The Days of Love

l'ultimo capitolo della Trilogia

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  1. Gaoh
     
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    Re Saggio

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    Grazie, Somoya.
    Mi fa bene, sentire queste cose.

    E ora, dopo aver alzato la suspense con il primo capitolo, è tempo di darsi da fare, e mostrare che razza di capitolo si crea, mescolando insieme la tenerezza, combinata alla concretezza e a una buona dose di sana rassegnazione.

    Capitolo 02: Per il bene di molti
    Terre del Branco, Tanzania
    Lunedì, 6 luglio 1998, 21:03


    Quella notte, la luna era più grande della terra; aveva divorato tutto...
    parole di fratellanza e di odio... preghiere... struggenti momenti di pace, e pericolosi silenzi di conflitto.
    Corpi e respiri, aveva risucchiato dalle caverne, e mangiato gli angoli bui sotto l'ombra imponente della Rupe dei Re.
    La reazione dei leoni e delle leonesse era stata formidabile: si erano scagliati contro di me con forza, mi hanno urlato mostrando le bianche zanne, pregandomi, implorandomi con i loro occhi che mandavano lacrime di rabbia e di tristezza. L'ultima cosa che avrei voluto fare, era infliggere nuovo dolore a tutti loro. La mia partenza li avrebbe afflitti enormemente, forse per il resto dei loro giorni, ma io non potevo evitarlo: dovevo partire, e non tornare mai più in quelle contrade. Sentivo che se fossi rimasto a lungo, mi ci sarei perduto per sempre, dimenticando chi ero e dovevo rimanere.
    Per quanto sia forte il legame che mi ha vincolato all'Africa e alle sue bestie, non ho voluto prendere altra scelta.
    Simba richiese tuttavia, una notte per pensarci su. Da quel che ne so, nel silenzio della Rupe dei Re, il sovrano non aveva chiuso occhio - o almeno così mi è sembrato quando si presentò a me quella mattina.
    La sua voce era straordinariamente pacata, quando mi parlò davanti a tutto il popolo riunito: aveva fatto le cose in grande, e voleva - naturalmente - che tutti vedessero, sentissero e sapessero cosa sarebbe accaduto. Con grande dolore da parte sua e di tutti i membri della Rupe, mi disse che avevo tempo fino alla mattina seguente, quella di martedì, per recuperare quanto era in mio possesso e presentarmi con i miei compagni per la solenne cerimonia dell'esilio. Era tipico di Simba, pensai, il fare le cose in grande. Se faceva qualcosa di estremamente importante, dal dare una festa, al marciare in battaglia, aveva bisogno che tutti lo sapessero: era un sovrano assennato e prudente, e non faceva mai nulla senza essere doppiamente sicuro che tutto andasse come diceva lui, ma la sua indole più profonda era segnata dagli orrori di una vita difficile, e a meno che quelle ferite non guariscano, egli morrà come un leone tremendamente paranoico.
    Quando la notizia fu resa ufficiale, egli lanciò al cielo un ruggito come mai ne aveva lanciato uno: potente, assordante e colmo di rabbia, ma al tempo stesso, simile a un macabro gemito di cordoglio, al quale echeggiarono i lamenti di tutta la Rupe e le urla di ogni bestia che è sotto il cielo delle Terre del Branco, dai barriti fragorosi degli elefanti, alle acute strilla delle scimmie, ai muggiti degli gnu e degli ungulati vari della Cunabula Mundi; era così che doveva andare.
    Nessun'uomo mai più, dopo di me, avrebbe dovuto turbare la pace serena di quel mondo incantato e remoto.
    L'unico gemito che non riuscii a sentire era Meethu, anche perché egli, nel suo silenzio terribile, non riusciva a parlarmi.
    Tuttavia, egli non aveva perduto del tutto l'uso della parola. Quella notte, la notte prima dell'esilio, io, Ralph e Leona ci salutammo per andare a prepararci: loro si diressero verso la Jeep a raccattare tutti gli attrezzi che si erano portati dietro, imballarli, e stiparli nell'immenso bagagliaio, grande abbastanza da poterci nascondere un leone, e anche di più; in quanto a me, mi ritirai a sud, verso la mia vecchia caverna, laddove a lungo mi presi cura del leoncino salvato dalle iene; non entrai, onde evitare di farmi prendere dai ricordi e dal rimorso. Passai in rassegna le mie armi, ripulite di recente: la corda dell'arco era stata riparata, l'ascia e Murasame brillavano alla luce della luna, talmente intensa in quella notte, da rivaleggiare con il sole del mattino.
    Rimasi da solo per almeno due ore sotto la luna, silenzioso, incapace di pensare ad altro che a quello che dovevo fare, e che andava fatto il prima possibile, quando un fruscio nell'erba risvegliò i miei sensi.
    Sentii il passo felpato sul florido suolo, e il suo respiro farsi più forte: una testa grossa e villosa si aprì la strada sotto il mio braccio, e gli occhi Meethu brillarono su di me dal riflesso della spada che tenevo tra le mani.
    Lentamente, mi voltai a guardarlo: i suoi occhi davano segno di aver sparso lacrime in quantità.
    Sapevo che non l'avrei scampata: dovevo confessare tutto.
    "Tu più di tutti hai il diritto di odiarmi." sussurrai. "Io non ti odio." rispose quello con voce rotta dal lungo pianto.
    "Per tutta la tua vita, Meethu," continuai, "sei cresciuto nelle mani di un essere spregevole, che nulla più ha di naturale in sé."
    "Abe..."
    "Hai sentito cosa è successo a Praga?" ripresi con maggiore forza. "Io sono un mostro! Un demone! Ho rinunciato alla mia umanità per vendicare Mina, facendo qualcosa che l'avrebbe inorridita, e che mi avrebbe provocato vergogna infinita se lei avesse visto cosa sono diventato! Al solo pensiero il mio cuore sanguina, e il mio astio si fomenta tutto su di me, poiché non posso altro! Tu sai cosa sono, Meethu!" conclusi con rabbia soffocata. "Tu lo sai! E sei libero di odiarmi così come io odio me stesso!"
    "Io non ti odio, Abe!" esclamò lui, scandalizzato.
    "E invece dovresti!" ribattei subito. "Shenzi aveva ragione, quando disse che non sapevi nulla di me. Io ti ho mentito fin dall'inizio, senza dirti nulla, facendoti credere che io fossi una brava persona, e permettendoti di chiamare me, un mostro, il tuo amico! Ti ho reso un torto imperdonabile, e per questo hai il diritto di odiarmi, anzi no" realizzai con una vena di follia, "Tu devi odiarmi!"
    "Io NON ti odio!!" esclamò Meethu con forza, spingendomi fino a farmi cadere: mi inchiodò al suolo con la zampa, e mi soffiò in faccia.
    "Io non potrei mai odiarti, Abraham! Sei mio amico, e lo sono anche Ralph e Leona! Tu ti sei preso cura di me fin da quando ero un cucciolo! Mi hai insegnato a cacciare, a combattere, a leggere e a scrivere! Come potrei mai odiarti? Solo perché il tuo passato è colmo di cose orribili e tu non me ne hai parlato, io non ti odio!"
    I miei occhi si spalancarono a sentirlo parlare così: la sua devozione nei miei riguardi, era qualcosa di sbalorditivo: ma dovevo disilluderlo.
    Tuttavia, non mi diede il tempo di rispondere.
    "So che credi che sia colpa tua e del tuo orgoglio se Mina è morta, ma non è così! Sono stati quegli uomini malvagi che l'hanno uccisa, per indurti a fare il loro gioco! Non è forse così che fanno i cattivi? Ma tu li hai fermati! Li hai sconfitti, e anche se non sei un eroe, io ti vorrò sempre bene!" Notai con grande sgomento che piangeva a dirotto, facendo piovere a catinelle sul mio volto. Con un gemito inarticolato, si abbandonò sul mio petto, singhiozzando e piangendo come il cucciolo di un tempo.
    "Quindi ti prego! Non andartene, Abe!"
    "Lo sai che devo, Meethu" mormorai triste. "Ho fatto troppe cose orribili per restare qui; è giusto che domani io lasci queste terre, una volta e per sempre."
    Al sentirmi dire queste cose, Meethu piagnucolò e si strinse con forza maggiore, segnando lievemente il mio petto con gli artigli. Quasi involontariamente, cinsi la forte schiena con le braccia e lo strinsi a me per calmarlo.
    Che cosa mi stava succedendo?

    --------------------------------------------

    Lentamente, Meethu si riprese: sollevandosi da me, mi guardò con sguardo implorante.
    "Non mi importa che cosa tu abbia fatto, Abe! Tu sei mio amico, e lo sarai sempre! Qualunque cosa accada!"
    "L'irreparabile accadrà domani, Meethu!" risposi freddo e inesorabile. "Quando sarò esiliato, andrò a Nairobi, e da lì prenderò l'aereo che mi riporterà in patria, a Londra! Laddove tu non potrai seguirmi!"
    "E così" fece lui sordamente, "avrai la tua vita, lontano da noi, lontano da me, in terre oscure e rovinate, ma assieme ai tuoi amici? Vorresti dunque rinnegarmi?"
    I suoi occhi minacciavano un nuovo pianto. Era esasperante.
    Possibile che quel piccolo sciocco non avesse ancora capito?
    "E' per il vostro benessere, Meethu." dissi asciutto, e con voce assai più dolce di quanto volessi. I suoi occhi azzurri si spalancarono e brillarono sotto l'intensa luce lunare.
    "Il... nostro benessere?"
    "Te l'ho già detto. L'ho detto a tutti! Coloro che mi tormentarono in passato sono ancora vivi, e se resto qui sarà la fine per voi tutti! Mi daranno la caccia fino alla morte, e con me, distruggeranno chiunque cercherà di proteggermi. Tuo padre è stato solo il primo!" conclusi, fissandolo con intensità e con tono che non ammetteva repliche. "Fa in modo che sia anche l'ultimo! Ti prego!"
    Meethu tacque, paralizzato dalle mie parole. Convinto di averlo placato definitivamente, tornai a lustrare le mie armi; tuttavia, la sua voce tornò, debole e fioca.
    "Ma perché l'esilio?? Se proprio devi andartene, non puoi salutarci, andartene e basta? Perché vuoi essere trattato come un traditore e un assassino?"
    Sospirai ancora una volta, mi feci coraggio, e ripresi a parlare.
    "Perché traditore e assassino sono termini giusti per me. Ho mentito e imbrogliato, ucciso e sviato innumerevoli per sopravvivere con lo scopo più disonorevole - la vendetta! Tu non saresti mai capace di una cosa del genere: perfino quando hai sbranato Mizuki, lei era già morta." aggiunsi riferendomi alla mia vecchia maestra, trucidata per mia mano lo stesso giorno della morte di Ni. "Tu non saresti mai capace di uccidere qualcuno spinto dalla rabbia, Meethu. Così come nemmeno Simba o qualcun altro della Rupe. Voi leoni siete troppo innocenti per capire."
    Meethu rimase in silenzio a guardarmi.
    Non so cosa mi spinse a farlo, ma volli rincarare ulteriormente la dose.
    "Io voglio essere esiliato perché non sarei mai dovuto tornare; la colpa è unicamente mia, l'ho già detto più volte, e lo farò altre mille volte se sarà necessario. Fintanto che io vivo, i miei nemici non si fermeranno di fronte a nulla. Sento in me che quanto mi ha profetizzato Rafiki sta per avverarsi, ma se voglio sopravvivere ed evitare la guerra devo scappare e nascondermi! Non credere che non mi senta un vigliacco!" aggiunsi prontamente, prima che il giovane leone potesse replicare. "Fuggire è una scelta disonorevole, ma troppi hanno già sofferto per i miei errori. Non voglio che altri muoiano a causa mia. Se un giorno dovrò combattere, voglio essere sicuro che nessuno al di fuori di me e dei miei nemici venga coinvolto. Deve andare così. Devo essere solo!"
    Il silenzio della notte sembrò tremare per la potenza delle mie parole.
    Meethu mi guardò in silenzio, e venne a strusciarsi contro la mia schiena.
    "Mi mancherai, Abe."
    Il mio istinto più debole minacciò di cedere: rimangiandomi le lacrime e una sonora imprecazione, gli carezzai il muso, evitando di guardarlo direttamente.
    "Vai ora, e dormi tranquillo" mormorai, quasi senza voce. "Da domani, tutti i tuoi guai, e tutti i pericoli in queste terre se ne andranno con me."
    Meethu fece le fusa malinconico, ma si ritirò quando terminai la frase. "Va bene."
    Lo sentii allontanarsi da me: lentamente richiusi la mia fidata Murasame nella sua cassa, infagottai scure e strumenti nello zaino, e mentre le nubi più nere sporcavano la luna, mi coricai per dormire.
    Non feci in tempo a chiudere gli occhi, che sentii Meethu esclamare da lontano: era tornato indietro di qualche passo per un'ultima domanda.
    "Ma almeno ci permetterai di salutarti per l'ultima volta, vero?"
    Non riuscivo a crederci: quel leone era incorreggibile.
    Esclamai a voce abbastanza forte da essere udito, mentre l'immenso astro si nascondeva dietro la nuvolaglia:
    "Torna alla Rupe, torna alla tua famiglia! E non volgerti mai più verso di me, Meethu!"
    Mentre il leone correva verso la sua giusta casa, la sua ultima domanda mi rimbombò a lungo nel cervello.
    Non potei fare a meno di rispondere tra me e me, prima di cedere al sonno:
    "Se la cosa non si potrà evitare..."
    Il mio cervello fu traversato da una miriade di immagini, la luce dell'eternità mi travolse, e il mio cervello sprofondò in un lungo sonno senza luce.

    TO BE CONTINUED

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    Edited by Gaoh - 22/6/2014, 14:58
     
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