il momento di massimo terrore: un solo sbaglio e saremmo precipitati in una caduta tale da morirne prima ancora di toccare il duro muro delle onde sotto di noi. In pochi attimi ci eravamo alzati di trecento metri da terra, il gelido vento schiaffeggiava furiosamente le nostre membra come se fossimo stati zanzare fastidiose, ma noi non mollammo; ci arrampicammo tra lacrime, pioggia, sudore e sangue fino a raggiungere un parapetto, issandoci a bordo in un corridoio esterno, e da lì, in una porticina laterale, nelle viscere della nave.

    Eravamo dentro.
    Non restava altro che trovare Clark Thrive.



    TO BE CONTINUED


    Ce l'ho fatta.
    Meno sei.

    Alla prossima, gente.
    Prossimo capitolo, momento dramma.

    Edited by Gaoh - 9/8/2021, 17:41
     
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