The Days of Love

l'ultimo capitolo della Trilogia

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  1. Gaoh
     
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    Re Saggio

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    Dato che oggi è sabato, e il sabato ha significati importanti per me - in quanto giornata di vera transizione - posterò il quarto capitolo adesso.
    In questo capitoletto non succede molto, ma è una transizione a sua volta. Lasciamoci alle spalle la Rupe dei Re.
    Quindi... buona lettura.

    Capitolo 04: Diamanti nella notte
    Terre del Branco, Tanzania
    Lunedì, 7 luglio 1998, 20:45


    Ancora non potevo crederci: stava accadendo davvero. Ancora pochi minuti e sarei partito per non tornare mai più. Dopo tutti quegli anni lontano dalla mia patria, sarei tornato in Inghilterra per vivere la mia vita; nonostante Rafiki mi avesse avvertito in passato di una guerra imminente, la guerra che nel bene o nel male, io avrei dovuto affrontare da solo, non potevo fare a meno di provare una sorta di euforica esultanza: la sola cosa che mi tormentava, era il fatto di aver dovuto dire arrivederci, quando in realtà era un'addio, e quella volta, doveva essere per sempre. Una parte di me non voleva andarsene: come avevano detto Simba e tutti gli altri, ci sarebbe sempre stato un posto per me nel Branco, e chissà se da quella notte in avanti mi avrebbero cercato nel cielo? Questo non lo so, e non lo saprò mai, ma sapevo che se avessi esitato ancora a partire, non sarei partito mai più.
    Il sole era appena tramontato, e la jeep, illuminata dalle ultime luci del crepuscolo, era ferma ed immobile, esattamente dove era rimasta per quell'ultima settimana, fin da quando ero tornato nella gola in cui era morto Mufasa, e dove avevo lasciato e in seguito recuperato il ciondolo di Mina. Gli sportelli erano rimasti aperti, e il bagagliaio era spalancato, visto e considerando che Ralph e Leona avevano preso molte cose da lì dentro. Non volendo aspettare oltre, mi tolsi l'anello e lo misi in tasca; poi, entrai automaticamente nell'abitacolo, e mi sedetti subito sul sedile posteriore: pensavo che saremmo partiti subito, ma Ralph e Leona non salirono subito con me.
    Li sentii sferruzzare e lavorare di fuori. Fu con un pizzico di esasperazione che scesi a vedere: notai che Leona stava controllando le sospensioni.
    "Che cosa combini, Leona?"
    "Se dobbiamo viaggiare per tutta la notte, il minimo che possiamo fare, è assicurarci di arrivare a Nairobi tutti d'un pezzo. Sarà un viaggio lungo e faticoso" Detto ciò, strinse le ultime viti e mi passò in mano una tanica rossa in plastica che - a giudicare dall'odore nauseante - era piena di benzina senza piombo.
    "Ti spiacerebbe riempire il carburatore?"
    "Affatto" le risposi, e fatto scattare il lucchetto del cofano, versai il contenuto nell'imboccatura del carburatore. All'accensione, la spia luminosa del carburante sarebbe diventata verde. Come ebbi chiuso, mi diressi nel retro della vettura, che era straordinariamente grande, perfino per un fuoristrada. Ralph stava svuotando e riempiendo il bagagliaio a tutta forza.
    "Controlla il bagagliaio, controllo sempre il bagagliaio!" borbottava a mezza voce, muovendosi con lena febbrile, gli occhi sgranati visibili anche da dietro gli occhiali da sole.
    "Tipico degli eccessi di caffeina" mi dissi, e lo aiutai a riempire il bagagliaio.
    Come fummo arrivati a circa metà strada, quando - in sintesi - avevamo sistemato il lungo telone da tenda ripiegato, Ralph tirò su col naso e mi prese in disparte per parlarmi.
    Per alcuni lunghi momenti, inspirammo l'aria imbalsamata della notte, prima che lui rompesse il silenzio: "E' stata dura, vero?"
    "Già" ammisi a malincuore.
    "Ricordare quei momenti difficili farebbe passare il buonumore a un giullare... e ora, come se non bastasse...!"
    "Sul serio!" replicai, lievemente stizzito, "Non avresti dovuto bere tutto quel caffé: cominci a sparlare a sproposito, sembri ubriaco come un carrettiere!"
    "Scusa..." fece lui, tornando a guardare il cielo; dopo alcuni brevi istanti, in cui sentimmo Leona armeggiare da sotto la Jeep, Ralph mi rivolse una nuova domanda:
    "Dimmi un po' Abe... ma ti mancherà questo posto?"
    Mi chiesi come mai mi aveva fatto quella domanda, ma volendo evitare di prolungare quella discussione, gli risposi meccanicamente. "No" come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Forse lo dissi in modo troppo ovvio, perché lui rispose subito: "Bugiardo. Se ti sei affezionato a quel Meethu, non esiste che te ne vai senza sentire la mancanza!"
    "Senti, Ralph" cominciai, già abbastanza stanco ed esasperato. "Ho fatto quello che era necessario, ed è per il loro bene! Né io né nessun'altro di noi può restare qui, e so che lo capisci!"
    Lui fece l'aria abbattuta. "Già... è vero, come sempre hai ragione tu..." Mi parve depresso, e perciò mi parve giusto tirarlo su. Gli diedi una pacca sulla spalla.
    "Dai, dai... finiamo di mettere a posto questa roba."
    Con un sorrisone rinnovato, il massiccio Yankee riprese la sua lena e stipammo il resto degli oggetti nel bagagliaio: per un secondo mi parve che il telone fosse un po' troppo grande, ma conoscendo Ralph, mi dissi, con una tenda grande si sta comodi. Lui si agita sempre nel sonno.
    Eppure, avevo una strana sensazione. Non era avvenuto nulla di strano fino ad allora. Tutto sarebbe andato a buon fine da lì a poche ore. Per l'ultima volta guardai a sud, la Rupe dei Re, la cui sagoma spariva nel buio della notte, e finalmente, quando Ralph chiuse con aria soddisfatta il bagagliaio, presi un gran respiro dell'aria notturna, e mi issai sul sedile posteriore, mentre Ralph prendeva il posto di guida e Leona si sedeva accanto a lui.
    Quando li sentii montare alle mie spalle, mi sfuggì un sospiro di sollievo: ormai era cosa fatta. Allacciammo tutti e tre le cinture di sicurezza, e io inclinai il mio schienale per dormire: una pace improvvisa prese posto in me, ma durò solo per pochi secondi, perché Ralph doveva per forza chiedere, come faceva sempre.
    "In quale direzione, Abe?"
    Avevo già gli occhi chiusi, ma risposi: "A Nairobi, rotta nord-nordest, ragazzo: macchine a tutta forza."
    "Signorsì!" esclamò lui, tutto contento: la prospettiva di correre non allarma certo un ragazzone di Chicago, anzi, lo elettrizza. La chiave dal manicotto in pelliccia sintetica entrò con uno scatto nel cruscotto, e con una torsione, il motore partì, lanciando un rombo selvaggio, simile al ruggito di una tigre in gabbia.
    "Oh sì, piccola mia!" mormorò Ralph con dolcezza rabbiosa: non potevo vederlo, ma i suoi occhi erano rossi per l'afflusso di sangue. "Adesso balliamo!"
    Con mano sicura accese gli abbaglianti, inserì la retromarcia, e premette sull'acceleratore.
    Con uno strappo incredibile, la vettura scattò all'indietro, e con una spettacolare curva a U si mise in posizione: dovevamo aver fatto anche un giro su noi stessi, prima di metterci in posizione, perché Leona protestò. "Fa attenzione, Ralph! Questa è una macchina, non un carrarmato!" Ma lui, in tutta risposta, lanciò il suo urlo di guerra:
    "A TUTTO SPIANO, CAPITANO!!!"
    E inserendo la seconda, partì come un missile nella notte: nel giro di pochi istanti, era già scalato alla quinta marcia, e con le quattro ruote motrici, la Jeep superò la velocità dei 120km/h, addentando il duro terreno della Savana come un leone azzanna la preda per finirla in fretta. Prima che me ne rendessi conto, la Rupe dei Re svaniva dalla mia vista, come io sparivo una volta per sempre da quelle terre.

    --------------------------------------------

    Con il passare dei minuti, la mia mente si placò, e i musi dei leoni e delle leonesse, di Timon e Pumbaa, di Zazu e Rafiki, lentamente sparirono: i miei pensieri si concentrarono su quello che dovevo fare di lì a poco; se le cose fossero andate bene, avrei trovato un aereo per tornare a Londra in settimana. Il tutto se non ci fossero stati imprevisti. Ma io confidavo per il meglio: presto sarei tornato a casa, la mia vera casa, per quanto distante, nonostante i brutti ricordi e gli avvenimenti dolorosi; una volta arrivato lì, avrei dato inizio alla mia nuova vita - una vita dedita a mettere fine all'opera dei malvagi che mi avevano segnato tanto tempo prima. Con ogni probabilità mi sarei potuto nascondere nelle campagne al dì fuori di Londra e lontano dalla giurisdizione di Sua Maestà la Regina Elisabetta. O forse mi sarei potuto nascondere a Luxor: avevo tanti bei ricordi della cara Luxor, dove avevo passato i miei primi due anni da eremita.
    Lentamente, mi sfuggì dalle labbra il nostro inno: nonostante le varie esperienze per l'Europa e l'Africa, ero comunque un Britannico di Madrepatria.
    God save our gracious Queen/Long live to our noble Queen...
    Mentre pensavo al futuro che mi aspettava, la mia mano scivolò nella tasca del mio pastrano, e lì sentii qualcosa di duro e spigoloso. Lo tirai fuori quasi dandomi dello stupido: era il diamante che avevo trovato a Johannesburg. Incredibile che mi fossi dimenticato di averlo con me. Mi ero detto che non valeva nulla per me, ma ora potevo rivenderlo per guadagnarmi qualche soldo...
    In quella, mentre ammiravo i riflessi della pietra, la voce di Leona mi interruppe.
    "Dove hai trovato quel brillante?"
    Quasi sobbalzai per la sorpresa: anche se stavamo andando a 120 l'ora, Leona si stava sporgendo dal suo sedile come se si fosse sporta da una delle terrazze di Genova. Lentamente, mi ripresi e sorrisi:
    "L'ho trovato a Johannesburg, al vecchio scavo... sai, prima di tornare alla Rupe dei Re."
    "Posso?" Chiese lei, allungando appena la mano. Glielo passai senza fare tante storie.
    L'occhio di una donna è occhio da intenditore per quel che concerne gioielli e preziosi. E subito ella stabilì: "18 carati netti, un diamante nativo, formatosi nel giro di milioni di anni, dalla stazza di trenta grammi, forma a goccia con sfaccettature irregolari."
    "Io lo chiamo zircone, quello là!" borbottò Ralph, scettico come al suo solito. "Il modo più sicuro per gabbare i babbei; lo fanno passare per un diamante, e così lo rivendono a caro prezzo. Lo sanno tutti!"
    "E poi," aggiunse, come se fosse risaputo, "Il vecchio scavo a Johannesburg è esaurito da più di cent'anni..."
    Leona ridacchiò: era la prima volta che la sentivo ridere di gusto. "Eh no, Ralph... questo è proprio un diamante vero, di quelli che si usano per la bigiotteria di valore: uno di questi basta a farti diventare un riccone, o a far cadere una donna danarosa e/o amante dei gioielli tra le tue braccia!"
    Interessato dalla discussione, anche se non capitalista, Ralph rallentò: "E quanto potrebbe valere una pietruzza del genere?"
    Leona soppesò il diamante con la mano. Parve rifletterci per un po' e poi declamò: "Per un gioielliere che sa riconoscere una pietra vera, questo sarebbe un colpaccio, una volta comprato a poco da un cliente poco accorto. Al giorno d'oggi, ci sono collezionisti che pagherebbero solo per gemme di valore, vale a dire rare oltre ogni misura, o che meglio ancora, hanno una storia particolare, e questo sarebbe più adatto ai collezionisti: per loro una gemma ancora poco raffinata come questa, varrebbe non più di settemila dollari." I suoi occhi brillarono. "Ma una volta tagliata come brillante vero e proprio, e montata come pendente per una donna di classe, si potrebbe arrivare anche ai ventimila."
    Ralph mandò un fischio, e tornò a concentrarsi sulla guida, riprendendo la sua folle velocità: anche se andavamo a tutta forza, non potevamo certo andare in linea retta; dovevamo seguire le piste per poi arrivare al confine, superando il Parco Nazionale e la Rift Valley. Sarebbe stato un viaggio ancora lungo, e per questo, dopo che Leona mi ridiede il diamante, e decretato che l'avremmo rivenduto a una gioielleria del centro di Nairobi, potei tornare a cercare di recuperare un po' di sonno perduto.
    Non ci furono altre interruzioni durante il viaggio, e finalmente, dopo essermi rigirato un paio di volte, riuscii ad addormentarmi.

    TO BE CONTINUED



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    Edited by Gaoh - 15/3/2015, 11:43
     
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